La manovra non c’è ma l’acronimo nuovo di zecca che dovrebbe qualificarla è già pronto: Dec. Sta per «Documento economico di crescita», spiega Paolo Gentiloni. Significa che la manovra di aprile non sarà solo correttiva ma anche «di crescita», appunto. Conterrà un Fondo di almeno un miliardo, che Gentiloni spera possa essere aumentato, spalmato su tre anni. Dovrebbe servire alla ricostruzione delle zone terremotate, al sostegno ai redditi bassi e alla messa in sicurezza degli edifici a rischio. Il premier chiarisce che «la creazione del Fondo non inciderà sull’indebitamento netto»: la correzione «resterà dello 0,2% sul Pil», contrariamente a quanto sembrava il giorno precedente, quando pareva che il governo volesse chiedere a Bruxelles di sottrarre lo stanziamento per il terremoto dai 3,4 miliardi previsti dalla correzione. Dunque la manovra lieviterà sino a 4 miliardi e passa.
Come mettere insieme quei miliardi però Gentiloni ancora non lo dice e probabilmente non lo sa. «Verrà deciso a metà aprile», taglia corto. Dunque subito dopo il varo del Def, il 10 aprile. Le notizie che filtrano dal Mef sono vaghissime. Si parla solo di «spending review», «lotta all’evasione», «split payment»: tutte voci che hanno in comune un dato, l’impossibilità di definire con certezza l’introito. Pertanto difficilmente basteranno alla Commissione.
La realtà è che i contenuti della manovra sono ancora oggetto del braccio di ferro tra i vertici del Pd, Renzi e Orfini, da un lato, e i «ministri tecnici», Padoan e Calenda, dall’altro. I primi martellano perché non si parli né di aumenti delle accise né di privatizzazioni. Padoan cerca di adeguarsi, ma senza quelle chances far quadrare i conti è quasi impossibile. Gentiloni sta nel mezzo, strattonato da una parte e dall’altra, il che spiega gli esercizi di equilibrismo come la trovata del «Dec».
Ma Gentiloni guarda ben oltre la primavera. Per il secondo giorno consecutivo mette già sul tavolo i contenuti della futura legge di bilancio, quella che, senza cospicui sconti da parte della Ue, dovrebbe aggirarsi sui 20 miliardi solo per mettere a posto i conti, ma con gli interventi per la crescita e per le riforme, invocate con toni ultimativi dalla stessa Commissione, potrebbe rivelarsi anche più pesante. Lunedì il capo del governo italiano aveva detto che «norme e vincoli europei non devono essere considerati intoccabili». Ieri ha insistito: «La flessibilità non solo è possibile ma è necessaria». Soprattutto, lunedì il Mef aveva fatto sapere, con la dovuta discrezione, che l’Europa è pronta a dimezzare almeno la cifra necessaria per mettere in regola i conti.
Parole e toni che a Bruxelles non sono piaciuti. La replica è indiretta, affidata a «fonti», ma gelida. Prima il portavoce della Commissione Schinas rifiuta di commentare le affermazioni di Gentiloni di lunedì: «Non commentiamo i commenti». Poi una sferzata anonima sulle indiscrezioni a proposito dell’accordo sullo «sconto» a favore dell’Italia nella legge di bilancio: «Non ci risulta. Le regole sono regole e non sono cambiate». Poi l’affondo dell’ufficio stampa: «Ancora stiamo aspettando di poter valutare le ulteriori misure di bilancio per il 2017 che il governo si è impegnato ad adottare. Stiamo anche aspettando di ricevere, in aprile, il programma di stabilità dell’Italia aggiornato, che dovrebbe delineare un piano di aggiustamento dei conti e un ambizioso piano nazionale di riforme. Tutto questo verrà valutato nel corso della primavera».
La Commissione, dunque, non chiude la porta agli sconti nei quali il governo ripone le proprie speranze. Ma neppure intende concederli a scatola chiusa. Vuole impegni precisi e vuole che la manovra di aprile sia una prova tangibile della «disponibilità» del governo italiano. Forse, dopo il braccio di ferro sulla legge di bilancio dell’anno scorso, vuole che sia una resa. Ma con le elezioni imminenti e convinto com’è che alla fine l’Ue rinuncerà comunque alla procedura d’infrazione la resa è precisamente ciò che Renzi vuole evitare a ogni costo.
ANDREA COLOMBO
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