“Una democrazia ha bisogno di cittadini evoluti, che conoscano le materie su cui sono chiamati a deliberare”. Così scrive Massimo Gramellini ieri su “La Stampa”.
Penso sia vero. Ma chi ha prodotto l’imbarbarimento anticulturale e tutto il grande analfabetismo di ritorno politico e civico che ci circonda?
Chi ha creato falsissime speranze per un mondo del lavoro invece sempre più strangolato dalla ricerca di profitti facili, con contratti da moderno schiavismo, con l’introduzione addirittura di quella vergogna che sono i “voucher”?
Chi ha generato le paure vorticose che ogni giorno si prendono la testa della gente anche più generosa e altruista e la trasformano in diffidente e sospettosa, carica di odio e di disprezzo verso il “diverso”, da qualunque latitudine arrivi, per qualunque cosa sia tale?
La risposta è semplice: siccome non siamo stati noi comunisti, sono stati gli altri, i sostenitori dell’economia di mercato, delle privatizzazioni e, per ultima, anche quella falsa sinistra che ha scoperto nel “liberismo” la panacea di molti mali (per i padroni e finanzieri di mezza Europa e anche d’Oltreoceano).
Dunque, una democrazia ha certamente bisogno di cittadini evoluti, ma la democrazia è solo una sovrastruttura telecomandata dalla struttura economica.
Per essere cittadini evoluti occorrerebbe anzitutto fare maggiori sforzi proprio in mezzo alla giungla di false promesse, di false notizie e di trasformazione del vero in falso (e viceversa) operato dai mezzi di comunicazione di massa.
Insomma, per essere cittadini evoluti e degni della democrazia di Gramellini, servirebbe un sussulto di coscienza, prima ancora etica rispetto a quella “critica” che starebbe alla base del rinnovamento politico consapevole.
Non condivido le parole di chi sostiene che “per fortuna in Italia la Costituzione non consente al popolo di esprimersi sui trattati” e che questa sarebbe stata una lungimirante posizione dei Padri Costituenti.
Lo fu allora, in un mondo diviso in due blocchi che si facevano la guerra definita “fredda”. In quel tempo un referendum avrebbe potuto creare una spaccatura verticale nel Paese e avrebbe rischiato di condurlo sulle soglie di una nuova guerra civile.
Oggi questo rischio è pressoché inesistente.
La sovranità deriva dal popolo secondo la Costituzione. Quest’ultima è solo un patto comune per la regolamentazione della vita sociale e della Repubblica.
Non esiste (o non dovrebbe esistere…) nessuna autorità superiore alla volontà popolare. Di qui l’attribuzione della sovranità al popolo che, comunque, la detiene di per sé, senza alcuna concessione da parte di nessuno.
La Costituzione non è una “autorità” e per questo può essere modificata (secondo le procedure dell’articolo 138) dal Parlamento che rimane emanazione della volontà popolare. La Costituzione, dunque, rimane solo un patto redatto dai rappresentati del popolo italiano eletti nella forma di Assemblea Costituente.
Non esiste nessuna autorità più alta in Italia della volontà popolare. Non esiste, ma forse sarebbe meglio usare il condizionale visto lo scempio che proprio della Costituzione è stato fatto in questi decenni e, dunque, anche della volontà di una nazione intera espressa, più o meno liberamente in mezzo ai tanti trucchetti di riforma delle leggi elettorali, con il ricorso alle urne.
Dare la parola al popolo su questioni dirimenti come la decisione della permanenza o meno della propria Repubblica, del proprio Stato in un determinato contesto, è forse la più alta forma di democrazia diretta che si possa esercitare.
Anche in questo caso, l’Italia si dimostra culturalmente non adeguata a recepire una eventuale proposta in merito. Si dimostra per quello che è: un Paese del “vivi e lascia vivere”, del menefreghismo più evidentemente espresso nelle lamentele di oggi nel baciare il bastone di domani.
MARCO SFERINI
redazionale
26 giugno 2016
foto tratta da Pixabay