Le elezioni sono diventate così farsesche da potersi tenere ormai anche a Ferragosto. Più surreale è il clima in cui si tengono e più si impregnano di un loro specifico senso. Non è il diritto di voto ad assumere queste atroci caratteristiche: lo sono gli elettori. Attivi e passivi.
Nulla di osceno, si intende. Semmai di sconcio. Che è un gradino più in su nella scala antivaloriale della fenomenologia italica di una politica priva di anima e anche di corpi. Il demone del Coronavirus è il leader populista e sovranista di turno, così pure il leader fintamente di sinistra, tutto intriso di liberismo che promette alle folle il benessere dopo di lui. Non il diluvio, ma la fine dell’epidemia, il ritorno alla tremenda “vita normale” di prima.
Il diritto di voto va, dunque, difeso. Va difeso proprio da tutti costoro che hanno smarrito volutamente le identità, le hanno accartocciate per l’interesse della Nazione, per patriottismo, per la sagace intuizione di creare “formazioni nuove“, magari europeiste, che travalichino i confini ristretti della Penisola.
Tanto all’interno del centrodestra quanto nel campo del populismo pentastellato o in quello delle pseudo-sinistre di centro o di sinistra-sinistra, non vi è alcune demarcazione tra certezze fatte di lineamenti precisi su programmi veri, su parole che possano essere tradotte in concretezza.
Se il Covid-19 ha avuto un merito, è stato quello di sollevare il velo dell’ipocrisia su una politica stanca, morta, che defunge ogni giorno e rinasce come l’Araba Fenice, per fortuna e per disgrazia. Ma non certo per sostenere i diritti dei più deboli, dei lavoratori per primi.
Il sindacato è pressoché silente: la voce di Landini la si sente qualche volta nelle televisioni ma vien voglia di cambiare canale per il troppo strepitare del Segretario della CGIL. La calma padronale, molto fantozziana, esce completamente dal suo sonno, da un torpore carsico e riemerge in forma di dettami al governo che prontamente esegue. Patrimoniale? Nemmeno se ne parli. Lo afferma Bonomi, lo ribadisce a spron battuto Conte.
E così, si va avanti e indietro, nell’altalena della confusione antisociale che produce mostri politici con un consenso che un poco scema nelle righe sovraniste ma che è sempre molto alto. Mentre in questo chiaroscuro, gramscianamente inteso, il vecchio accrocchio centrosinistro non muore (pur essendo già rigidamente cadaverico) e la nuova sinistra comunista tarda a nascere. Ed ecco che, da ieri, torna a farsi viva anche l’ipotesi del partito di Conte. Ma a fine epidemia. Meno male… O meno peggio?
(m.s.)
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