Quando si pensa alle figure storiche che hanno segnato, nel bene e nel male, la storia del XX secolo, inevitabilmente l’attenzione si sposta su Elisabetta II e sulla sua longeva e iconica figura di capo di Stato. Settant’anni di regno appena festeggiati e che le hanno consegnato, statisticamente parlando, il primato nell’ultra secolare storia della monarchia britannica.
Tralasciando i significativi ma freddi numeri, la figura politica-istituzionale e culturale che ha avuto Elisabetta II, regina di Gran Bretagna e Irlanda del Nord – nonché capo di Stato di molti altri paesi appartenenti al mondo anglosassone all’interno Reame del Commonwealth – ha assunto nei decenni un ruolo sempre più rilevante, non solo per i sudditi britannici, ma anche a livello globale, suscitando nella maggior parte dei casi un senso di grande rispetto.
Chi vi scrive non ha mai avuto alcun dubbio sull’importanza della Repubblica come forma di governo migliore tra tutte quelle sperimentate durante la storia dell’umanità, così come è sempre stata grande la vicinanza emotiva e politica per tutte quelle esperienze repubblicane che dalla Rivoluzione francese fino alla vittoria del referendum del 2 giugno 1946 hanno attraversato i libri storia nei nostri percorsi di studi.
Ciò premesso, è oggettivamente impossibile non rendere omaggio alla figura di una donna che ha rispettato il mandato di rappresentare il suo popolo con tanto di giuramento davanti a Dio nel giorno dell’incoronazione, secondo le usanze della corona britannica.
Tutta la sua vita è stata dedicata a questo scopo con dedizione. E pensare che alla nascita nessuno avrebbe immaginato che la storia le avrebbe assegnato quel ruolo. L’improvvisa abdicazione di Edoardo VIII nel 1936, a causa della sua relazione con la pluri-divorziata Wallis Simpson, aveva costretto il fratello di lui, Giorgio VI, ad assumere il peso della corona, facendo così diventare Elisabetta prima nella linea di successione.
Gli anni della guerra, passati a Londra sotto le bombe della Luftwaffe mentre altre casate regnanti fuggivano ignobilmente, e l’apporto allo sforzo bellico del Paese (entrando a far parte del Servizio Ausiliare Territoriale), contribuirono ad accrescere la simpatia e l’attaccamento della popolazione albionica verso la sua figura e i Windsor in generale. Infine, la prematura e sofferta scomparsa del padre nel febbraio del 1952, le aprirono a 26 anni le porte per la Storia.
I racconti della famiglia reale, dal matrimonio con Filippo fino alle recenti problematiche relative ai suoi nipoti, passando per il celebre divorzio tra Carlo e Diana, appartengono alla sfera delle voci di corridoio e dei pettegolezzi, che difficilmente possono interessarci. E tralasciamo anche gli sforzi che spesso ha sostenuto per una certa tematica ambientalista come la piantumazione degli alberi.
È il lato più politico che rilascia a Sua Maestà un ruolo credibile. Non si può dire che il suo regno sia stato dei più semplici. Non era facile gestire la fine dell’Impero britannico e l’inserimento del Regno Unito in una realtà geopolitica completamente trasformata dal 1945.
Eppure Elisabetta II è riuscita nella titanica impresa di mantenere il prestigio del Paese, così come è rimasto alto il consenso popolare verso una delle ultime istituzioni feudali ancora presenti nel terzo millennio, riuscendo a superare ogni ostacolo, persino quei convulsi giorni successivi alla morte di Diana. I rapporti con i suoi primi ministri, da Winston Churchill fino alla recentissima nomina della guerrafondaia Liz Truss, non sono sempre stati sereni.
Famoso ad esempio era il burrascoso rapporto con la “lady di ferro” Margaret Thatcher, per via delle divergenze di opinioni sugli effetti delle politiche sociali promosse dal governo fino ad arrivare alla figura di Nelson Mandela, che godeva dell’appoggio della sovrana.
Si sa, “il re regna ma non governa” recita un motto inglese, e necessariamente le scelte politiche del paese sono slegate dalla volontà della corona, ma avere un capo di Stato equilibrato che al momento opportuno sa consigliare i premier di turno, offre inevitabilmente un vantaggio politico.
Nel complesso, se l’inizio di un lungo regno viene visto con simpatia per la novità, e il periodo finale di questo ottiene un indiscusso senso di rispetto, la fase centrale vive spesso fasi altalenanti, dove non sempre le scelte fatte possono sembrare quelle corrette e apprezzate; non a caso, il tentativo di tenere al passo coi tempi l’istituzione monarchica è stato sicuramente una delle sfide più difficili.
C’è riuscita in larga parte, quanto meno per preservare ancora per un po’ il prestigio della corona, in attesa di futuri esami ed evoluzioni storiche.
Il regno di Elisabetta II, così come quello della sua trisavola, l’imperatrice Vittoria, e quello di Elisabetta I, ha lasciato il segno non solo nella società britannica (persino gli scozzesi le sono affezionatissimi!) ma anche nell’immaginario collettivo. Tanti, tantissimi e tantissime di noi sono nati durante il suo regno, e la fine di questo rappresenta inesorabilmente un passaggio epocale.
Con la scomparsa di Gorbačëv e quella di Elisabetta II, se ne vanno le ultime due grandi personalità del XX secolo. Il Novecento, ormai, è sempre più un ricordo da consegnare ai libri di storia, e non soltanto per i sudditi britannici.
FABRIZIO FERRARO
9 settembre 2022
Foto di John Smith