A rigor di osservazione, anche un po’ sempliciotta, si potrebbe dire che non vi è in Italia una opposizione così responsabile, con un alto senso civico delle istituzioni, da poter consentire la fine dello stato di emergenza, così da far rientrare tutti gli atti normativi del governo nel pieno esercizio delle funzioni parlamentari.
Ma sarebbe, nonostante il punto di verità che rimane, quello riguardante l’irresponsabile opposizione sovranista (il che comprende tanto liberisti di nuovo e vecchio stampo e neofascisti ridipintisi addosso una verginità ulteriore, oltre quella ereditata dalle Terme di Fiuggi), va detto che nemmeno la maggioranza appare in grado di essere un luogo di pronto decisionismo, su sollecitazione del governo.
Lo schema dovrebbe essere questo: si mette fine allo stato di emergenza pur persistendo l’emergenza stessa che, in teoria, dovrebbe poter essere gestita da Conte senza decretazioni di urgenza, senza i famigerati DPCM, facendo quindi ricorso, ogni volta che deve essere introdotta una nuova condotta nell’affrontare l’epidemia da Covid-19 nel Paese, al voto parlamentare, quindi alla discussione approfondita.
E’ evidente che le Camere non possono mettersi a discutere sull’orario in cui devono essere indossate le mascherine o se devono essere (come parrebbe più logico e necessario) indossate sempre su tutto il territorio nazionale. Ma il Parlamento deve poter riavere la parola ogni qualvolta le decisioni sulle scelte di vita dei cittadini sono di ampia portata e investono più campi della vita sociale: economia, sanità, scuola, per fare un esempio calzante di questi giorni.
La prontezza di intervento spetta poi al governo, ma privo di quei “pieni poteri” che i DPCM gli affidano e che gli permettono di scavalcare – seppur del tutto costituzionalmente – le prerogative del legislatore per eccellenza.
Dunque, pur cercando qualche alibi per la proroga dello stato emergenziale, se ne trovano ben pochi, a meno che non si utilizzi lo svilimento delle forze politiche per la loro litigiosità, per i contrasti quotidiani che emergono tanto internamente a ciascun partito quanto esternamente nei rapporti tra maggioranza e minoranza, tra forze di governo e forze di opposizione. E’ una china pericolosa questa, poiché nel mostrare tutta la benevolenza e buona fede dell’esecutivo, rischia sempre di terminare la sua discesa con una sottovalutazione delle potenzialità del Parlamento.
Nonostante il risultato del referendum del 20 e 21 settembre, dove comunque non si è concretizzato il sogno pentastellato del plebiscito popolare sul taglio dei parlamentari, nessuno è e deve essere autorizzato a ritenere il governo un gradino più in alto delle assemblee legislative della Repubblica che restano il cuore, il centro, il fulcro della nostra malconcia democrazia, ma che pur sempre democrazia parlamentare rimane.
Per onestà intellettuale, morale, civile e anche politica bisogna dire che, pur avendo l’esecutivo fatto estremo ricorso ai DPCM in questi mesi, è altresì vero che ciò non è mai accaduto al di fuori del contesto creatosi con la pandemia: prima del 9 marzo nessuno (o quasi) sapeva che esistesse quell’acronimo di quattro lettere tanto ribattuto sulle colonne dei giornali e sui siti Internet nei mesi della chiusura totale e anche dopo.
Ciò fa almeno ben sperare. Sperare che Conte e i suoi ministri non abbiano, dopo il 31 gennaio 2021, intenzione di consolidare una politica fatta di decreti del Presidente del Consiglio e non di riforme da varare tramite la esclusiva discussione delle commissioni e del Parlamento stesso. Il governo non ha mai preteso quei “pieni poteri” invocati da Salvini a suo tempo: una formula volutamente ambigua ma altrettanto chiara per i sovranisti che sognano uno spostamento su basi presidenziali della Repubblica e il progressivo depotenziamento del ruolo delle Camere, ridotte a ratificatrici del decisionismo bonapartista di un capo che guidi la nazione senza troppe discussioni, senza doppi passaggi di un bicameralismo perfetto ingombrante per chi vuole sentirsi un po’ re in un regime repubblicano.
Termianta l’emergenza del coronavirus sarà essenziale rivedere al centro della politica nazionale l’attività delle Camere. Non vi è motivo per dubitare che ciò avvenga. Ma vi sono anche molte incognite che rimangono latenti sul piano inclinato di un riformismo costituzionale tutto in salita, dove il primo passo, quello della legge elettorale proporzionale, viene auspicato da tanti pubblicamente ma privatamente esecrato e maledetto come inevitabile e necessario passaggio senza il quale il pasticcio creato col referendum provocherebbe alterazioni significative in merito all’equipollenza dei poteri dello Stato.
La proroga dell’emergenza che il governo chiederà al Parlamento di approvare è necessaria ma deve mantenere il suo carattere di straordinarietà. Caso mai finisse per divenire abitudine istituzionale e consuetudine politica nella gestione quotidiana della vita del Paese, questo rappresenterebbe un ulteriore problema per la tenuta della democrazia: un problema che si andrebbe a sommare ad una serie di attacchi che – non dimentichiamocelo – in questi mesi sono arrivati tanto dalle forze sovraniste quanto da quelle di maggioranza. Il peggiore di tutti: il taglio del Parlamento nel nome dell’opposto che la riforma provocherà.
Siccome la linea di discontinuità e di separazione tra verità e bugia è divenuta molto esile, sottile, quasi invisibile ad occhio nudo, è consentito oggi pensare che qualunque atto consegni all’esecutivo maggiori poteri, straordinari quanto si vuole per via dell’eccezionalità degli eventi in cui viviamo, possa facilmente involvere in uno sfibramento delle garanzie costituzionali che tutelano tanto l’architrave dello Stato quanto la singola vita di ogni cittadino.
Pandemia o no, se rimane una presunzione di innocenza per il governo, almeno per noi resti il diritto al dubbio, il dovere della critica.
MARCO SFERINI
2 ottobre 2020
Foto di Engin Akyurt da Pixabay