Il presidente Mattarella non ha deluso i tanti italiani (oltre 15 milioni, record dal 1986) che l’altra sera lo hanno ascoltato come alla ricerca di una bussola per orientarsi nelle emergenze sanitaria e politica. Il capo dello stato ha la capacità di interpretare il sentimento popolare, i suoi interventi risultano sempre del tono giusto, adeguato al momento che il paese attraversa.
Il suo discorso di capodanno è stato asciutto – era il più atteso, è stato tra i più brevi – e grave, a partire dalla confessione iniziale della difficoltà nel prepararlo. In poche parole così lontane nello stile dalla verbosità per esempio del presidente del Consiglio, Mattarella ha fatto giustizia di mesi di retorica sul «modello italiano» di gestione della pandemia.
Ricordando tutto quello che abbiamo perduto, scuola e università al primo posto, e non tacendo il modo straziante e solitario in cui si continua a morire per il virus. Come già in un altro importante discorso, quello del 2 giugno, il presidente ha riconosciuto che di fronte a una tragedia bisogna innanzitutto non nascondere la realtà. «Consapevolezza», disse allora, «fare insieme memoria» ha detto giovedì.
«Riconoscere e affrontare la realtà» è il compito delle istituzioni secondo la «pedagogia nazionale» di Mattarella (la chiama così Paolo Armaroli nel suo recente saggio Conte e Mattarella, sul palcoscenico e dietro le quinte del Quirinale). «Tenere connesse le responsabilità delle istituzioni con i sentimenti delle persone» è l’imperativo al quale si ispira il presidente. La sua raccomandazione, innanzitutto al governo, per «costruire la fiducia» dei cittadini. Responsabilità vuol dire riconoscere che «ci sono stati certamente anche errori». E in questa crisi nella quale la maggioranza è entrata quasi per inerzia vuol dire che le forze politiche devono ritrovare, o trovare, «serietà, collaborazione e senso del dovere».
Il messaggio è evidentemente rivolto a tutte le parti in gioco. Anche all’opposizione, certamente, ma il presidente ha già fatto troppe volte il richiamo all’unità e non ha bisogno di insistere (anche perché ne ha misurato gli scarsi risultati). Questa volta si rivolge alla maggioranza e quando dice che «questo è il tempo dei costruttori» non intende certo prendere parte tra i difensori e i critici del presidente del Consiglio. Il suo richiamo è ad ampio spettro, va a tutti quelli che stanno girando attorno alla crisi senza porsi il problema del suo esito. E sono tanti, praticamente tutti.
Renzi che ogni giorno alza i toni, Conte che nella conferenza stampa di fine anno non ha offerto alcuna via d’uscita se non quella della sfida finale in senato modello agosto 2019, Zingaretti che non sta né con l’uno né con l’altro, Di Maio che ha tante ambizioni ma ancora più problemi. Il loro gioco è scoperto: siccome le elezioni anticipate sarebbero un suicidio troppo clamoroso per essere vero, qualcosa verrà fuori ma a suo tempo. Ora nessuno sa mettersi alla guida della crisi e nemmeno indicarne la direzione.
Invece «i prossimi mesi rappresentano un passaggio decisivo per uscire dall’emergenza e per porre le basi di una stagione nuova», ricorda il presidente agli smemorati. Di conseguenza «non sono ammesse distrazioni. Non si deve perdere tempo. Non vanno sprecate energie e opportunità per inseguire illusori vantaggi di parte». Mattarella ha un’idea assai precisa del ruolo del presidente della Repubblica nel nostro ordinamento e non intende certo mettere le braghe alla crisi di governo, se il presidente del Consiglio non avesse più la fiducia della sua maggioranza non potrebbe che prenderne atto. Si tratterebbe del legittimo esercizio dell’azione politica dei gruppi di maggioranza, accanto al quale c’è però il dovere della responsabilità. Che significa, come ha scritto ieri il presidente a papa Francesco, «la capacità di dare risposte».
Sergio Mattarella non è un presidente «interventista», ma come ricorda proprio Armaroli non è neanche un «notaio». Non per nulla è riuscito a condurre in porto in questa legislatura due governi che parevano impossibili. Chi lo ha sfidato, come Di Maio nel caso della nomina di Savona, è stato costretto a una mortificante retromarcia. Giovedì sera il presidente ha detto chiaro e tondo che è cominciato il suo ultimo anno al Quirinale.
Non era tenuto a dirlo (Napolitano non lo fece e l’esito è noto), tanto più che non era il suo ultimo messaggio di capodanno. Ma è come se avesse spiegato alle forze politiche che è arrivato il momento delle responsabilità anche per la scelta del suo successore. Il messaggio è che non ci sono scorciatoie, lo mediti anche chi imprudentemente lo ha candidato anzitempo per un bis. E cioè Conte.
ANDREA FABOZZI
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