Una bimba è morta a Trento a causa della forma più acuta di malaria, quella che colpisce il cerebro. I medici stanno cercando di comprendere scientificamente come sia potuto accadere in un Paese e in una zona dell’Italia dove la diffusione della malaria è pressoché un utopia, un non-luogo, qualcosa di inconcepibile.
La bimba potrebbe averla contratta in ospedale da altri due bambini lì ricoverati dopo un viaggio in Burkina Faso e contagiati dalla malattia. Oppure potrebbe averla contratta autoctonamente, quindi in loco. Oppure in altra parte d’Italia. Le ipotesi, appunto, rimangono molte. Ed è giusto che la sintesi cui si arriverà sia appunto scientifica, certa, inequivocabile.
Una tragedia su cui non hanno mancato di esprimersi le tante voci xenofobe e razziste di questo disgraziato Paese: la speculazione politica e anche antisociale non ha tardato a mostrarsi e i titoli dei giornali nazionali più civili erano quasi tutti ieri sera improntati su questa notizia; altri quotidiani meno civili ne hanno approfittato per spargere il panico e per urlare all’introduzione della malaria in Italia a causa dei migranti.
Non è tanto di questo caso specifico che mi interessava scrivere oggi, quanto analizzare la fenomenologia non tanto di un mistero che abbraccia l’indagine più prettamente sociologica sui comportamenti umani, ma semmai confrontarsi con i fatti, con i comportamenti che ne derivano e che sono espressione di un anticultura ormai profondamente radicata nel sentire comune proprio grazie alla deformazione operata dai mezzi di informazione (di disinformazione) unitamente alla diffusione di una ampia ignoranza, madre di una superficialità altrettanto estesa.
Come è possibile che in soli trent’anni in Italia si sia passati dalla paura controllata alla paura incontrollata? Come è ragionevolmente spiegabile, forse di più politicamente interpretabile, che una morte di malaria, per quanto tremenda e assurda possa essere, consenta ad autorevoli quotidiani e testate su Internet di diffondere la xenofobia a piene mani spargendo il sospetto, la paura ingestibile singolarmente e collettivamente verso il migrante, il rifugiato, verso chi non sia italiano?
La regressione civica e culturale dunque a cosa si lega? Alla poca informazione? All’informazione abilmente diretta per orientare menti vuote o prive di capacità critica nell’analizzare i fatti?
Come può seriamente riuscire ad incidere nelle coscienze la becera operazione di chi, senza alcuna prova alcuna, senza alcuna certezza, lega un caso di malaria a tutta una minoranza di persone rese così uguali in una ingiusta indistinzione?
Molti italiani ogni anno contraggono la malaria nei viaggi in Africa o in altre zone del mondo dove la malattia è endemica, ma non ho mai visto quotidiani nazionali titolare contro i nostri connazionali. Se ne prova addirittura pena: uno parte per una vacanza e torna con la malaria. Poverello. In effetti questa sarebbe l’osservazione da fare e poi seguire i protocolli medici indicati.
Per i migranti invece scatta l’operazione politico-giornalistica: “Ci portano pure le malattie”. “Pure”. Perché naturalmente ci portano altro: delinquenza, stupri, violenza, occupazione di case, ci tolgono un sacco di diritti.
E’ così facile trovare un capro espiatorio su cui riversare la rabbia che altrimenti andrebbe canalizzata magari in una riacquisizione di una coscienza critica e sociale che consenta di accorgersi dello sfruttamento che subiamo dal grande capitalismo, dall’alta finanza, dagli speculatori indomiti che ogni giorno, dietro ai tanti specchietti per le allodole dal sapore razzista, fanno i loro comodissimi profitti sulla pelle dei lavoratori che muoiono invece per la mancanza di sicurezza ma nei posti di lavoro stesso…
Che i giornali e i mezzi di informazione seguaci del liberismo capitalista operino queste mistificazioni è normale, sta nei fatti, nella ligia difesa delle ingiustizie che devono poter avere l’aspetto della quotidiana inevitabilità dei fatti. Così è la vita! Così la dovete vivere, insomma!
Ma che milioni e milioni di persone se ne facciano portatori, assumano su loro stessi la mistificazione, ne traggano spunti “culturali” (permettete l’uso delle virgolette per salvaguardare il vero significato della parola “cultura”, sacra e inviolabile più della vostra cara Patria…) è frutto di una retrocessione culturale che investe il civismo e, appunto, quella base di anticorpi solidali che un tempo erano tratti direttamente dalle fondamenta politiche e sociali della Costituzione.
La salvano dal disastro il 4 dicembre scorso e la calpestano ogni giorno quando non si rendono conto che non è soltanto un pezzo di carta con delle lettere stampate sopra ma è ciò che noi dovremmo essere in ogni momento: umani prima, persone poi e cittadini nella sintesi del prima del poi.
La scuola può fare molto. Deve poter fare molto. Gli insegnanti possono correggere storture e ambiguità che sono la forma di un pauperismo dell’animo umano che è sostanza della forma del cittadino nell’esistenza sociale.
La paura (ora di una zanzara, domani di qualche altro pretesto…) è arma più pericolosa delle bombe atomiche: queste distruggono in un lampo centomila persone; quella lascia i segni della devastazione antisociale per secoli se non viene curata in tempo.
MARCO SFERINI
6 settembre 2017
foto tratta da Pixabay