Strage del terrore, strage omofoba, strage su commissione del Califfo o lupo solitario che si è “radicalizzato da solo”? Le ipotesi del perché e del come abbia agito Omar Seddique Mateen sono tante.
Questo ragazzo di ventinove anni, nato a New York da genitori pakistani, era una guardia giurata, sembra non fosse molto tenero nei rapporti familiari con la moglie e pare provasse orrore nel vedere due uomini scambiarsi baci in luogo pubblico.
Il ritratto che ne fa il padre corrisponde a quello di una persona che provava sentimenti contrastanti con quelle che sono le libertà fondamentali del pensiero non libertario, ma meramente liberale: i diritti delle donne, i diritti degli omosessuali, la libertà di poter esprimere la propria felicità al di là di steccati ideologici, pregiudizi religiosi e preconfezionamenti di paradigmi fondati su un modello quasi medievale di società.
Pare che prima di ammazzare cinquanta persone e ferirne altre 53 con un fucile del tipo addirittura in dotazione alle forze armate della Nato, munito anche di pistola, abbia telefonato al numero delle emergenze, il famoso 911 che si sente pronunciare in tanti, troppi telefilm di legge, ordine, pronto soccorsi americani.
Avrebbe inneggiato all’Isis, dichiarato di esserne un simpatizzante. Di lì a pochi minuti la strage nel locale “Pulse”, un locale gay, fondato da una ragazza italiana in memoria del fratello morto di Aids.
“Pulse”, come il cuore che pulsa, come i battiti non solo di un muscolo che rende vivo tutto l’organismo insieme al cervello, ma come i battiti di un cuore che ama, che vuole innamorarsi e vivere senza vincoli affetti, sesso e qualunque cosa la vita possa offrire.
Ma Mateen non la pensava così. Mateen, come tutti (o quasi) i combattenti del Daesh (o presunti tali per dichiarazione unilaterale di affiliazione) si nutriva invece di odio e disprezzo per gli uomini che si baciavano per strada, davanti ai suoi puri occhi di fedele che, odiando altri suoi simili, non sapeva di aver già tradito la religione che diceva di voler praticare e difendere con qualche “jihad” in appoggio ad Al Baghdadi e al suo califfato nero.
Chi vive di odio, chi lo sparge ogni giorno nei grigi sentieri delle città dell’inconsolazione, della sopravvivenza, della disperazione e della miseria, chi fomenta la diffidenza e lo sguardo guardingo verso il proprio vicino “diverso” per qualche ragione da noi stessi, chi mette in campo idee che spingono al sospetto piuttosto che alla comprensione (in senso lato e in senso anche stretto del termine), chi fa tutto questo non agisce in difesa di un territorio, di un popolo, di una nazione, ma fa di quel paese un luogo invivibile di paura costante.
Non si può vivere di paura, di odio, di terrore. E se si vive solo per questi elementi oscuri di un animo ruvido e di un cuore di pietra, allora si finisce per imbracciare anche un fucile semiautomatico AR-15, si va in un locale dove ballano e si divertono persone considerate “impure” e segno di una modernità da abbattare, si spara all’impazzata e si uccide, si uccide e si uccide ancora, finendo poi freddati dai colpi dei corpi speciali che devono far cessare quella mattanza.
La storia ha dimostrato che i poteri consolidati, che danno forma e sostanza agli stati nazionali e alle comunità cui fanno riferimento, hanno sempre ragione del terrorismo solitario e anche di quello che ha tentato di costituirsi come un vero e proprio Stato. Ne hanno ragione perché li legano interessi che si rendono simbiotici con valori universalmente riconosciuti.
E poco importa se gli Stati Uniti si comportano da terroristi quando sparpagliano per il pianeta i loro agenti, fomentano guerriglie che poi gli si rivoltano contro (come Al Qaeda e proprio come Daesh oggi). Loro sono sempre dalla parte giusta, anche quando promuovono colpi di stato feroci, sanguinosi; quando danno vita a guerre con pretesti che loro stessi generano nella migliore millenaria tradizione della necessità di iniziare una guerra.
La morale degli stati sarà sempre superiore a quella dei terroristi, nonostante tutte le loro somiglianze proprio con un certo terrorismo sia collettivo che solitario.
Il motivo per cui ciò avviene è molto semplice: noi facciamo parte di queste comunità organizzate e riconosciamo loro la legittimità di combattere chi sparge terrore gratuitamente, colpendo civili innocenti, attaccando valori che, nel bene o nel male, sono avanzamenti verso uno stile di vita migliore che ancora non si coniuga con un cambiamento economico che vada nel senso della protezione prima e dell’evoluzione dopo dei diritti dei più deboli.
Gli stati per uccidere e sterminare hanno solo bisogno di pretesti che diano una legittimità a queste azioni definite “guerre”. Ora sono “umanitarie”, ora sono “di difesa”… Ma sempre guerre sono.
Gli stati si contraddicono tra proclamazioni di fedeltà ai princìpi del diritto e delle costituzioni, ma pur sempre li hanno e formalmente garantiscono l’applicazione di quei diritti inalienabili degli esseri umani e viventi tutti.
Daesh invece è solo una macchina di terrore che vuole annientare chiunque sia diverso dal mondo medievale del califfo nero. E’ un super totalitarismo teocratico che aiuta quelle economie arabe e occidentali vendendo loro petrolio e sostenendole nella ridefinizione dei confini geopolitici per il controllo della regione mediorientale.
Daesh non è rivoluzionario, non sovverte nessun potere costituito, non fa evolvere la società in un mondo più libero, uguale e giusto; ci fa solamente ritornare ai tempi in cui l’omosessualità era un crimine, una malattia, una peste da eliminare e scansare con ogni mezzo.
Mateen il mezzo l’ha trovato: un fucile, una pistola. Un avvicinamento progressivo alle idee radicaleggianti e folli di un regime omicida e criminale.
Potete anche odiare gli omosessuali, potete dire che siamo “impuri”, “appestati”… Ma noi siamo semplicemente come voi, né più e né meno. Amiamo come voi, soffriamo come voi.
Oggi, soffriamo di più, perché l’amore muore quando tutto intorno chi ti osserva ti giudica, ti disprezza e alla fine ti odia. Per una paura figlia dell’ignoranza tanto laica quanto religiosa.
Il nostro arcobaleno ci unisce in questa lotta pacifica per la costante progressione dei diritti civili. Il nostro arcobaleno è bello e al sole splende nelle sue tinte più fervide e forti. Il nero del califfo oscura il sole. E per questo non vincerà.
MARCO SFERINI
13 giugno 2016
foto tratta da Pixabay