«Oggi sottolineiamo ancora che diritto internazionale e leggi sui conflitti armati si applicano a tutti. Nessun soldato, comandante, leader civile – nessuno – può agire impunemente. Nulla può giustificare la privazione intenzionale a esseri umani, tra cui tante donne e bambini, dei beni di prima necessità necessari alla vita. Nulla può giustificare la presa di ostaggi o l’uccisione di civili».
È la parte finale del lungo comunicato con cui ieri Karim Khan, procuratore generale della Corte penale internazionale, ha annunciato di aver fatto richiesta di cinque mandati d’arresto «sulla situazione dello Stato di Palestina»: il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, il capo delle Brigate al Qassam, Mohammed Deif, e il capo a Gaza, Yahya Sinwar; il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu e il ministro della difesa Yoav Gallant.
Poi si è tolto qualche sassolino dalla scarpa, dopo settimane di minacce pubbliche da parte di Israele e dei suoi più stretti alleati: «Se non dimostriamo la nostra volontà di applicare la legge in modo equo, se viene vista come applicata in modo selettivo, creeremo le condizioni per il suo crollo. (…) È così che dimostreremo, in modo tangibile, che le vite di tutti gli esseri umani hanno stesso valore».
Poche ore prima uno di loro, Gallant, aveva comunicato alla Casa bianca l’intenzione di espandere l’operazione militare sulla città di Rafah, quella da cui – stima l’Onu – dal 6 maggio sono stati (ri)sfollati 850mila palestinesi, la metà di coloro che si erano rifugiati a sud, costretti dall’offensiva israeliana e dai suoi confusi, casuali e mortiferi ordini di evacuazione.
Dopo la decisione della Corte internazionale di Giustizia che il 26 gennaio ha accettato di indagare Israele per «plausibile genocidio», i mandati d’arresto sono una notizia esplosiva, un uno-due che sgretola l’impunità di cui da decenni Israele è accusato. Lo si evince dalle reazioni scomposte del governo israeliano. L’esercito (apparentemente graziato: in lista non c’è il capo di stato maggiore Halevi, come ci si attendeva) dopo il discorso di Khan ha «candidamente» detto che l’offensiva contro Gaza potrebbe continuare altri sei mesi (giusto in tempo per il voto statunitense). Come la procura della Cpi non si fosse espressa.
Eppure le accuse mosse sono enormi, tutte riferite ai fatti post-7 ottobre, dall’attacco di Hamas che ha provocato quasi 1.200 uccisi e il rapimento di 250 persone. Non ci sono dunque riferimenti ai crimini commessi dal 2014 in poi, da quanto la Corte ha iniziato a indagare su richiesta della Palestina. Contro i leader politici e militari di Hamas, Khan chiede mandati d’arresto per sterminio, omicidio, presa di ostaggi, stupro e altri atti di violenza sessuale, torture, trattamenti disumani nel contesto della prigionia.
Per i due più alti esponenti del governo israeliano, Khan parla di «affamare i civili come arma di guerra; causare volontariamente grande sofferenza; uccidere volontariamente; compiere attacchi intenzionali contro i civili». E poi sterminio, persecuzione, atti disumani. Il tutto come parte di un piano: «Riteniamo che i crimini contro l’umanità imputati – continua Khan – siano stati commessi come parte di un attacco diffuso e sistematico contro la popolazione civile palestinese, in accordo con la politica dello Stato».
È l’identica versione di Bezalel Smotrich, ministro delle finanze ed esponente dell’ultradestra: su X ha scritto che «i loro mandati d’arresto sono i mandati d’arresto di tutti noi». La «rivendicazione» involontaria di complicità segue alla solita narrativa alla Smotrich: «Non assistevamo a un simile spettacolo di ipocrisia e odio degli ebrei dai tempi della propaganda nazista».
Condanne anche dai leader di opposizione Gantz e Lapid e dal Forum delle famiglie degli ostaggi che rigettano «la simmetria tra i leader di Israele e i terroristi di Hamas». Reagisce anche Hamas che, chiedendo di togliere i suoi dalla lista di Khan, dice la stessa cosa al contrario: non paragonate «la vittima al carnefice».
In attesa della decisione della camera preliminare (in genere i tre giudici impiegano un paio di mesi ad accettare o rigettare le richieste della procura), a Gaza si muore allo stesso modo. Le ore precedenti all’annuncio di Khan hanno visto l’uccisione di 106 palestinesi nei raid aerei israeliani nel nord e nel centro di Gaza (sono 35.562 gli uccisi dal 7 ottobre). Due palestinesi sono stati uccisi al checkpoint di Netzarim, creato da Israele dopo l’invasione di terra a dividere nord e sud. Altri 18 ieri nel campo di Jabaliya e a Beit Lahia.
E se la Croce rossa prova a dare una buona notizia, la nascita del primo bimbo da una donna ripetutamente sfollata nell’ospedale da campo di Rafah, un altro ospedale finiva sotto assedio, come prima lo Shifa e il Nasser: l’Al-Awda è circondato, colpi di artiglieria lo prendono di mira da domenica, i bulldozer hanno spianato le strade. Civili e medici sono in trappola: chi è dentro è dentro, senza acqua, chi è fuori è fuori, senza cure.
CHIARA CRUCIATI
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