Lionel Stander. Più a sinistra della sinistra

Protagonista nella Hollywood degli anni '30 e '40 finì nella "lista nera" per poi rifarsi una carriera in Italia
Lionel Stander

Quando venne sciolta la House Committee on Un-American Activities (Commissione per le attività antiamericane, HCUA), creata col benestare della Corte Suprema statunitense che sottolineò come la minaccia comunista fosse più importante della libertà di parola, si stima che tra le dodicimila e le quindicimila persone persero il lavoro. La HCUA, oltre a perseguitare i vertici del Communist Party of the United States of America (Partito Comunista degli Stati Uniti d’America, CPUSA) che finirono anche in carcere, stilò delle autentiche liste, segrete, ma efficacissime.

Un’autentica crociata che prese il nome dal senatore repubblicano Joseph McCarthy, il famigerato “Maccartismo”, ma aveva tratti trasversali ed era diretta dal potentissimo capo dell’FBI J. Edgar Hoover. Furono segnalati funzionari pubblici, operai, marittimi, orchestrali, insegnanti, docenti e, come noto, donne e uomini del mondo del cinema.

1. Lionel Stander

Chi era, o era stato, comunista o semplicemente progressista, vedeva la sua carriera conclusa a meno che non collaborasse facendo i nomi di altri iscritti al CPUSA. Un sistema perverso che non risparmiò nessuno da Charlie Chaplin, che dopo la presentazione di Limelight rimase in Europa, a John Garfield bello e dannato, indimenticabile protagonista de The Postman Always Rings Twice, che finì in un abisso dal quale non riuscì più a riemergere. Ma c’è un attore che fu allontanato da Hollywood per quasi vent’anni, in tutti gli interrogatori c’era sempre la stessa domanda: “Lei conosce Lionel Stander?”. E tutti i comunisti lo conoscevano bene.

Il padre Louis Elias Stander (Riga, 28 marzo 1874 – Los Angeles, 3 marzo 1938) e la madre Belle Kanter (Kaunas, 31 agosto 1885 – 5 agosto 1971), russi di origine ebraica, emigrarono dall’attuale Lettonia per raggiungere New York dove, nel quartiere del Bronx, l’11 gennaio 1908 nacque Lionel Jay Stander.

Frequentò l’University of North Carolina a Chapel Hill, la prima università pubblica degli USA fondata nel 1789 durante il primo anno di presidenza di George Washington. Tra i suoi celebri studenti, tanti anni dopo, anche la stella dell’NBA Michael Jordan. Lionel non si laureò, ma in Nord Carolina iniziò a recitare in alcune rappresentazioni studentesche: “The Muse of the Unpublished Writer” e “The Muse and the Movies: A Comedy of Greenwich Village”.

Tornato a New York, nel 1928 iniziò a calcare con regolarità il palcoscenico del Provincetown Playhouse recitando in opere tratte da Edward Estlin Cummings, grande poeta statunitense che negli anni diverrà un convinto sostenitore di Joseph McCarthy. Come molti altri attori teatrali Lionel trovò spazio anche in diversi cortometraggi girati nella “Grande mela”. Firmò un contratto con la Vitaphone, legata alla Warner Bros., e recitò in diverse commedie.

2. In the Dough (1932) di Ray McCarey

La prima fu In the Dough (1933) diretto da Ray McCarey con Roscoe Arbuckle all’ultimo film (morì appena terminate le riprese). Seguirono: Salt Water Daffy (1933), How’d Ya Like That? (1934), Pugs and Kisses (1934), I Scream (1934), Smoked Hams (1934) tutti diretti da Ray McCarey, Mushrooms (1934) di Ralph Staub, Smoked Hams (1934) di Lloyd French, fino ad arrivare a The Old Grey Mayor (1934) al fianco di Bob Hope, suo ultimo film per la Vitaphone. Il ruolo di Lionel Stander, uomo massiccio e dalla voce imponente, era quello del cattivo di turno.

Nel 1935 apparve nel suo primo lungometraggio The Scoundrel (1935) diretto da Ben Hecht. Il film, che vide il debutto di Noël Coward, racconta la storia di redenzione di un potente editore che dopo la morte torna sulla Terra per cercare qualcuno che lo pianga. Una trama che ne ispirerà altre e che vinse l’Oscar come Miglior soggetto.

Forte del successo del film, Lionel Stander si trasferì a Hollywood dove firmò un contratto con la Columbia Pictures. Iniziò così a recitare in ruoli sempre più importati. Sempre nel 1935 uscirono: Hooray for Love di Walter Lang, We’re in the Money di Ray Enright, Page Miss Glory di Mervyn LeRoy, The Gay Deception (L’allegro inganno) diretto da William Wyler (futuro regista del kolossal Ben Hur) e I Live My Life (Io vivo la mia vita) di W. S. Van Dyke.

Quindi recitò diretto da William A. Seiter in If You Could Only Cook (Sarò tua, 1936), commedia degli equivoci in cui un giovane industriale per amore inizia a lavorare come cameriere nella casa di un mafioso. Seguirono: I Loved a Soldier (Ho amato un soldato, 1936) di Henry Hathaway, Soak the Rich (1936) diretto da Ben Hecht e Charles MacArthur.

3. The Milky Way (19836) di Leo McCarey

Lionel Stander era ormai un attore affermato. Nel 1936 uscì The Milky Way (La via lattea, 1936) diretto da Leo McCarey, fratello del meno noto Ray, che pochi anni prima aveva realizzato Duck Soup (La guerra lampo dei Fratelli Marx) e pochi anni dopo diventerà un grande accusatore dei comunisti a Hollywood.

Il timido e mingherlino lattaio Burleigh Sullivan (Harold Lloyd) stende per sbaglio il pugile Speed McFarland (William Gargan) che, accompagnato dall’amico Spider Schultz (Lionel Stander), stava importunando Mae Sullivan (Helen Mack) sorella di Burleigh. Il manager di McFarland Gabby Sloan (Adolphe Menjou, altro fervente anticomunista) decide così di ingaggiarlo e di portalo, dopo una serie di incontri truccati, alla sfida per il titolo contro il suo pugile.

Una simpatica commedia che, tuttavia, ebbe scarso successo al botteghino contribuendo al declino della carriera di Harold Lloyd, stella di prima grandezza del cinema muto che rincorreva un’affermazione anche col sonoro. Nel cast debuttò, nel ruolo di uno spettatore, Anthony Quinn.

In ruoli da comprimario, Lionel Stander recitò, sempre nel 1936, anche in The Music Goes ‘Round (Paradisi artificiali) di Victor Schertzinger e, soprattutto, in Meet Nero Wolfe di Herbert J. Biberman, prima trasposizione cinematografica dell’investigatore nato due anni prima dalla penna di Rex Stout, in cui interpretò l’assistente Archie Goodwin del detective (Edward Arnold).

Quindi venne contattato da uno dei maggiori registi della Columbia: Frank Capra. Il regista, tre volte vincitore dell’Oscar, lo ingaggiò per uno dei suoi film sull'”American Way of Life”, quella retorica nazionalista dove ogni cosa “può succedere solo negli USA” (che Chaplin smontò col suo Modern Times). Il 12 aprile del 1936 uscì Mr. Deeds Goes to Town, che nella non brillante titolazione italiana divenne È arrivata la felicità.

4. Mr. Deeds Goes to Town (1936) di Frank Capra

Longfellow Deeds (Gary Cooper, altro anticomunista), proprietario di una fabbrica di candele a Mandrake Falls nel Vermont, eredita 20 milioni di dollari da un lontano zio suscitando la curiosità di un ex giornalista tutto fare, Cornelius Cobb (Lionel Stander) e dell’avvocato John Cedar (Douglass Dumbrille) disposto a tutto pur di amministrare l’ingente patrimonio. Costretto a trasferirsi a New York per occuparsi della vicenda, l’ingenuo Longfellow si trova in mezzo a profittatori di ogni genere.

La giornalista Louise ‘Babe’ Bennett (Jean Arthur), fingendosi sua amica, riesce a strappare foto e storie inedite e gli affibbia il soprannome Cindarella Man (Cenerentolo), ma l’uomo, all’oscuro di tutto, se ne innamora e quando scopre la verità, grazie Cornelius divenuto uno schietto amico, decide di sbarazzarsi dell’eredità e di donarla agli agricoltori colpiti della “grande depressione”. Cedas, per evitare questo, lo fa arrestare e cerca di farlo passare per pazzo davanti ai giudici. Longfellow, ormai disilluso verso la città e i suoi abitanti, rifiuta un avvocato, e non si difende fino a quando Louise si dice pentita e confessa il suo amore tra gli applausi degli agricoltori giunti in massa e dell’amico tuttofare Cornelius.

Una sintesi del pensiero politico di Capra che ottenne diverse nomination all’Oscar (inclusa quella poi vinta dal regista). Grande spazio agli attori, Stander a suo agio nei panni del burbero dal cuore d’oro, per un film che ebbe diversi interventi della censura in Italia. Vennero tagliati cinque minuti (in particolare la visita dalla tomba di Ulysses S. Grant, e la scena del contadino armato che accusa i ricchi di egoismo verso chi muore di fame), e, oltre al titolo, venne cambiato anche il nome di Longfellow, che divenne Ariosto, e il suo soprannome dall'”ambiguo” “Cinderella Man” al più romanico “Cincinnato”.

5. A Star Is Born (1937) di William A. Wellman

Lionel Stander, dopo aver recitato in They Met in a Taxi (1936) e More Than a Secretary (Cercasi segretaria, 1936), entrambi diretti da Alfred E. Green, apparve in A Star Is Born (È nata una stella, 1937) di William A. Wellman che racconta la storia di Esther Blodgett (Janet Gaynor) una ragazza che arrivata a Hollywood incontra e sposa il divo Norman Maine (Fredric March), col disgusto dell’agente Matt Libby (Lionel Stander), e mentre lei conosce il successo con lo pseudonimo di Vicki Lester, lui affronta, nonostante l’aiuto del suo agente Oliver Niles (Adolphe Menjou), un declino che lo porterà al suicidio.

Uno dei primi film in Technicolor ispirato a What price Hollywood? (A che prezzo Hollywood?, 1932) di George Cukor, il film vanta tre remake, uno dello stesso Cukor del 1954 con Judy Garland e James Mason, uno del 1976 diretto da Frank Pierson con Barbra Streisand nei panni della protagonista e, infine, uno del 2018 diretto e interpretato da Bradley Cooper con Lady Gaga.

Sempre nel 1937 Lionel Stander tornò a vestire i panni di Archie Goodwin, l’assistente di Nero Wolf, in The League of Frightened Men, tratto dall’omonimo romanzo, edito in Italia col titolo “La lega degli uomini spaventati” e diretto da Alfred E. Green. Nel film l’investigatore (Walter Connolly) e il suo assistente sono alle prese con una serie di omicidi che coinvolge un gruppo di ex compagni di scuola.

Nello stesso anno l’attore recitò anche in uno degli ultimi gangster movie al fianco di Edward G. Robinson intitolato non casualmente The Last Gangster (L’ultimo gangster) diretto da Edward Ludwig. Il film uscì nelle sale americane il 12 novembre 1937.

6. The Last Gangster (1937) di Edward Ludwig

Il boss mafioso Joe Krozac (Edward G. Robinson) viene rinchiuso ad Alcaraz proprio quando attende un figlio dall’ignara moglie straniera Talya (Rose Stradner) che, una volta appresa la verità grazie al giornalista Paul North Sr. (James Stewart, praticamente al deutto), decide di rompere ogni legame e di risposarsi proprio col giovane cronista. Krozac matura così vendetta, ma una volta scontata la pena, prima si scontra con l’ex braccio destro Curly (Lionel Stander), poi conosce il figlio (Douglas Scott) che è molto diverso da come lo avrebbe voluto. Krosac decide così di lasciarlo coi nuovi genitori, riscattandosi umanamente, prima di morire sotto i colpi di un delinquente conosciuto in carcere.

Il canto del cigno di un genere che negli anni Trenta del secolo scorso, da Little Caesar a Scarface, aveva mostrato un mondo che al cinema, complice il “codice Hays”, che vietava, tra le altre, immagini che potessero mettere in ridicolo la polizia, non doveva più essere visto e, infatti, L’ultimo gangster accentuò nella seconda parte la vena melodrammatica. Non solo. Durante le riprese si presentò sul set J. Edgar Hoover che da due anni era stato nominato Direttore, dopo essere stato un “vice” dal 1924, del Federal Bureau of Investigation (FBI) che non amava il genere e che guardava con sospetto sia Sanders, sia, soprattutto Robinson all’epoca un “divo” che faceva fatica a nascondere le sue simpatie progressiste.

Anche Stander era sempre più politicamente impegnato. Sposò cause sociali di ogni tipo. Appena divenuto attore aveva aderito allo Screen Actors Guild (SAG), sindacato inizialmente ignorato dalle grandi stelle, divenendone in breve tempo uno dei più combattivi rappresentanti, capace di mobilitare le masse, le cronache riportano un’assemblea a Hollywood nel 1937 con duemila lavoratori. Inoltre lottò contro la International Alliance of Theatrical Stage Employees (IATSE), sindacato del mondo dello spettacolo che ebbe infiltrazioni mafiose.

Il suo attivismo, tuttavia, non si fermava ai cancelli di Hollywood. Lionel Stander difese pubblicamente gli Scottsboro Boys, nove ragazzi afroamericani accusati ingiustamente dello stupro di due prostitute bianche nell’Alabama degli anni Trenta. Nel 2013 arrivarono la scuse ufficiale dello Stato, ma all’epoca non era così banale prendere posizione.

L’attore si mobilitò anche per raccogliere fondi per la causa repubblicana durante la Guerra civile spagnola e partecipò attivamente al Popular Front (Fronte Popolare) nato sia dalla preoccupazione per l’avanzata fascista e nazista in Europa, sia per le aperture portate avanti dal Presidente USA Franklin D. Roosevelt. Il Partito Comunista degli Stati Uniti d’America, tuttavia, mantenne una posizione politica autonoma. Ad esempio alle Presidenziali del 1936 aveva candidato Earl Browder che raccolse un modesto 0,17%.

7. assemblea del CPUSA, il Partito comunista statunitense

I comunisti erano decisamente più forti sul piano sindacale. Non a caso nel 1937 Ivan F. Cox, funzionario degli scaricatori portuali di San Francisco, fece causa a Lionel Sanders, al leader della sinistra sindacale Harry Bridges, e, tra gli altri, agli attori Fredric March e James Cagney, colpevoli, a suo dire, di propagare il comunismo sulla costa del Pacifico e, in conseguenza di ciò, di essergli costato il posto di lavoro.

L’attore non nascose mai le sue simpatie politiche, e finanziò l’Hollywood Anti-Nazi League, rimanendo legato al Partito Comunista, almeno, fino al 1939 quando venne firmato il Patto Molotov-Ribbentrop.

Decisamente troppo. Dopo No Time to Marry (1938) per la regia di Harry Lachman, in cui fischiettò l’Internazionale, il fondatore e presidente della Columbia Pictures Harry Cohn decise di tagliare ogni rapporto con Stander che definì “un figlio di puttana rosso” e intimò alle altre case di produzione di fare altrettanto. Rosso lo era sicuramente.

8. Harry Cohn Presidente della Columbia, definì Stander “un figlio di puttana rosso”

Nonostante grandi interpretazioni elogiate dalla critica, il lavoro di Stander calò significativamente. Negli anni successivi apparve, in ruoli sempre minori, in Professor Beware (Il prode faraone, 1938) di Elliott Nugent nuovamente al fianco di Harold Lloyd prodotto dalla Paramount, in The Crowd Roars (1938) diretto da Richard Thorpe e in The Ice Follies of 1939 (Follie sul ghiaccio, 1939) di Reinhold Schünzel entrambi per la MGM, in What a Life (1939) di Theodore Reed ancora per la Paramonut. Era solo l’inizio.

Il 26 maggio del 1938 la United States House of Representatives (la “Camera dei rappresentanti”) aveva istituito una commissione temporanea, che cambiando nome durerà fino al 1975, chiamata House Committee on Un-American Activities (Commissione per le attività antiamericane, HCUA) per condurre indagini su attività di propaganda antiamericane e controllare che queste non fossero istigate da potenze straniere.

Nel giugno del 1939 su pressione della stessa HCUA, presieduta dal democratico Martin Dies, i Dipartimenti di Stato e di Giustizia stabilirono quali gruppi mettere sotto controllo: il Bund, associazione di tedeschi americani entusiasti della salita al potere di Hitler e il CPUSA. L’FBI di Hoover decise che era bene concentrarsi sui pericolosi comunisti, perché, come ebbe a dire, le dottrine di Marx e Lenin erano aliene alla tradizione americana e dovevano essere estirpate.

Il 23 ottobre dello stesso anno il Segretario e candidato presidente Earl Browder venne arrestato con un pretesto e condannato a quattro anni di carcere. Quindi l’attenzione si spostò sui dipendenti pubblici con la legge Hatch, approvata nel giugno del 1939 ed emendata nel luglio 1940, che stabiliva il divieto per i funzionari di essere membri di qualunque organizzazione che volesse sovvertire lo Stato, con tanto di indagini sulle segretarie della moglie Eleanor, poi al mondo dello spettacolo e del cinema in particolare.

9. Earl Browder Segretario del PCUSA

Già nel 1939 Dies si era detto preoccupato per il clima che si respirava a Hollywood che, complice l’emigrazione forzata di intellettuali europei in fuga dal Nazismo, sfornava sempre più film a carattere sociale che trattavano temi quali la disoccupazione, la crisi agraria, il lavoro, la malavita e la corruzione nella giustizia, la violenza della polizia.

Nel 1940 Lionel Stander fu uno dei primi ad essere convocati. Venne accusato di essere un iscritto al Partito comunista e di voler sovvertire lo Stato. Con lui anche Humphrey Bogart, James Cagney, Clifford Odets, ma l’accusa non resse e il procuratore li scagionò.

Con l’entrata in guerra degli USA, l’attività dell’HCUA si concentrò su altro e finalmente vennero sciolti gruppi fascisti e nazisti, ma questo mutò poco il boicottaggio nei confronti di Stander. Ormai confinato in ruoli piccoli e per case di produzione secondarie apparve in Hit Parade of 1941 (1940) di John H. Auer e in The Bride Wore Crutches (1941) di Shepard Traube.

Non casualmente tornò a recitare in un grande film solo grazie a due antinazisti in fuga dal Terzo Reich, Fritz Lang e Bertold Brecht che scrissero a quattro mani il soggetto di Hangmen also die (Anche i boia muoiono, 1943) che racconta gli avvenimenti legati alla morte, avvenuta nel 1942, del gerarca Reinhard Heydrich. Nel film, prodotto dalla piccola Arnold Productions Inc., Lionel Stander interpretò l’autista Banya.

10. Hangmen also die (1943) di Fritz Lang

Seguirono Tahiti Honey (1943) di John H. Auer, commedia sentimentale, Guadalcanal Diary (Guadalcanal, 1943) di Lewis Seiler che racconta la lotta dei marine nelle isole Salomone (nel cast anche Anthony Quinn) e The Big Show-Off (1945) altra commedia leggera.

Nel dopo guerra le cose non andarono meglio per Lionel Stander. Apparve in Watchtower Over Tomorrow (1945) di John Cromwell e Harold F. Kress, un breve documentario di propaganda a sostegno del “Dumbarton Oaks Plan”, accordo alla base dell’odierna impostazione dell’ONU; quindi recitò nel remake The Milky Way intitolato The Kid from Brooklyn (Preferisco la vacca, 1946) diretto da Norman Z. McLeod, con Danny Kaye come protagonista. Non un capolavoro, ma “alcune sequenze fanno ancora sorridere e rimandano alle gag del cinema muto specie quelle in cui il rozzo Spider (Lionel Stander) […] insegna al protagonista l’apprendistato della boxe” (Mereghetti). Con Kaye lavorò anche in radio, in uno show comico alla CBS.

Lionel Stander alternava, infatti, l’attività sui set, sempre più diradata, a show e serie radiofonici in cui veniva esaltata la sua possente voce. Fin dalla fine degli anni Trenta aveva, infatti, partecipato al “KMH show” di Bing Crosby, alla produzioni del Lux Radio Theater “A Star Is Born” e “Mr. Deeds Goes to Town”, cui fecero seguito i film interpretati anche da Stander, al “The Fred Allen Show”, alla serie “Mayor of the Town” al fianco di Lionel Barrymore, al “Kraft Music Hall” prima in radio poi in TV, poi al “Stage Door Canteen” e al “Lincoln Highway Radio Show”.

11. The Kid from Brooklyn (1946) diNorman Z. McLeod

Tornando al cinema apparve anche in In Old Sacramento (1946) di Joseph Kane western della Republic Pictures, A Boy, a Girl and a Dog (Ha vinto Bob!, 1946) di Herbert Kline, Specter of the Rose (1946) di Ben Hecht e Gentleman Joe Palooka (1946) diretto da Cy Endfield, ma in nessuno lasciò il segno. Recitò quindi in The Sin of Harold Diddlebock (Meglio un mercoledì da leone, 1947) diretto da Preston Sturges. Ultimo film di Harold Lloyd che provò, ancora senza successo, ad attualizzare il personaggio sognatore che lo aveva reso famoso negli anni Venti.

Piccola parte anche nel successivo Call Northside 777 (Chiamate Nord 777, 1948) di Henry Hathaway, bel noir con James Stewart e Lee J. Cobb. Quindi Stander recitò nelle commedia Texas, Brooklyn and Heaven (1948) e Unfaithfully Yours (Infedelmente tua) diretto da Preston Sturges in cui il direttore d’orchestra Alfred De Carter (Rex Harrison), convinto dell’infedeltà della moglie Daphne (Linda Darnell), immagina, mentre dirige, tre soluzioni diverse al suo dramma. Stander interpretò Hugo Standoff, l’agente del musicista molto presente nella prima parte del film.

12. Unfaithfully Yours (I1948) di Preston Sturges

Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta l’attore apparve in soli tre altri film, Trouble Makers (1948) di Reginald Le Borg, Two Gals and a Guy (1951) di Alfred E. Green e St. Benny the Dip (1951) di Edgar G. Ulmer. Partecipò, inoltre, ad alcune serie TV e prestò la voce a Buzz Buzzard l’antagonista principale di Woody Woodpecker (in Italia noto anche come Picchiatello), ma nel 1951 venne cacciato e il suo posto preso da Dal McKennon.

La House Committee on Un-American Activities aveva, infatti, su spinta del deputato democratico del Mississippi John Elliott Rankin, ardente anticomunista che nei suoi sedici mandati propagandò odio antisemita, odio razziale (sosteneva la segregazione ed era contrario ai matrimoni interraziali), aveva stilato nel 1947 una prima “lista nera” nel mondo del cinema perché, come sostenne lo stesso Rankin: “Una delle trame più pericolose che abbiano mai istigato il rovesciamento di questo governo ha il suo quartier generale a Hollywood”.

Un circolo comunista nella “Mecca del cinema” c’era stato per davvero. Lo aveva fondato nel 1937 lo sceneggiatore John Howard Lawson, secondo cui Stander era il “modello di comunista impegnato, che aiutava il Partito nella lotta di classe” e che finì nella tristemente celebre Hollywood Ten (I dieci di Hollywood). Furono i primi ad essere perseguitati, ma la HCUA non si fermò e grazie a deposizioni definite amichevoli, tra queste Ronald Reagan, Gary Cooper, John Wayne, Robert Taylor, Adolphe Menjou, stilò una seconda lista nella quale finirono, tra gli altri, Bertolt Brecht, Zero Mostel, Karen Morley, John Garfield, Charlie Chaplin e, ovviamente, Lionel Stander.

13. John Howard Lawson, lo sceneggiatore aprì un circolo comunista a Hollywood

In tutti gli interrogatori, spesso condotti dal democratico Clyde Doyle, dal repubblicano Donald L. Jackson e dall’avvocato Frank S. Tavenner Jr, c’era il suo nome. Non solo nelle risposte, proprio nelle domande. “Lei conosce Lionel Stander?”, “Ha mai partecipato ad una riunione del Partito comunista a casa di Lionel Stander?”, “Si ricorda la presenza di Lionel Stander a delle iniziative comuniste?”.

Zero Mostel derise la Commissione affermando “Chi non lo conosce, è un grande attore”, ma altri fecero il suo nome denunciandolo come comunista, tra loro anche il musicista Artie Shaw e gli attori Marc Lawrence e Larry Parks. Dopo diverse testimonianze Stander chiese di essere ascoltato dalla HCUA che lo convocò solo due anni dopo.

Nel maggio del 1953 a New York nell’udienza di fronte alla “Commissione” affermò che non si vergognava di nulla, che era orgoglioso di quanto fatto per poi attaccare frontalmente la House Committee on Un-American Activities.

14. la deposizione di Lionel Starder di fronte alla Commissione per le attività antiamericane

In meravigliose frasi, incise sulla pietra nel 1999 dall’artista Jenny Holzer nel The First Amendment Blacklist Memorial presso l’University of Southern California, Lionel Stander disse che la HCUA era come “l’inquisizione spagnola”, che in “quindici anni di indagine non aveva trovato un atto di violenza”, per poi accusare la stessa “Commissione” di cospirazione: “Conosco un gruppo di fanatici che sta cercando disperatamente di minare la Costituzione degli Stati Uniti privando artisti e altri della vita, della libertà e della ricerca della felicità senza un giusto processo… Posso fare nomi e citare casi e sono una delle prime vittime”, aggiungendo che i problemi al sistema democratico statunitense era rappresentati dai fascisti degli “American First”. Non solo, in quella audizione l’attore attaccò i colleghi delatori, si rifiutò di fare nome e chiuse dicendo che l’iscrizione o meno al Partito comunista non era affar loro. Gli costò molto cara: cacciato anche dalla radio e dalla TV.

Lionel Stander dopo essere stato per un breve periodo agente di cambio a Wall Street, lavorò in teatro, dove non vigeva una vera e propria “lista nera”, per poi essere la voce narrante di Blast of Silence (Cronaca di un assassinio, 1961) un noir di Allen Baron. Ovviamente non accreditato. Poi un ruolo, dodici anni dopo il suo ultimo film, in The Moving Finger (1963) film indipendente a basso costo sulla Beat Generation.

Non riuscendo, di fatto, a lavorare negli Stati Uniti, decise di cercare fortuna in Europa. Nel 1964 si trasferì a Londra dove apparve in importanti rappresentazioni teatrali tra queste “Die Heilige Johanna der Schlachthöfe” (“Santa Giovanna dei Macelli”) di Bertolt Brecht, anch’egli perseguitato negli USA e rientrato, già dal 1947, nel vecchio continente. L’opera venne diretta da Tony Richardson regista inglese che aveva già diretto Stander a Broadway e che gli propose il ritorno sul set a Hollywood.

15. The Loved One (1965) di Tony Richardson

La “Hollywood Blacklist” era finita, l’attore fu in assoluto quello che ci rimase più a lungo, e Richardson, fresco di Oscar per il suo Tom Jones e quindi con un gran credito, lo fece apparire in The Loved One (Il caro estinto, 1965) in cui il giovane Dennis (Robert Morse) si trova a dover organizzare il funerale dello zio suicida, tra un campo imbalsamatore il dottor Joyboy (Rod Steiger), un bramino guru (Lionel Stander) e il mondo folle delle pompe funebri californiane.

Una storia graffiante sui miti americani, ma Stander a Hollywood continuava a non essere gradito. Quindi tornò nel Regno Unito dove recitò in Promise Her Anything (Spogliarello per una vedova, 1965) per la regia di Arthur Hiller. Una commedia degli equivoci con Warren Beatty in cui “i personaggi di contorno sono simpatici: Stander e la Nesbitt sono impagabili” (Mereghetti).

Quindi venne contattato da un regista emergente, Roman Polanski che lo volle per uno dei suoi primi thriller. Il 17 giugno del 1966 uscì Cul-de-sac.

Richard (Lionel Stander) e Albie (Jack MacGowran), due gangster scalcinati e feriti, in fuga dopo una rapina finita male, trovano rifugio in un castello che la marea isola dalla terra ferma. In quel luogo isolato vivono George (Donald Pleasence), ricco, impotente e nevrotico, e la moglie Teresa (Françoise Dorléac) giovane, infedele e un po’ matta, che vengono presi in ostaggio da Richard che attende il suo boss Katelbach. Dopo la morte di Albie, tra i tre si instaura un rapporto surreale che regge anche dopo la visita inaspettata di un gruppo di amici (tra loro la debuttante Jacqueline Bisset), ma è destinato a finire nel sangue.

16. Cul-de-sac (1966) di Roman Polanski

Un grande film di Polanski che attinge da Samuel Beckett (Richard aspetta Katelbach come fosse Godot) fondendo perfettamente crudeltà e grottesco, violenza e surrealtà. Benché non si amassero, grande prova di Stander, Pleasence e Dorléac (sorella di Catherine Deneuve che morì l’anno successivo a seguito di un violento incidente automobilistico). Cul-de-sac si aggiudicò l’Orso d’oro al Festival Internazionale del Cinema di Berlino nel 1966.

Nella capitale tedesca, e in quella britannica, venne girato il successivo A Dandy in Aspic (Sull’orlo della paura, 1968) ultimo film di Anthony Mann, morto durante le riprese, sostituito da Laurence Harvey. Un spy story esistenzialista: l’agente dei servizi britannici Eberlin (lo stesso Laurence Harvey) viene mandato a Berlino per uccidere un pericoloso agente russo, ma quell’agente è lui stesso, da anni spia nel Regno Unito. Nel film Stander interpretò il corpulento Sobakevič.

Ormai a suo agio in Europa l’attore interpretò il protagonista in Gates to Paradise (1968) del polacco Andrzej Wajda, tratto da Jerzy Andrzejewski, vietato in patria e per questo girato tra Londra e Jugoslavia.

Nella Francia del XIII secolo, il monaco Monk (Lionel Stander) si unisce ad una carovana di giovani crociati diretti a Gerusalemme, ma una volta apprese le vere motivazioni alla base dell’impresa e dei folli gesti, decide di abbandonarli al loro destino.

Tornano a Londra l’attore recitò anche in un film italiano voluto e prodotto da Marco Vicario sulla scia del successi dei suoi 7 uomini d’oro (1965) e Il grande colpo dei 7 uomini d’oro (1965) incentrati su una banda di (improbabili) fuorilegge. Il film, intitolato 7 volte 7 (1968), non era, tuttavia, un seguito, ma una storia con nuove idee e nuovi personaggi. La regia venne affidata a Michele Lupo.

A Londra sei ladri (Gastone Moschin, Raimondo Vianello, Gordon Mitchell, Nazzareno Zamperla, Paolo Gozlino, Teodoro Corrà) decidono di evadere durante la finale della Coppa d’Inghilterra per introdursi nella zecca di stato falsificare delle sterline, nasconderle e rientrare. Il piano funziona fino a quando il vecchio Sam (Lionel Stander) decide di far parte del gruppo.

17. Al di là della legge (1968) di Giorgio Stegani

Una godibile commedia che fu molto importante per Stander, anche grazie a 7 volte 7, infatti, entrò in contatto col cinema italiano e decise di trasferirsi a Roma. In fondo in Italia non c’era il Partito comunista più grande dell’Occidente?

Contatto che si consolidò col successivo Al di là della legge (1968) un western italo-tedesco diretto da Giorgio Stegani. Nel film il ladruncolo Joe Billy Cudlip (Lee Van Cleef), dopo aver rapinato una comunità di minatori, guadagna la fiducia di Ben Novak (Antonio Sabato), incaricato del trasporto delle paghe, per poter portare a segno un nuovo colpo, ma ne diviene amico e, una volta nominato sceriffo, difende la comunità da un gruppo di banditi. Nel film, che vide anche la partecipazione di Bud Spencer insolitamente senza barba, Lionel Stander interpretò il predicatore del villaggio western.

Ma in Italia c’era anche un cineasta che aveva reinventato il genere e dopo la cosiddetta “Trilogia del dollaro” voleva fare un ultimo affresco sull’epopea del West. Si chiamava, ovviamente, Sergio Leone che scrisse con Bernardo Bertolucci e Dario Argento quello che sarebbe diventato C’era una volta il West (1968). A produrre il film fu la Paramount, ma il regista, rinunciando anche a nomi altisonanti, volle scegliere personalmente gli attori. Riuscì a scritturare Henry Fonda, che avrebbe voluto anche nei film precedenti, impose Charles Bronson, che nessuno avrebbe pensato potesse reggere un ruolo da protagonista e chiamò Lionel Stander. Il resto è leggenda.

18. C’era una volta il West (1968) di Sergio Leone

Il magnate delle ferrovie Morton (Gabriele Ferzetti) ingaggia un killer (Henrdy Fonda) per impadronirsi di un terreno di proprietà dell’ex prostituta Jill McBain (Claudia Cardinale), ma in difesa della donna compaiono due uomini misteriosi Armonica (Charles Bronson) e Cheyenne (Jason Robards).

Uno dei film western più belli della storia del cinema in cui Lionel Stander interpretò il barista della locanda che accoglie la protagonista giunta in città. Un ruolo piccolo, ma importante cancellato nella versione distribuita negli Stati Uniti.

Tornato in Italia Stander recitò in Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova, veneziano (1969) di Luigi Comencini. Nel film il giovane Giacomo Casanova (Leonard Whiting) abbandona la veste religiosa dopo aver scoperto l’ascendente che ha sulle donne. Un ritratto inedito dell’avventuriero veneziano. Nel cast anche Gigi Reder, indimenticabile Filini nella saga fantozziana, e Cristina Comenicini, figlia del cineasta che diventerà a sua volta una regista (nonché madre del politico Carlo Calenda), nella sua unica prova di attrice.

Erano anni densi dentro e fuori dal set. Il Sessantotto, i giovani, il movimento studentesco, le occupazioni, quella voglia di cambiare il mondo che l’attore continuava ad avere. Roberto Faenza, giovane regista che aveva vissuto a Londra e debuttato con Escalation (1965), pellicola che descriveva, con toni surreali e grotteschi, il rapporto tra un padre borghese e il figlio hippy, decise di realizzare un film sulla repressione, H2S, e per farlo, volle con se due comunisti mai pentiti: Lionel Stander e Paolo Poli.

Il giovane e innocente Tommaso (Denis Gilmore) viene “invitato” in una struttura singolare, dove si educano i giovani a spogliarsi della personalità individuale per conformarsi ai dettami del Capo (Giancarlo Cobelli). Durante un’assemblea plenaria alla presenza del Professore (Lionel Stander) e della Centenaria (Paolo Poli), fondatrice della struttura, Bea (Isabel Ruth) rifiuta le teorie e scatena la rivolta degli studenti. Invitata nel castello della Centenaria per discutere le rivendicazioni del “movimento”, viene avvelenata.

Il Professore si schiera con i ragazzi e induce Tommaso ad uccidere il Capo. Il piano fallisce. Il giovane riesce a scappare in montagna con Alice (Carole André), ma quando la ragazza lo tradisce seguendo modernismo e consumismo, Tommaso viene catturato e riportato nella struttura dove il Professore, divenuto il nuovo capo, lo tortura e lo costringe a sposare la Centenaria, ma il ragazzo ha deciso di far esplodere tutto.

Un film forte, il cui titolo H2S è la formula dell’acido solfidrico, ambientato in un futuro distopico che condivide le tesi del movimento studentesco e attacca la società capitalistica. Il Italia ottenne il visto della censura col divieto di visione ai minori di 14 anni “in quanto il film contiene scene di carattere erotico e battute non indicate alla particolare sensibilità dell’età evolutiva dei predetti minori”, ma dopo soli due giorni dalla prima proiezione venne sequestrato e mai più proiettato (in TV è passato solo a tarda ora su Rete 4).

Innegabili alcune somiglianze, soprattutto nell’ambientazione distopica e null’uso della violenza nel reprimere il dissenso, col capolavoro Arancia meccanica. Non sapremo mai se Stanley Kubrick abbia visto H2S, quel che è certo è che Roberto Faenza condivideva un appartamento a Londra con Anthony Burgess, l’autore del romanzo da cui è tratta la pellicola.

Sempre nel 1969 Lionel Stander recitò in Zenabel di Ruggero Deodato, in cui la giovane che da il titolo al film scopre di essere la figlia di un duca ucciso da un barone spagnolo e raduna un gruppo di donne per vendicarsi.

Ben più significativo il successivo La collina degli stivali (1969), terzo e ultimo capitolo della trilogia realizzata da Giuseppe Colizzi iniziata con Dio perdona… io no! (1967) e proseguita con I quattro dell’Ave Maria (1968).

Braccato dai banditi guidati dallo spietato Finch (Glauco Onorato), il pistolero Cat Stevens (Terence Hill), ferito ad un braccio, riesce a nascondersi nel carrozzone del circo itinerante dello scorbutico Mamy (Lionel Stander) dove lavora il suo vecchio amico Thomas (Woody Strode). Quando la banda di Finch uccide l’acrobata John (Leslie Bailey), il circo inizia a disgregarsi.

Cat e Thomas decidono di vendicarsi e sulla loro strada incontrano il vecchio compagno d’avventura Hutch Bessy (Bud Spencer) che ha nel gigantesco sordomuto Baby Doll (George Eastman) un nuovo fidato alleato. La banda di Finch è, invece, al servizio del potente Honey Fischer (Victor Buono) che sta sottraendo con la forza i possedimenti ai poveri minatori. I quattro decidono così di ricontattare Mamy per rimettere in piedi il circo e sbarazzarsi dei banditi.

Il film, pur mostrando elementi di forte drammaticità, anticipa la componente comica e le “scazzottate” che saranno una delle caratteristiche dei film futuri di Spencer e Hill. Il titolo un’espressione metaforica utilizzata per indicare il cimitero dove venivano sepolti i morti ammazzati.

Lioenl Stander recitò una parte più piccola, quella di un ammiraglio, in Mir hat es immer Spaß gemacht (Dove vai senza mutandine?) diretto da Will Tremper. Altra produzione italo-tedesca, nel cast anche Klaus Kinski, in cui una ragazza confessa al suo vecchio amante, tutte le avventure avute nella sua vita.

Poi un nuovo ruolo da protagonista. Nino Manfredi, uno dei volti della “commedia all’italiana”, lo volle per il suo debutto alla regia in un lungometraggio. Da anni stava lavorando ad un soggetto che tutti, nel settore, gli avevano sconsigliato: le conseguenze di un’educazione religiosa bigotta. Anche il produttore Rizzoli aveva preteso di dividere rischi e spese. L’unico ad incoraggiarlo era stato il giornalista e scrittore Oreste Del Buono e proprio per ringraziarlo chiamò Oreste il personaggio interpretato da Stander. Il 24 marzo del 1971 uscì Per grazia ricevuta.

Mentre un importante chirurgo (Fausto Tozzi) lo opera in una piccola clinica, Benedetto Parisi (Nino Manfredi) vede scorrere la propria vita. Da bambino (Paolo Armeni), vivace e irriverente, viene educato dalla zia (Antonella Patti) nella soggezione dei santi e nella paura del diavolo, così quando il giorno della sua comunione cade in una scarpata, fuggendo per il senso di colpa di aver visto la zia nuda, tutti pensano che sia un miracolo di Sant’Eusebio e il piccolo Benedetto viene portato in processione. Cresciuto in un convento di frati nell’adorazione del santo, scopre la città seguendo un venditore ambulante (Tano Cimarosa).

Il senso del peccato blocca, tuttavia, i suoi rapporti con le donne, sia con una giovane maestra (Mariangela Melato) in paese, sia con una ragazza “chiacchierata” di città (Véronique Vendell). Il suo approccio alla vita cambia quando conosce il farmacista Oreste Micheli (Lionel Stander), libertino e anticlericale, che prima lo porta a prostitute, poi gli fa conoscere la figlia Giovanna (Delia Boccardo). I due decidono di sposarsi, anche per “accontentare” la madre bigotta di lei Immacolata (Paola Borboni), ma giunti sull’altare rinunciano vista la contrarietà di Oreste.

Ma quando Benedetto vede l’anziano farmacista baciare in punto di morte un crocifisso, crollano le sue fragili certezze e tenta il suicidio. Nella clinica, in cui sono arrivate Giovanna e Immacolata, il chirurgo finita l’operazione afferma: “È stato un miracolo”.

Con uno stile insolito, delicato e allo stesso tempo dirompente, Per grazia ricevuta stimolò un dibattito nel Paese e lo fece, pur con un’impostazione chiara e in parte autobiografica come dichiarò lo stesso autore, lasciando allo spettatore le valutazioni su fede e religione. Ben girato e ben recitato, Lionel Stander e Paola Borboni sono monumentali, il film fu, contro ogni aspettativa, il più visto in Italia nella stagione 1970-71 e valse a Nino Manfredi il Premio per la migliore opera prima a Cannes, un David di Donatello e due Nastri d’argento.

Sempre nel 1971 l’attore statunitense tornò a recitare diretto da Michele Lupo nel film Stanza 17-17 palazzo delle tasse, ufficio imposte.

Chiamati e pagare un debito di milioni dall’incorruttibile funzionario Ugo La Strizza (Ugo Tognazzi), il palazzinaro fallito Giambattista Ranteghin (Gastone Moschin), l’attore western in declino Romolo Moretti detto “Sartana” (Philippe Leroy), il decaduto principe Gondrano Pantegani del Cacco (Franco Fabrizi) e l’improbabile inventore Leonardo Rossi (Raymond Bussières) decidono di rapinare proprio il “palazzo delle tasse”: prima coinvolgono il vecchio scassinatore Colgate (Capannelle), poi, su indicazione di quest’ultimo, lo scassinatore Katanga (Lionel Stander) reduce di guerra con una placca metallica in testa. Tra mille contrattempi il piano riesce, ma non saranno loro a intascarsi il bottino.

Simpatica commedia che, in qualche misura benché imparagonabile, porta I soliti ignoti (collegato anche dalla presenza di Capannelle al penultimo film) nell’Italia del boom economico. Indimenticabile Ugo Tognazzi occhialuto e riccioluto.

Quindi Stander recitò la parte di un avvocato nel film Siamo tutti in libertà provvisoria (1971) di Manlio Scarpelli. Nel film, che vanta la presenza di Riccardo Cucciolla, Philippe Noiret e Vittorio De Sica, un giudice dalle vive simpatie fasciste decide, per mettere in discussione il sistema democratico, di aprire un caso sulla morte per infarto di un deputato.

L’attore tornò poi negli Stati Uniti per girare The Gang That Couldn’t Shoot Straight (La gang che non sapeva sparare, 1971) di James Goldstone al fianco di Jerry Orbach e di Robert De Niro. Il film racconta lo scontro di due gang mafiose, una guidata da Kid Sally (Jerry Orbach) l’altra dal vecchio Baccala (Lionel Stander), che per sconfiggere il rivale ingaggia il ladro italiano Mario Trantino (Robert De Niro). Un film non memorabile e a tratti confuso, ma per Lionel Stander fu il primo ruolo da protagonista a Hollywood dal 1948, Infedelmente tua, e il ritorno dopo l’esperienza de Il caro estinto nel 1965.

Grande, imponente, dalla voce profonda. Lionel Stander era un “mangiafoco” perfetto. E, infatti, Luigi Comencini lo scelse per il suo sceneggiato televisivo Le avventure di Pinocchio che vantava un cast a dir poco perfetto, difficilmente eguagliabile per una trasposizione dell’opera di Collodi. Il debuttante Andrea Balestri nella parte di Pinocchio, in quella di Geppetto Nino Manfredi, la Fata Turchina col volto di Gina Lollobrigida, il Gatto e la Volpe con gli azzeccatissimi Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, il giudice che condanna Pinocchio al carcere, invece, il grande Vittorio De Sica, Mario Adorf nei panni del direttore del circo e, per finire, Ugo D’Alessio nelle vesti di Mastro Ciliegia. Indimenticabile anche il tema musicare scritto da Fiorenzo Carpi.

Le avventure di Pinocchio, scritto dal regista con Suso Cecchi d’Amico, venne trasmesso in sei puntate sulla RAI, dall’8 aprile al 6 maggio 1972, per poi essere adattato, in una versione ovviamente più breve, anche per il cinema. Rispetto al libro la differenza più rilevante sta nell’aver fatto di Pinocchio un bambino in carne e ossa diventa burattino solo a tratti, per punizione. Comencini, infatti, privilegiò gli aspetti realistici dell’opera di Collodi, rispetto a quelli fantastici.

Seguirono nella filmografia dell’attore: Tutti fratelli nel west… per parte di padre (1972) di Sergio Grieco, western comico in cui Jeepo (Antonio Sabato) deve recuperare le cinque parti della mappa di una miniera d’oro aiutato dalla prostituta (Marisa Mell), ma contrastato dal gangster di Chicago Lucky Capone (Lionel Stander); Crescete e moltiplicatevi (1973) satira sul Veneto bigotto diretta da Giulio Petroni in cui l’attore interpretò il commendator Zullin; Tedeum (1972) con Stander nonno del protagonista che da il titolo al film sulle tracce di una miniera.

I cosiddetti “spaghetti western” erano sul viale del tramonto, si era davvero visto tutto, ma c’era un nuovo genere che stava per affacciarsi nei cinema italiani, i polizieschi, chiamati, con una punta di banalizzazione, “poliziotteschi” e Lionel Stander recitò nel più bel poliziottesco di sempre: Milano calibro 9 diretto da Fernando Di Leo.

Uscito dal carcere Ugo Piazza (Gastone Moschin) viene braccato da Rocco Musco (Mario Adorf) e dai suoi uomini, al servizio del temibile boss “l’Americano” (Lionel Stander), che lo accusano di aver nascosto, prima dell’arresto, un importante bottino. Sorvegliato anche dal reazionario commissario di polizia (Frank Wolff), Ugo continua a negare ogni suo coinvolgimento, sia col killer Chino (Philippe Leroy) cui chiede aiuto, sia con la ballerina di night Nelly Bordon (Barbara Bouchet) sua amante. Non riuscendo a farlo confessare, l’Americano lo riprende nella banda criminale, prima che una strage nella sua villa cambi le carte in tavola.

Adattando i racconti Giorgio Scerbanenco, Fernando Di Leo realizzò quello che secondo Quentin Tarantino è “il più grande noir italiano di tutti i tempi”. Il film, che aprì la cosiddetta “Trilogia del milieu”, raccontò, anche grazie ad un disegno perfetto dei personaggi, una Milano cupa e violenta come non mai. Probabilmente la miglior interpretazione di Moschin, con un grande Stander.

Sempre in quel ricco 1972 l’attore recitò nel modesto Nonostante le apparenze… e purché la nazione non lo sappia… All’onorevole piacciono le donne diretto da Lucio Fulci in cui l’onorevole Giacinto Puppis (Lando Buzzanca) viene sponsorizzato per il Quirinale dal cardinale Maravidi (Lionel Stander) nonostante la tardiva scoperta del sesso che crea qualche imbarazzo (tristemente da segnalare Laura Antonelli nuda vestita da suora).

Poi di nuovo al fianco di Gastone Moschin. Nel 1970 erano iniziate le riprese del sesto episodio della saga di Don Camillo, intitolata Don Camillo e i giovani d’oggi, per la regia di Christian-Jaque, ma alla morte di Fernandel avvenuta durante le riprese il regista e Gino Cervi si rifiutarono di proseguire senza l’attore francese. Rizzoli, produttore dei film, convinse due anni più tardi Mario Camerini a riprendere il mano il progetto con due nuovi protagonisti.

Don Camillo (Gastone Moschin), messo in discussione dalla Curia, e Peppone (Lionel Stander) messo in discussione dal PCI, litigano a causa del burrascoso figlio del sindaco (Paolo Giusti) e dell’intraprendente nipote del sacerdote (Carole André).

Il film fu un clamoroso insuccesso di pubblico che interruppe la serie. Inarrivabili gli storici protagonisti: Moschin non era Fernandel e Stander non era Gino Cervi anche perché l’attore italiano aveva partecipato alla Marcia su Roma, lo statunitense era comunista per davvero.

Quindi recitò in tre produzioni internazionali: Treasure Island (L’isola del tesoro, 1972) diretto da John Hough con Orson Welles nei panni di Long John Silver e Stander in quelli di Billy Bones; Pulp (Colpiscono senza pietà, 1972) di Mike Hodges un bel noir i cui interpretò Ben Dinuccio il segretario dello scrittore di romanzi pulp Mickey King (Michael Caine) che chiamato a scrivere la biografia di un vecchio divo di Hollywood (Mickey Rooney) finisce nei guai; Piazza pulita (1973) di Luigi Vanzi, un gangster movie che circolò più a livello internazionale, col titolo Pete, Pearl and the Pole, che in Italia.

Nel nostro Paese recitò la parte del donnaiolo nonno del barone Castorini (Giancarlo Gianni) in Paolo il caldo (1973) di Marco Vicario tratto dal romando di Vitaliano Brancati, per Paolo Mereghetti “Stander ha uno dei suoi migliori ruoli di sempre” (ancor una volta al fianco di Moschin), quindi in Mordi e fuggi (1973) diretto da Dino Risi storia, con un cast stellare, Marcello Mastroianni, Oliver Reed, Carole André, che prova a parlare di terrorismo senza riuscirci troppo. Stander è il generale dell’esercito in pensione Bernasconi nostalgico del Fascismo, ma simpatizzante verso ogni forma di ribellione.

Quindi recitò in Partirono preti, tornarono… curati (1973) di Bianco Manini in cui i due fuorilegge Sam Thompson detto Tonaca (Lionel Stander) e John il Timido (Riccardo Salvino) si travestono da preti per attraversare il Messico e finiscono nelle simpatie dei rivoluzionari, La mano nera (1973) la storia di un immigrato siciliano (Michele Placido al primo ruolo da protagonista) che a New York viene incaricato dalla mafia di uccidere l’integerrimo poliziotto (Joe Petrosino, figura realmente esistita) e Il tuo piacere è il mio (1973) commedia boccaccesca senza arte ne parte diretta da Claudio Racca.

Non meno densi, di quantità più che di qualità, anche gli anni successivi. Nel 1974 uscirono: Innocenza e turbamento di Massimo Dallamano, tentativo mal riuscito di nobilitare la commedia sexy (e infatti Edwige Fenech è quasi sempre vestita), Di mamma non ce n’è una sola di Alfredo Giannetti, morbosa commedia con elementi gialli, La via dei babbuini del grande Luigi Magni in cui interpretò il padre morente della protagonista (Catherine Spaak).

Nel 1975 fu la volta de La novizia di Pier Giorgio Ferretti con Gloria Guida nei panni di una suor a dir poco disinibita, The Black Bird (L’uccello tutto nero) commedia con innesti noir diretta da David Giler, The Rip Off (Controrapina, distribuito in Italia solo nel 1979) un buon noir diretto da Anthony M. Dawson, pseudonimo di Antonio Margheriti, con Lee Van Cleef e Karen Black; Giubbe Rosse, melodramma avventuroso con Fabio Testi, diretto da Aristide Massaccesi che sapeva girare, ma poi scelse il porno col nome di Joe D’Amato.

Del 1976 furono, invece, San Pasquale Baylonne protettore delle donne di Luigi Filippo D’Amico, modesta e volgarotta commedia con Landa Buzzanca e Ah sì?… E io lo dico a Zzzorro! dove per sostituire Zorro bloccato a casa da una caduta rovinosa, frate Donato (Lionel Stander) convince a sostituirlo il popolano Félipe (George Hilton) che per trovare il coraggio deve ubriacarsi, ma riesce ugualmente a sconfiggere il cattivo di turno.

Quella di Lionel Stander in Italia era stata una seconda vita artistica, dopo quella a Hollywood interrotta dalla “follia anticomunista”, ricca di film rimasti nella storia da C’era una volta il West a Milano calibro 9, da Le avventure di Pinocchio a Paolo il caldo, ma dopo aver recitato il ruolo del capotreno in The Cassandra Crossing (1976), thriller coprodotto da Italia, Regno Unito e Germania, diretto George Pan Cosmatos con, tra gli altri Richard Harris, Sophia Loren, Martin Sheen, Burt Lancaster, ricevette una chiamata: “Devi tornare a casa”.

A Hollywood c’era già tornato, ma poi aveva sempre preferito lavorare in Italia, ma questa volta a cercarlo era Martin Scorsese, uno dei protagonisti della “New Hollywood” stagione che aveva, tra l’altro, dato una maggiore libertà ai registi rispetto ai produttori. Scorsese, con già all’attivo Mean Streets e Taxi Driver, lo volle per il suo nuovo film e lo inserì a grandi lettere nei titoli di testa, subito dopo i due protagonisti Robert De Niro e Liza Minnelli. Il 21 giugno 1977 uscì New York, New York.

Mentre la città festeggia la resa del Giappone, il 2 settembre 1945, il soldato Jimmy Doyle (Robert De Niro) nota tra la folla la giovane Francine Evans (Liza Minnelli) e la conquista per sfinimento. Lui è un promettente sassofonista, lei una sublime cantante, assistita dal manager Tony Harwell (Lionel Stander) e tra i due nasce un tormentato rapporto, personale e musicale, che finirà alla nascita del figlio che Jimmy non vuole. Si ritroveranno anni dopo quando Francine, ormai star di prima grandezza, esegue in pubblico “New York, New York”, il brano che Jimmy aveva scritto per lei.

Film tormentato, per confessione dello stesso regista, che è un omaggio, senza alcuna nostalgia, ai musical degli anni Quaranta diretti da Vincent Minnelli, papà di Liza, con un canzone che è tuttora un successo planetario.

Stander decise di rimanere, settantenne e “riabilitato”, negli Stati Uniti. Recitò in Uppercut (Matilda, 1978), per la regia di Daniel Mann commedia con Elliott Gould e nel horror catastrofico Cyclone (1978) di René Cardona Jr. con un gruppo di naufraghi in mezzo al mare. Quindi venne chiamato, per una piccola parte, da un altro protagonista della “New Hollywood”, Steven Spielberg, che lo inserì nel folle e ricco cast di 1941 (1941 – Allarme a Hollywood, 1979) ispirato alla nevrosi per un possibile attacco giapponese negli USA dopo Pearl Harbor.

Ma la straordinaria carriera di Lionel Stander non era ancora finita. Tra il 1981 e il 1985 recitò in tutti e 111 gli episodi di Hart to Hart, telefilm come si chiamavano all’epoca, noto in Italia col titolo di Cuore e batticuore. Nella serie l’attore interpreta Max il maggiordomo di Jonathan Hart (Robert Wagner) e Jennifer Hart (Stefanie Powers) ricchi coniugi che si trovano, ogni puntata, a risolvere un intricato caso. Nel 1983 Lionel Stander, che era apparso anche in altri telefim, si aggiudicò per il ruolo di Max l’unico premio della sua intensa carriera: Golden Globe per il miglior attore non protagonista in una serie.

Quindi recitò in Bellifreschi (1987) di Enrico Oldoini, rifacimento dell’inimitabile A qualcuno piace caldo, con Christian De Sica e Lino Banfi (che sostituì all’ultimo Boldi) capace di far innamorare, nella storia, il vecchio mafioso interpretato da Stander, l’unico davvero simpatico in tutto il film. Seguirono Cookie (1989) commedia con Emily Lloyd e Peter Falk, e i trascurabili Joey Takes a Cab (1991) di Albert Band e The Last Good Time (1994) per la regia di Bob Balaban.

La sua vita sentimentale non fu meno ricca di quella artistica. L’attore, infatti, si sposò sei volte ed ebbe altrettanti figli. Il suo rapporto più lungo fu quello con Stephanie Van Hennick. Rimasero insieme per oltre vent’anni fino a quando il 30 novembre 1994 Lionel Stander morì per un cancro ai polmoni nell’ospedale di Los Angeles. Oggi riposa nel Forest Lawn Memorial Park e una lapide lo ricorda così “Amato marito, adorato padre, attore ammirato, umanitario, un’ispirazione per tutti noi. Un uomo straordinario. Sarà amato, ci mancherà e sarà ricordato per sempre”.

Lionel Stander riuscì a ritagliarsi uno spazio nel cinema europeo e italiano dopo essere stato perseguitato a Hollywood dalla follia anticomunista. A chi glielo ricordava rispondeva semplicemente che lui era “più a sinistra della sinistra”.

MARCO RAVERA

redazionale


Bibliografia
“Dizionario del comunismo del XX secolo” a cura di Silvio Pons e Robert Service – Einaudi
“Fuori i Rossi da Hollywood!” di Sciltian Gastaldi – Lindau
“Sergio Leone” di Francesco Mininni – Castoro
“Martin Scorsese” di Giancarlo Bertolina – Castoro
“Storia del cinema” di Gianni Rondolino – UTET
“Dizionario del cinema italiano” di Fernaldo Di Giammatteo – Riuniti
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2023” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi

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Corso Cinema

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