L’ultimo Marx. 1881 – 1883

Non bisogna farsi spaventare dal sottotitolo di copertina o, meglio, dalla precisazione che l’autore pone a cappello dello studio che ha intrapreso e poi pubblicato nel 2016: “Saggio di...

Non bisogna farsi spaventare dal sottotitolo di copertina o, meglio, dalla precisazione che l’autore pone a cappello dello studio che ha intrapreso e poi pubblicato nel 2016: “Saggio di biografia intellettuale“.

Certo, quello di Marcello Musto, professore associato di sociologia teorica presso la York University di Toronto ed autore di numerose opere di ricerca su Karl Marx, su Friedrich Engels e sull’evolversi della “critica dell’economia politica” nel corso del ‘900 e nell’ingresso nel nuovo millennio, non è proprio il primo libro che si dovrebbe leggere se si vuole conoscere il Moro.

Questo perché, anzitutto, tratta degli ultimi tre anni di vita del filosofo ed economista tedesco e, in secundis, perché per poterne comprendere certe sfaccettature critiche, certe pieghe entro cui si avvicendano tanto la vita di Marx quanto i suoi studi, purtroppo sempre meno costanti con l’avvicinarsi della fine, occorre almeno avere prima letto una buona biografia sullo stesso (ci permettiamo di consigliare quella che abbiamo recensito a suo tempo in questa rubrica, scritta da Jaques Attali, che è alla portata veramente di chiunque intenda incontrare per la prima volta il filosofo di Treviri), accompagnando il tutto con una altrettanto meticolosa conoscenza delle opere prime sia del Moro sia di Engels.

Benché “L’ultimo Marx 1881 – 1883” (Donzelli editore) di Musto sia comunque una biografia e, a prima vista, potrebbe risultare di facile consultazione e comprensione, la ricchezza estrema di citazioni, di riferimenti e di incroci storici, politici, sociali ed economici fa sì che per poter apprezzare a fondo lo sforzo dell’autore ci si doti di un bagaglio conoscitivo ampio, così da sviluppare appieno il valore intrinseco che si è voluto esprimere analizzando tre soli anni in cui il Moro conobbe il decadimento fisico unitamente a quello intellettivo, soffrendo indicibilmente soprattutto per quest’ultimo aspetto che la morbilità gli trasmetteva e gli imponeva.

La copertina stessa del libro ritrae Marx nell’ultima foto che gli venne fatta mentre si trovava ad Algeri nel 1882. Aveva optato per quella destinazione, nell’Hotel-Pension Victoria: aveva una camera che dava sulla baia e da cui non si stancava mai – scrive ad Engels – di guardare la distesa del mare, mentre sempre più accesi colpi di tosse lo tormentavano di giorno e di notte.

Dopo la morte della moglie Jenny, non trovò mai più quella necessaria tranquillità esistenziale per potersi ancora dedicare ai suoi studi, nonostante fossero proprio quelli e la contemplazione di tutti i fenomeni naturali che gli spuntavano modernamente intorno a dargli ancora una carica, una iniezione di interesse per continuare a leggere, a discutere, a scrivere appuntando sui suoi quaderni elementi di considerazione sulle società pre-capitaliste e, trovandosi in Africa in quel tempo, proprio sui rapporti di proprietà – ad esempio della terra – dei popoli che abitavano le zone costiere e quelle desertiche.

Marx era inscindibile dallo studio, dall’attività politica, ma era anche un uomo dedito al resto della vita: ai rapporti familiari e sociali. Musto fa proseguire bilanciatamente ogni istante dell’ultimo periodo di vita di quello che Engels, più che giustamente, avrebbe definito nell’orazione funebre ad Highgate “…la più grande mente dell’epoca nostra“.

Gli sarebbe stato a cuore soprattutto rivedere le correzioni de “Il Capitale” per l’uscita della nuova edizione in Germania. Ma ordine dei medici era di osservare un assoluto riposo, soprattutto da quelle attività di ricerca in cui il dispendio delle sue energie era maggiore rispetto ad altre attività più comuni e quotidiane.

Quando le sue condizioni si aggravarono, pur avendo optato per Algeri, per un clima che aveva pensato fosse utile al lenire le sue ferite tanto interiori quanto il suo male ai polmoni, sentì sempre più diradarsi la possibilità di un ritorno agli studi, di un impegno che ora gli pesava, perché – confesserà sempre all’amico di una vita – le sue facoltà intellettive le sentiva venire progressivamente meno e se ne avvedeva dal modo in cui scriveva, dalla mancanza di vocaboli che un tempo scorrevano veloci con la penna in mano sui tanti fogli che aveva vergato dagli inizi del sodalizio con Engels.

Il Marx dell’ultimo periodo è quello probabilmente meno studiato ed indagato, proprio per la mancanza di novità critiche, di scoperte scientifiche, di attualizzazioni di un pensiero che diventerà dominante ed egemone, nella lotta della classe lavoratrice per la sua emancipazione, soltanto post mortem, in un Novecento dove toccherà al Moro rimanere prigioniero della gabbia dei regimi nati nel nome del socialismo e del comunismo e trasformatisi nell’esatto opposto, proponendo come alternativa al capitalismo liberale un capitalismo di Stato, regimi oppressivi ed elefantiache burocrazie antisociali.

Eppure, dopo la grande crisi economica del 2008, come nota Musto nell’introduzione al suo saggio, il nome e l’opera di Marx rivivono ancora. La profezia di Engels si avvera: «Il suo nome vivrà nei secoli e così la sua opera». Il tracollo finanziario, la destabilizzazione di un capitalismo liberista rappresentato come immarcescibile, imperituro e graniticamente posto a guardia della globalizzazione mondiale, propongono nuove domande sulle crisi cicliche, sull’anarchia dei mercati, sulla caduta tendenziale del saggio di profitto e sulla formazione stessa del capitale nel nuovo millennio.

Nessuno pensa di interrogare gli scritti di Adam Smith per cercare una qualche via d’uscita a questo imbroglio, ma in molti – se non tutti – istintivamente muovono le loro attenzioni verso quel Marx che ormai è svincolato dalle catene della propaganda sovietica, tolto dalla cappa asfissiante di un potere della Guerra fredda che è miseramente crollato così come si era andato strutturando appena dopo la grande Rivoluzione russa.

Marx può essere di nuovo letto, studiato e capito per quello che era e voleva non essere: marxista. Il rifiuto della dogmaticità ideologica dei regimi pseuso-socialisti dell’Est è la precondizione per guardare il capitalismo di oggi attraverso le lenti di un marxismo che non possiamo non chiamare così (e Marx ce ne scuserà…), ma che certamente è sinonimo di complessità di studi, di intersezione di conoscenze veramente enciclopediche che, a partire dal “Manifesto del Partito Comunista“, tracciano un indirizzo interpretativo della società che mai si era potuto scorgere nella storia dell’umanità.

La scoperta della lotta di classe, che è la costante dei millenni nella storia dell’umanità, apre la strada ad altre scoperte che Marx ed Engels faranno, non dimenticando nessun ambito evolutivo, non trascurando nessuna disciplina e dando una dimensione veramente mondiale al carattere rivoluzionario con cui tratteranno ogni decisione politica corroborata dalle attente analisi del materialismo dialettico.

Sebbene oggi la rivisitazione e rivalutazione della critica al sistema di produzione capitalistico possa vantare un parterre di neofiti che incoraggiano anche sul piano sindacale e politico, è proprio sul versante della conversione istituzionale delle idee e delle pratiche che si incontrano i maggiori ostacoli per una affermazione di interventi strutturali (che certamente il Moro classificherebbe come “riformatori” ma non “riformisti“) che cambino, se non radicalmente, quanto meno in meglio la vita quotidiana dei moderni proletari.

Le forze politiche che tendono a questo dualismo, il dirsi di sinistra e il fare poi politiche liberiste, preferiscono riferimenti cultural-ideologici del socialismo liberale o dello statalismo pubblico propugnato ad inizio Novecento. Apparentemente questa può essere letta come una contraddizione in termini. Ma se si osserva attentamente la storia involutiva della sinistra moderata italiana, si può riscontrare una coerente applicazione di nuovi princìpi che fondano civilmente le basi sul liberalismo ma che, dal punto di vista economico, sposano la tesi della modificazione costante ma lieve della versione liberista del capitalismo globalizzato.

E fanno dunque bene a non avere come riferimento culturale, sociale e politico Marx. Soprattutto quello degli ultimi anni, quello che Marcello Musto ci descrive attento allo studio dei sommovimenti di fine Ottocento, quando le scienze progrediscono e quindi bisogna porre attenzione alla matematica, alla sua interazione con la statistica, a tutta una geometria dei valori che non sono più soltanto quelli della liberazione del proletariato dalle sue catene di oppressione, ma che ci fanno vivere un Marx umanista, molto colpito dalle lotte di liberazione dei popoli per l’indipendenza di nazioni mai sganciatesi dai domini coloniali.

Dall’Irlanda ribelle all’Asia che mal sopporta il potere inglese, Marx scruta con grande pazienza i giornali che può ancora leggere, mentre si accinge a studi persino sui popoli primitivi e pre-capitalistici.

E’ smentita, quindi, un’altra favola tramandata come certezza: non smise mai di lavorare ai suoi libri. Tentò di migliorarne le stesure, ma stanco, ammalato e colpito dal destino della morte nei suoi affetti più cari, si addormentò senza soffrire, senza forse accorgersene, nella sua poltrona un pomeriggio di marzo di quel 1883 in cui l’umanità – come ebbe a scrivere Engels – perdeva la più grande mente della sua epoca.

L’ULTIMO MARX. 1881 – 1883
MARCELLO MUSTO
DONZELLI EDITORE
€ 24,00

MARCO SFERINI

24 agosto 2022

foto: particolare della copertina del libro

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