Due giovani, il 22enne Mohammad Karami e il 20enne Mohammad Hosseini, arrestati durante le recenti manifestazioni, dopo un breve e ambiguo processo sono stati impiccati in Iran con l’accusa di «corruzione sulla terra».
L’esecuzione delle sentenze è avvenuta malgrado la forte avversità dell’opinione pubblica iraniana e le critiche di vari giuristi e studiosi riguardo l’impossibilità per i condannati di scegliersi un avvocato e avere accesso a un giusto processo.
Dopo sei giorni e appena tre udienze la magistratura ha confermato le accuse di «corruzione sulla terra», azioni contro la sicurezza nazionale e aggressione agli agenti di sicurezza che aveva portato alla morte di un agente Basij, forza paramilitare iraniana.
Secondo familiari e attivisti, a Karami – curdo, campione di karate tanto da arrivare alla nazionale giovanile e in sciopero della fame in carcere da mercoledì – sarebbe stato impedito anche di parlare per l’ultima volta con i genitori. Hussein invece ha subito crudeli torture per strappargli una confessione.
Prima di loro, l’8 dicembre 2022, il 23enne Mohsen Shekari era stato impiccato dopo un processo iniquo con l’ambigua accusa di «inimicizia contro Dio». E il 12 dicembre, le autorità avevano messo a morte Majidreza Rahanvard, 23 anni, per lo stesso reato senza possibilità di ricorso.
Il reato di corruzione sulla terra e/o inimicizia contro Dio è stato contestato ad altri 78 manifestanti detenuti. Sono state emesse altre 17 condanne a morte. Tra loro due 18enni, Mehdi Mohammadi Fard e Arshia Takdastan.
Secondo le indagini del Detainee Follow-up Committee, dall’inizio della rivolta, settembre 2022, almeno 16 persone sono state uccise in detenzione a causa delle torture per estorcere confessioni o per mancate cure mediche efficaci dopo essere state ferite da proiettili. Il numero esatto degli arrestati non è noto, ma si stima siano almeno 20mila.
Il comitato ha ricevuto numerose denunce di torture fisiche e mentali di detenuti nelle carceri di tutto il paese. Tra gli arrestati si contano 140 artisti e studenti d’arte.
Anche per questo molti noti artisti e l’Iran’s Independent Filmmakers Center hanno dichiarato che quest’anno boicotteranno il Fajr Festival iraniano, il più importante evento cinematografico che si svolge a Teheran ogni febbraio, in occasione dell’anniversario della rivoluzione iraniana.
Ma la repressione non si ferma: in questa prima settimana dell’anno sono stati arrestati Mehdi Beyk, Shargh Milad Alavi e Mehdi Ghadimi: vanno a infoltire il gruppo di almeno 80 giornalisti detenuti dallo scoppio delle proteste. A Zahadean, dove ogni venerdì si registrano manifestazioni contro il regime, i servizi di sicurezza hanno arrestato 113 persone nell’ultima settimana, tra cui 18 minori.
Una repressione durissima che porta a reazioni: 15 detenute nel carcere di Karaj, ovest di Teheran, da lunedì sono in sciopero della fame per protestare contro la o detenzione a tempo indeterminato senza formulazione di accuse e il mancato accesso a legali.
Una prassi che fa piovere le critiche di giuristi ed esperti di giurisprudenza islamica all’interno del paese. Mohsen Borhani, avvocato e docente universitario, esperto in diritto penale e criminologia continua a sottolineare le irregolarità del sistema giudiziario e il trattamento riservato agli arrestati. Borhani è stato minacciato di essere espulso dall’università.
Intanto sono riprese le proteste notturne in varie città e sono apparsi banner che invitano la popolazione alla piazza in occasione della ricorrenza dell’abbattimento del volo ucraino PS752 da parte di due missili iraniani.
L’8 gennaio 2020, l’aereo civile si schiantò pochi minuti dopo il decollo dall’aeroporto internazionale di Teheran. L’incidente si verificò a causa della crescente tensione tra Stati uniti e Iran, innescata dall’uccisione del generale iraniano Qasem Soleimani all’aeroporto di Baghdad, pochi giorni prima.
Il 10 gennaio, di fronte a prove inconfutabili, dopo tre giorni di ferme smentite Teheran aveva ammesso pubblicamente che i suoi militari avevano abbattuto l’aereo: «errore umano».
Tra le 176 vittime, 82 iraniani, 63 canadesi, 11 ucraini, dieci svedesi, quattro afghani e tre britannici. Dalla strage è nata l’Associazione delle famiglie delle vittime del volo PS752, con l’obiettivo di chiedere giustizia, guidata da Hamed Esmaeilion, scrittore e dentista iraniano-canadese che ha perso la moglie e la figlia nel disastro. Oggi Esmaeilion è tra i più noti oppositori della Repubblica Islamica all’estero.
La sua rilevanza è dovuta al favore della popolazione all’interno del paese soprattutto per le sue ripetute affermazioni di non voler dare ricette su come proseguire la lotta interna.
Alla vigilia del terzo anniversario dell’abbattimento dell’areo PS752 l’Associazione ha scritto su Twitter: «La giustizia prevarrà, unisciti ai raduni in tutto il mondo l’8 gennaio». Decine di gruppi avevano già chiesto la partecipazione dei cittadini alle manifestazioni.
FRANCESCA LUCI
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