La giornata internazionale contro l’omotransfobia era ieri, ma ogni giorno è e rimane buono per parlare di questioni individuali e sociali, civili e morali che hanno bisogno di leggi per affermarsi nella cosiddetta “opinione pubblica” e, più ancora, in una nuova cultura tanto dei rapporti umani quanto della sessualità in generale.
Quanti tipi di omofobi ci sono? Probabilmente tanti: la classificazione forse è tanto inutile quanto pretestuosa; magari per convincersi di poter incasellare i molti episodi di violenza e di discriminazione contro gli omosessuali e contro le persone transgender, di non dover assistere ogni maledetto giorno ad una efferatezza sconosciuta, così come a ripetuti macabri riti di gratuitissima cattiveria e sperticato odio.
Contesti di vita, pulsioni personali e circostanze che si vengono a creare, oltre ad una buona dose di mancanza di cultura, sono elementi predisponenti all’intolleranza, alla percezione dell’affronto verso la propria identià sociale, civile e individuale. L’omofobia è indubbiamente un fenomeno di rivalsa, un finto istinto che muove a limitare idee, comportamenti e diritti altrui nel nome di una presunta appartenza ad una sfera della “normalità” sessuale cui dovrebbe uniformarsi praticamente tutta la società così concepita dall’omofobo.
E’ una forma di totalizzazione, di assolutismo più o meno congenito che perdura dentro noi tramite l’abitudinarietà tutta umana che recepisce certi messaggi fin dalla giovinezza e li porta avanti risolutamente, come pietre miliari di un proprio cammino lungo le strisce demarcatrici del pregiudizio che determinano i confini entro cui sta il lecito, il decente, il permissibile, il giusto, il pulito, il sano: tutto quanto viene etichettato come perimetro del consentito da una morale superiore che viene fatta riferire tanto ad aspetti religiosi e a racconti biblici, coranici o talmudici, quanto a leggi laiche non scritte ma scolpite nel corso di millenni da tante prevenzioni oppotunistiche e stratificatesi, calcificate duramente nel tempo.
Non se ne esce se non partendo da un punto di chiara consapevolezza, di determinazione universale di un principio rivoluzionario, perché ancora oggi molto osteggiato tanto da singole persone quanto da organizzazioni politiche e da strutture di potere, Stati e conglomerati di popoli più o meno uniti da tradizioni economiche (chiamasi altrimenti: “interessi comuni“), sociali e culturali: l’uguaglianza.
Dove si affermano valori ispirati all’uguaglianza, lì il terreno per isolare i fenomeni fobici di ogni tipo diventa più coltivabile e le lotte civili e sociali possono intrecciarsi, condividere le stesse piazze, far convergere le lotte; avere e dare una visione globale e complessiva dei rapporti interpersonali che valorizza le spcificità, che evita paternalismi e moralismi di sorta, puntando a sovvertire il piano inclinato, a capovolgerlo, scandalizzando prima, riuscendo a diffondere massivamente poi i nuovi presupposti di una cultura che stigmatizza le idee del passato, non le ridicolizza ma le mette nella condizione di non nuocere più.
La vergogna sopraggiunge come effetto di queste cause che denunciano tutta la stupidità dei pregiudizi, condannandoli all’anacronismo, al fuori luogo, ad un minoritarismo progressivo tendente allo zero. Purtroppo l’evoluzione civile e civica fa lenti progressi nel cammino umano: la storia procede per cronologicamente ed a volte non logicamente. Gli strappi sono necessari se si vuole fare un salto di qualità. Spesso le lotte devono essere radicalmente intransigenti, apparire estremiste ed eversive per poter far avanzare quei diritti che altrimenti non sarebbero mai conquistati.
Presupposto di una “rivoluzione” (in senso lato e in senso particolarmente stretto pure) è la demarcazione con gli architravi del passato, mentali e soprattutto materiali: la conformità all’esistente è una tentazione pelosa riscontrabile nella dimensione abitudinaria degli esseri umani. Nonostante il dinamismo faccia parte della nostra vita, siamo prigionieri di una autoconservazione che non è solo istinto ma anche calcolo, raziocinio; proprio nel momento in cui ci rendiamo conto che determinati mutamenti possono sconvolgere le nostre vite: in particolare se questi mutamenti sono ineludibili, percepiti come parte di noi stessi. Una parte che si vorrebbe magari negare.
A cominciare dal piacere sessuale, dall’attrazione al desiderio fino alla più sottilena linea di ciò che – molto soggettivamente – ognuno di noi definisce come “amore“. Ciascuno vive queste evoluzioni come stravolgimenti a causa del pregiudizio, della stigmatizzazione moralistica che si nutre delle diseguaglianze e ghettizza le differenze perché il “diverso” è per antonomasia ciò che ci è extraneus, quindi che va al di là dei nostri confini conosciuti: quelli del nostro corpo e quelli della nostra mente che ne segue a volte e ne anticipa altre le azioni e le reazioni.
La rivoluzione dei sensi e delle percezioni, dei desideri e dei sentimenti rannicchiati negli angoli bui del nostro animo, è prima di tutto un fatto multilaterale e non riducibile al mero rapporto personale, interiorizzato e ancestrale. Siamo e restiamo “esseri sociali” e, pertanto, abbiamo il dovere di far sentire alla società il peso che le deve gravare sulla coscienza se discrimina, se opprime, se ghettizza ed emargina tanto le opinioni quanto le emozioni, tanto le carezze e i baci che restano desideri e quelle che ci si può e ci si deve scambiare per amare, per godere, per spremere dalla vita il massimo del piacere. Reciproco. Libero.
La complessità del discorso vorrebbe che si facesse riferimento ai tanti tipi di fobie, razzismi e specismi che gli esseri umani tutt’oggi considerano legittimati ad esistere e a modernizzarsi, in quanto parti di diffuse culture popolari difficili da rovesciare: paiono sempre urgenti solo questioni riferite alle rivendicazioni dei bisogni materiali. Ma la contemporaneità delle lotte è necessaria se si vuole davvero fare in modo che le conquiste sociali non siano mutilate, prive di qualunque altro aggancio con la vita di tutti e di ognuno.
L’esistenza è un insieme di relazioni materiali e immateriali: a comincare dal rapporto a due per passare a quello del e nel “villaggio globale“. Diritti civili e diritti sociali non sono scindibili: ottenere gli uni e trascurare gli altri porta soltanto ad uno sviluppo diseguale tra singolo e collettivo, tra la sfera privata e il mondo “grande e terribile“.
La nostra lotta per essere liberi e felici di vivere, amando chi vogliamo, conserva in nuce una importanza che viene troppo spesso minimizzata. Siamo molto più determinanti di quello che pensiamo: al di là di qualunque classificazione, etichettatura o catagolazione secondo la “pubblica opinione” e la “morale comune“.
MARCO SFERINI
18 maggio 2021
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