Lo scontro finale dei liberisti al governo

Che cosa vuole esattamente Italia Viva? Partecipare ad una maggioranza di un nuovo esecutivo a guida magari Mario Draghi, più spostato al centro, meno giallo e meno rosso, più...

Che cosa vuole esattamente Italia Viva? Partecipare ad una maggioranza di un nuovo esecutivo a guida magari Mario Draghi, più spostato al centro, meno giallo e meno rosso, più rosa, verde e nero? Oppure, tutti questi tatticismi sul Recovery Fund altro non sono se non un tastare il terreno per vedere cosa si scorge oltre il Conte bis, fino a dove il PD può arrivare in una ipotesi di “larghe intese” con Forza Italia (ma senza i Cinquestelle)?

Quando il dialogo tra le forze parlamentari si riduce a questi scontri quotidiani, fatti di improvvisazioni peggiori rispetto a quelle che sono dettate dalla necessità dell’emergenza sanitaria, finisce col divenire veramente molto noiosa, perché ripete schemi già visti, canovacci di un teatrino italico dell’assurdo che è lontanissimo dal rappresentare anche vagamente gli interessi sociali, mentre sostiene la costruzione narrativa di chi vuole mostrare la politica come esclusivo appannaggio di consumati mestieranti, veramente molto poco amici dei beni e del benessere comune.

Anche per il più sprovveduto degli osservatori dell’agorà parlamentare e del dibattito che si diffonde nel Paese, nei vari livelli istituzionali pure, sarà inevitabile prendere atto che le mosse di Italia Viva sono il pedinamento costante di ogni parola, di ogni atto del governo per evidenziarne le speciose inadeguatezze. Una constatazione simile esula dalla critica più che giusta e ragionata su determinati ambiti delle politiche dell’esecutivo. Si può non sentirsi rappresentati da questo governo senza per questo dover approvare il tiro al bersaglio messo in pratica dal partitino di Matteo Renzi.

Più volte il tentativo di giocare al “nemico del mio nemico“, che diventa mio amico, termina con l’essere una forma di cronico cinismo che pervade gran parte della popolazione, di un elettorato ondivago, pronto da sedurre con la chiamata all’unità nazionale, alla difesa suprema del benessere popolare, senza distinzione alcuna di classe ma anzi, facendo proprio dell’interclassismo la bandiera di libertà del modernismo mercantilista del capitalismo.

La cosiddetta “tregua di Natale” tra Renzi e Conte si regge esclusivamente sulla legge di bilancio, appena passata al vaglio della Camera dei Deputati, ma non sembra avere altri appigli cui aggrapparsi per garantire alla maggioranza un futuro sereno (parola che evoca antichi spettri…) nel 2021.

Lo scontro di potere in atto è, come del resto si è già ampiamente osservato, un rivelaggiare sul diritto di rappresentanza degli interessi economici dominanti che, proprio in questo irrequieto 2020, sono mutati così tanto da spiazzare organizzazioni padronali, grandi concentrazioni finanziarie e ricchissimi investitori: tutti stanno osservando le mosse della pandemia per cercare di capire dove sarà più utile dirigere i capitali e recuperare quelle perdite di profitti registrate negli ultimi dieci mesi.

Quelle di Renzi non sono ciò che appaiono: delle semplici provocazioni per incalzare il governo a cambiare strategia negli investimenti da destinare con i soldi provenienti da Bruxelles. Altrimenti, sono attacchi mirati ad un logoramento progressivo delle funzioni dell’esecutivo, a farlo apparire come debole, fiacco, sfibrato da una intensità della politica di gestione delle risorse che mette sotto pressione qualunque ministero e ministro, senza risparmiare la seraficità di Conte che, va detto, è ammirevole nel riproporre un capo del governo in salsa democristiana, dal sapore antico, dal ritorno all’imperturbabilità dei grandi leader di un partito che ha fatto la storia – bene o male che dir si voglia – del Paese.

Da un lato Italia Viva mira certamente a rappresentare, nell’alveo della maggioranza, quegli interessi tanto del ceto medio quanto della grande borghesia per portarli fuori dal presunto “minoritarismo” in cui sarebbero finiti nell’azione di governo; dall’altro, ultimo ma non da non meno, punta – nel prossimo futuro –  a portarsi in dote come rappresentanza “di palazzo” ad una classe padronale che oggi cerca un investimento tutto politico per un futuro nuovo comitato di affari, proprio marxianamente inteso, che si faccia latore di ogni necessità imprenditoriale.

E’ poi, del resto, veramente curioso il comportamento renziano e di Italia Viva: quali sarebbero queste differenze programmatiche tra il partitino dell’ex rottamatore e le altre forze di governo, fatta salva l’eccezione rappresentata da Liberi e Uguali? La maggioranza è quasi unanime nel bocciare l’ipotesi di patrimoniale avanzata da Nicola Fratoianni, e lo fa in sintonia con l’opposizione liberista e sovranista; sempre la maggioranza, e sempre quasi all’unanimità, è concorde nel ricorrere ad un finanziamento europeo mediante il famigerato MES, anche se sulla destinazione del medesimo si aprono contrasti pari a quelli sul Recovery plan.

Ed ancora, sull’alta velocità, così come sulle politiche di bilancio, PD, Italia Viva e Cinquestelle non marcano clamorose differenze: discutono all’interno del Consiglio dei Ministri, ma alla fine il cerchio quadra: il privato al centro e il pubblico di contorno. Qui si innesta il dilemma (si fa per dire…) della necessità di un salto di ennesima squalificazione dell’esecutivo con nuove politiche marcatamente di destra (liberali, liberiste, quanto meno).

Siccome la discussione è tutta spostata su tatticismi e riposizionamenti interni, sulla distribuzione degli incarichi di governo e magari proprio sulla presenza stessa di Conte alla Presidenza del Consiglio, i problemi reali e le discussioni già svoltesi in Parlamento finiscono per divenire delle comparse nel teatro dell’assurdo di questi giorni

La cosiddetta “task force” prevista per la gestione e la distribuzione dei fondi europei, che pure ha rappresentato – nonostante i successivi dinieghi di Conte, molto tardivi e, per questo, poco credibili – una prevedibile anomalia a-istituzionale, strutturata sul potere di tecnici e specialisti privi di qualunque delega popolare, di un legame anche indiretto con la filiera rappresentativa emanazione della sovranità che viene dal basso, è stata criticata da Italia Viva non con le stesse motivazioni con cui lo si è fatto dal nostro punto di vista.

L’anatema renziano, arrivato unitamente alla minaccia del ritiro della delegazione dei ministri di Italia Viva dal governo, poggiava sull’assunto, non apertamente detto ma lasciato largamente intuire, che operando in quel modo si scavalcavano non tanto le istituzioni preposte al controllo, ma anzitutto i mediatori politici primi: i partiti e, fra questi, quelli minori, quei “cespugli” di cui ora Renzi fa parte e che invece tanto gli erano di ingombro quando era a capo del governo, quando tentò di far passare una riforma incostituzionale che avrebbe tagliato le ali estreme degli schieramenti e lasciato campo libero ad una alternanza di posizioni pressoché eguali nella condivisione del liberismo come struttura portante e dirigente dell’economia nazionale, della politica italiana.

E’ una guerra di posizione, al momento. Si potrebbe trasformare in un conflitto per il riposizionamento, per far ripiegare un liberismo governativo giudicato dall’ala più intransigente eccessivamente debole nel proteggere i privilegi padronali e dei grandi affaristi. Se così sarà, la crisi verrà mostrata da Renzi come la necessità di dare vita ad un governo decisionista nel suo essere democraticamente plurale e collaborativo; da Conte, e principalmente dal PD, arriveranno gli strali sulla (peraltro nemmeno così campata per aria) accusa di inopportunità di aprire in questo momento una crisi di governo.

Renzi chiama le sue 61 proposte al governo con un acronimo che è uno sberleffo: “C.I.A.O. – Cultura, Infrastrutture, Ambiente, Opportunità“. Punti di programma messi in fila per formare quella parola che serve alla stampa e alle televisioni per creare il più facile dei titoli: “Renzi dice CIAO a Conte“. L’occupazione mediatica della scena è assicurata e i contenuti passano in cavalleria. Entro concetti così ampi, il vago sguazza che è un piacere e volutamente cercato da chi ha tutte le intenzioni di aprire una stagione di pace sociale suggerita dalla disperazione del Covid-19: l’emergenza aiuta a dichiarare residuali tutti gli altri problemi.

Che vuol dire “Cultura“? Forse che i soldi del MES verranno spesi prima per la sanità oppure per i musei? Non c’è settore pubblico che non abbia bisogno di essere sostenuto debitamente, ma non lo si può fare ricorrendo a fondi che indebitano il Paese sempre di più. Lo si dovrebbe fare facendo pagare coloro che hanno per una vita accumulato profitti sulle fatiche dei lavoratori! Ma questo è un concetto troppo novecentesco, troppo vecchio, che pretenderebbe di separare la società tra sfruttati e sfruttatori. E non si può fare, tuonano i liberisti che litigano al governo! Niente patrimoniale. Semmai il MES, semmai qualche aggiustatina ai capitoli di indirizzo di spesa del Recovery Fund.

Che vuol dire “Opportunità“? Qui siamo al ridicolo, nemmeno all’osceno e al patetico: proprio al ridicolo. Le opportunità per chi? Per imprenditori e lavoratori al tempo stesso? Se vi sono per entrambe le classi sociali, allora vuol dire che non ve ne sono, poiché confliggono in quanto ad interessi primari e non sono conciliabili. Ma, si sa, i liberisti fanno magie!

Di vera riqualificazione del pubblico, delle infrastrutture pubbliche, di investimenti nei centri produttivi per riconvertirli alla gestione di Stato, nessuno parla e parlerà durante la probabile crisi di gennaio. Che qualcuno, Babbo Natale o Befana che sia, porti almeno del carbone, ma vero, non quello dolce, a questi litigiosi rappresentanti degli interessi della moderna borghesia del nuovo millennio. Se lo meritano tanto, anzi… tantissimo.

MARCO SFERINI

29 dicembre 2020

foto: screenshot tv

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