E se la cura per uscire dalla crisi del Covid-19 fosse proprio una forte iniezione di ferro? Le condizioni in teoria ci sarebbero tutte: grave carenza, in particolare nelle aree urbane e al sud, e soprattutto la possibilità di attingere alle nuove risorse europee, perché nulla è più green di cantieri per la mobilità sostenibile o di treni elettrici sfornati dalle officine di Napoli o Reggio Calabria di Pistoia o Savigliano.
La discussione sul piano #Italiaveloce proposto dal ministro De Micheli non è ancora conclusa ma sembrerebbero esserci tante opere ferroviarie, tra cui alcune novità positive con potenziamenti e raddoppi che permetterebbero di ridurre le attuali disuguaglianze di accesso ai treni più moderni e veloci, come la Pontremolese, la Taranto-Salerno, la linea per Trieste e quella per Ventimiglia. Non è ancora chiaro se queste opere semplicemente vedranno dei commissari per accelerare l’approvazione o beneficeranno anche di risorse aggiuntive.
Il rischio è infatti che si stia riproponendo quanto già vissuto ai tempi della Legge Obiettivo, con un elenco di opere che cresceva di giorno in giorno, perdendo ogni visione strategica. Lo raccontano i dati del ministero, dal 2002 al 2017 i finanziamenti statali hanno premiato per il 60% gli investimenti in strade e autostrade. E anche stavolta dalle anticipazioni sulle opere presenti nel piano sul totale dei finanziamenti mancanti, sono 53,4 quelli che riguardano le ferrovie (inclusi i nodi urbani), quasi l’80% del totale dei fabbisogni.
Al contrario per strade ed autostrade mancano 11 miliardi. Cosa dovrebbe fare il governo per essere coerente con annunci e promesse di un rilancio economico sostenibile? Intanto puntare sul serio sulla “rivoluzione” legata al trasporto su ferro, mettendo qui le risorse europee aggiuntive per rilanciare le opere davvero utili a rendere più efficiente e integrato il sistema dei trasporti. Quell’elenco va cambiato, perché non ha senso continuare a finanziare migliaia di chilometri di nuove autostrade e strade, il Mose a Venezia e altre inutili piste aeroportuali come a Roma
In secondo luogo occorre coprire il grande buco delle politiche dei trasporti nel nostro Paese: le aree urbane. Perché ogni giorno larga parte degli spostamenti avviene nelle città ma purtroppo da sempre questi interventi sono secondari negli elenchi predisposti dai Governi e dalla stessa Rfi. Inutile nasconderselo, per molte opere ferroviarie urbane nominare dei commissari servirebbe davvero. Ma non per saltare le gare o le valutazioni ambientali, ma semplicemente per capire come sia possibile che da 40 anni a Roma si attende la chiusura dell’anello ferroviario. E per fare in modo che finalmente il progetto sia completato, con le relative stazioni e che sia finalmente finanziato.
Ma alcuni interventi non dipendono dalle Ferrovie dello Stato, come quelli che riguardano nuove linee di metropolitane e tram, piste ciclabili previste dai Comuni nei Piani urbani della mobilità sostenibile, che vanno finanziate e che oggi sono in larga parte senza risorse.
Infine, serve un progetto per il sud. Per non rimandare la speranza di cambiamento al 2027 quando i cantieri delle grandi opere previste dovrebbero essere finiti. Questo rischio è reale e sarebbe bene che il ministro Provenzano lo facesse presente. Perché i cantieri previsti tra Napoli e Bari, come tra Palermo e Catania o in Calabria, sarebbero molto utili ma rischiano di arrivare troppo tardi, quando il numero di treni si sarà ridotto al punto da aver scoraggiato anche gli ultimi viaggiatori. Il Rapporto Pendolaria di Legambiente racconta come in questi anni si siano ridotti i treni intercity in circolazione e anche i regionali, senza parlare dell’alta velocità che non arriva sotto Salerno.
Il ministro De Micheli dovrebbe guardare il nuovo orario dei treni tra Roma e Taranto. Perché sono scomparsi gli ultimi collegamenti diretti, ci si mette di più e si paga un biglietto più caro, con l’ultimo tratto spesso da dover fare in pullman. E’ incredibile che nessuno controlli o intervenga malgrado siano risorse pubbliche a garantire il servizio. Eppure le città e i territori del Mezzogiorno potrebbero rinascere con collegamenti ferroviari semplicemente frequenti tra i grandi centri, con treni almeno nuovi e confortevoli che permettano di muoversi tra un centro storico e una università, tra porti e aeroporti, da una spiaggia a una località turistica.
In pratica un progetto che ragioni di mobilità, qualcosa di sconosciuto in un Paese in cui alla politica interessa soprattutto tagliare nastri. Tante volte è stato ripetuto in questi mesi, da questa crisi dobbiamo uscirne diversi e stavolta abbiamo in mano le scelte e le risorse per cambiare il nostro futuro. Non sbagliamole.
EDOARDO ZANCHIN
Foto di Hin und wieder gibts mal was. da Pixabay