Lucifero e il futuro distopico del football

L'ultimo stadio. La Superlega che divide il mondo del pallone e il ruolo dell'imprenditore spagnolo Florentino Perez

Lucifero, il presuntuoso angelo ribelle, ha le fattezze di Florentino Perez, imprenditore spagnolo a capo di un grande gruppo di costruzioni, presidente del Real Madrid (rieletto per la sesta volta, fino al 2025), persino interessato al polo autostradale italiano.

Lui ha inventato i galacticos e ha sognato l’Invincibile Armada che sopravanza gli inglesi ben cinque secoli dopo, la sua amata Superlega, che dovrebbe chiamarsi European Premier League (paradossalmente proprio adesso che i sudditi di Elisabetta hanno fatto marameo all’Unione Europea), la nuova idea per monetizzare al massimo il global brand, quelle compagini un tempo chiamate squadre, delle 20 più ricche del vecchio continente.

Se si può vedere ogni volta Psg-Bayern (peraltro due club che non hanno ancora dato il loro assenso), chi preferirebbe AlbinoLeffe-Pontedera? L’ennesima celebrazione del calcio come sport da pay tv, amplificato dalla pandemia che ha chiuso a chiave gli stadi e lasciato a casa il pubblico, i tifosi, quelli che si presentano con sciarpe e bandiere, urlando canzoni e cori, ragionando d’identità locale, comunità e campanilismo.

Alone di nostalgico romanticismo per quello sport incontrato da bambini, dove vincevano i più bravi e non quelli che avevano comprato il pallone o affittato il campo. Negazione di «quei valori europei di diversità e inclusione», come dicono allenatori ed ex giocatori.

Niente più merito sportivo, i casi Leeds o Atalanta da dimenticare, l’importante è partecipare (alla Superlega) e portare a casa i ricchi dividendi assicurati dalla spartizione della torta. Insomma l’esempio è il modello statunitense della Nba, coi suoi sponsor, diritti tv e merchandising, prodotto televisivo venduto in tutto il mondo con una propria immediata riconoscibilità. Gli happy few scissionisti sostengono che l’industria televisiva del calcio – gestita insieme a Fifa e Uefa – abbia grandi margini di miglioramento. Soprattutto le partite debbono essere vendute in tv, sui telefonini, su ogni piattaforma possibile (come dimostra Dazn che si è assicurato i diritti tv della serie A) e possibilmente in tutto il mondo, segmentati per mercati.

Un’offerta pluviale di match a ogni ora del giorno, fruibili e accattivanti, con un semplice clic. Ad esempio, in Egitto ci sono 80 milioni di persone che vorrebbero vedere le gesta di Mohammed Salah, attaccante del Liverpool, ma attualmente non possono permetterselo e ricorrono alla pirateria. Forse sono coinvolgibili, migliorando il sistema dei micropagamenti stile Spotify o iTunes. Quanto dura la capacità d’attenzione dello spettatore ventenne, di fronte a incontri lenti e noiosi?

C’è una nuova leva che s’accontenta degli highlights sullo schermo e poi passa rapidamente ad altro? La Playstation o il Fantacalcio con gli amici sono più divertenti? Forse questo salto nell’Olimpo finanziario-bancario, con la garanzia della banca d’affari JPMorgan, è l’inevitabile conclusione di un processo che arriva da lontano, l’ampliamento delle competizioni (il Mondiale a 32 squadre, i gironi di Champions moltiplicati) e la trasformazione del football in uno spettacolo assoluto, quel futuro distopico immaginato da Rollerball, film del 1975, dove le grandi corporation si occupavano anche del benessere dei propri abitanti in un pianeta dominato da guerre, violenze, carestie. In un quadro famoso di Pieter Bruegel il vecchio, gli angeli trionfatori suonano le gloriose trombe contro gli avversari mostruosi.

Noi, con una lupa, un’aquila o un asinello nel cuore, possiamo solo restare sgomenti.

FLAVIANO DE LUCA

da il manifesto.it

Foto di Pexels da Pixabay

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