Il politologo olandese Cas Mudde, uno dei maggiori studiosi internazionali delle «nuove destre», a proposito del voto europeo del maggio prossimo ha recentemente fatto osservare dalle colonne del Guardian che potrebbe trattarsi con ogni probabilità di «un’elezione spartiacque per i populisti di destra», passati già in molti paesi dall’agitazione anti-establishment alle pratiche di governo e che si accingono ora, nelle loro intenzioni, a ripetere l’operazione sul piano continentale.
Mudde, da alcuni anni docente dell’Università della Georgia, che ha seguito l’evoluzione e le trasformazioni del radicalismo nero fino alla comparsa degli attuali movimenti «nazional-populisti» – sua la definizione del populismo come «una risposta democratica illiberale al liberismo antidemocratico» -, non ha dubbi nell’iscrivere, in questa prospettiva, la Lega tra i rappresentanti della più «classica» ideologia del radicalismo di destra contemporaneo, centrata in particolare sull’opposizione alla presenza degli immigrati, anche se considera, ancora, Salvini più come «un seguace che un leader», nel senso che, a suo giudizio, sta soprattutto «seguendo le orme di Le Pen, Putin, Orbán e Trump».
Per chi è costretto però ad osservare da posizione più ravvicinata le gesta del leader leghista, nonché vicepremier e ministro degli Interni, l’interrogativo più urgente non riguarda tanto il possibile approdo della sua strategia, nel lungo come nel breve tempo, quanto piuttosto il percorso che lo ha condotto fin qui. Questo perché l’evidente ascesa politica di Salvini e la costante crescita del brand della Lega, ci parla di cosa si agita nel profondo della società italiana in questi anni di crisi e inquietudine.
Un’importante risposta a questi interrogativi arriva dall’indagine pubblicata per il Mulino da Gianluca Passarelli e Dario Tuorlo con il titolo di La Lega di Salvini (pp. 170, euro 15,00) che, sulla scorta di un lavoro che i due studiosi hanno condotto lungo l’ultimo decennio, esamina le radici e l’orizzonte di quella che non si esita a definire come «estrema destra di governo».
Se sull’internità, fin dal suo apparire, della Lega a quella categoria di «nuova destra post-industriale», non più erede del Novecento, definita a suo tempo tra gli altri dal politologo Piero Ignazi, non si dovrebbe ormai più dubitare, restano da definire le coordinate del nuovo inquietante balzo in avanti.
La prima considerazione che Passarelli e Tuorlo affidano ai lettori riguarda infatti la necessità di «prendere sul serio», anche sul piano del portato ideolologico-politico, il «fenomeno» Salvini, dopo che per decenni si è teso a sottovalutare il leghismo, derubricando a semplici boutade le sortite razziste dei suoi esponenti o sottovalutando la carica di novità, anche se in negativo, della sua proposta politica, ridotta, di volta in volta, a «nuova balena bianca» e «costola della sinistra».
È all’ombra della crisi economica e sociale, suggeriscono Passarelli e Tuorlo che, per alcuni versi in continuità con il suo recente passato per altri con una evidente trasformazione e accelerazione, la Lega è divenuta un partito di estrema destra. «La crescente importanza della questione immigrazione nella retorica politica leghista è forse la dimensione che più di altre aiuta a cogliere questa trasformazione», spiegano i due autori. La forma assunta da questa strategia si è quindi basata essenzialmente sulla costruzione di «un rapporto perverso tra opinione pubblica, sempre più preoccupata delle nuove presenze non italiane, e mondo leghista, che ha saputo alimentarsi di questo clima, ma anche contribuire ad accenderlo per monopolizzarlo o orientarne le rappresentazioni prevalenti tra l’elettorato, ora enfatizzando il pericolo economico, ora concentrandosi su quegli aspetti più connotati sul piano simbolico».
Conseguentemente, nella nuova versione della Lega definita da Salvini l’indipendentismo ha potuto lasciare il passo, non senza frizioni interne, al sovranismo e ai temi classici della destra nazionalista: dal «no» all’immigrazione e alla mondializzazione, fino all’euroscetticismo e al rigetto dell’«idea stessa di democrazia pluralista sostenuta dal pensiero liberale». L’evocazione della «comunità identitaria» e della chiusura verso l’esterno da una dimensione, per così dire «pedemontana», sono state trasferite all’intera realtà nazionale, fino ad indicare, anche in termini elettorali, una progressiva espansione del movimento verso il centro e il sud del paese.
Ne La Lega di Salvini, che dà conto di come questa progressiva ridefinizione ideologica si sia compiuta anche all’interno della macchina organizzativa e tra gli elettori del movimento, si evidenzia infine come questo fenomeno sia «sintomo e causa, allo stesso tempo, di una parte delle difficoltà e incertezze che affliggono il Paese. Manifesta una febbre latente e acuisce dolori sociali lancinanti». Una sfida cui rispondere perciò sul piano politico come su quello sociale.
GUIDO CALDIRON