Il sentiero continua a essere «stretto»: la manovra messa in campo da Pier Carlo Padoan sarà di 19,6 miliardi, c’è (poco) spazio per il lavoro e i più poveri, ma non ci sono le pensioni. Il ministro dell’Economia ieri ha riferito in audizione davanti alle Commissioni Bilancio congiunte di Camera e Senato, ha confermato i numeri positivi della Nota di aggiornamento al Def, ha parlato di «un milione di occupati in più rispetto al 2013» (numero che ritorna insistente, da Berlusconi in poi), ma sul nodo della previdenza è molto probabile che peserà l’invito congiunto di Bankitalia e Corte dei conti: «Non mettere mano alla legge Fornero», hanno ammonito i due istituti.
Punto su cui i sindacati si sono detti tutti contrari: attendendo una nuova convocazione dal ministro del lavoro Poletti, sperano ancora che si possa evitare l’automatismo reso obbligatorio dalla riforma Fornero, che porterà nel 2019 l’accesso alla pensione a quota 67 anni e dal 2051 a quota 70. Ieri la questione è stata affrontata dal direttivo Cgil, oggi toccherà agli esecutivi di Cisl e Uil: «È singolare che quando si parla di pensioni si considerino solo i conti e mai la condizione reale di vita e di lavoro delle persone», ha commentato il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli rispetto alle prese di posizione di Corte dei Conti e Banca d’Italia.
La manovra stanzia risorse su varie voci, risicate il prossimo anno ma che si moltiplicano come i soldini di Pinocchio a partire dal 2019. Se i tagli alla spesa pubblica ammonteranno a 3,5 miliardi di euro solo nel 2018, si attendono altre «entrate aggiuntive» dalla lotta all’evasione fiscale, per 5,1 miliardi. I fondi per la competitività e l’innovazione, che includono anche le decontribuzioni per le assunzioni dei giovani, nel 2018 ammontano a 338 milioni, che però diventano 2,1 miliardi nel 2019 e addirittura quasi 4 miliardi nel 2020. Gli stanziamenti per lo sviluppo sono pari a 300 milioni nel 2018, ma passeranno a 1,3 miliardi nel 2019 e a 1,9 miliardi nel 2020. Le risorse per la lotta alla povertà, incluso il Rei (reddito di inclusione), sono 600 milioni nel 2018, ma diventano 900 milioni nel 2019 e poi 1,2 miliardi nel 2020. Per il contratto del pubblico impiego si prevedono 2,6 miliardi, e si conferma la totale sterilizzazione delle clausole di salvaguardia: l’Iva non aumenterà.
I risultati sul fronte dell’economia «incoraggiano a proseguire nel percorso intrapreso», ha spiegato Padoan di fronte alle due commissioni congiunte di Camera e Senato, la ripresa italiana «guadagna robustezza», e «un milione di occupati in più (rispetto al minimo del 2013, ndr) è un risultato incoraggiante che tuttavia non ci soddisfa: bisogna fare di più».
In audizione sul Def ieri anche l’Istat, che ha puntato il dito sul sommerso: secondo il presidente Giorgio Alleva, il gap di mancate entrate tributarie e contributive nel 2012-14 è stato pari a 107,7 miliardi di euro. L’istituto di statistica ha sostanzialmente confermato le stime del governo sulla crescita, seppure con qualche cautela: ritoccando le cifre, ha rafforzato quelle sul primo trimestre, ma ha indebolito quelle del secondo. Per il momento, la variazione acquisita per l’intero 2017 resta all’1,2%, non molto lontano dall’1,5% indicato dal governo ma sicuramente non ancora “nel sacco”.
Via libera alla manovra anche dell’Ufficio parlamentare di bilancio «pure in presenza di un rischio di revisione al ribasso per il 2018». Il presidente Giuseppe Pisauro è stato però critico sulla strategia di contenimento del debito: «Il sentiero programmatico del debito in rapporto al Pil, nonostante la riduzione a partire da quest’anno, non sarebbe sufficiente ad assicurare il rispetto degli obiettivi entro il 2020».
Pressing sul rigore che si è fatto sentire, come anticipato, anche da Bankitalia e Corte dei Conti. Per l’istituto guidato da Ignazio Visco serve equilibrio «tra l’esigenza di non soffocare la ripresa e l’obbligo di ridurre il debito». »Le ultime proiezioni sulla spesa pensionistica mettono in evidenza l’importanza di garantire la piena attuazione delle riforme approvate in passato, senza tornare indietro«, ammonisce il vice direttore di Palazzo Koch, Luigi Federico Signorini.
Un endorsement pro legge Fornero, e dunque contro ogni sua modifica, fatta propria anche dai magistrati contabili: »Ogni arretramento rispetto ai parametri sottostanti al disegno di riforma completato con la legge Fornero esporrebbe la finanza pubblica a rischi di sostenibilità», ha spiegato il presidente della Corte dei Conti Arturo Martucci di Scarfizzi.
ANTONIO SCIOTTO
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