L’inutile Aventino e le occasioni da cogliere

Sono molte le voci «pensanti» e non solo di sinistra a sostenere che il Pd farebbe bene ad andare a vedere le carte dei 5 Stelle, non negandosi a...

Sono molte le voci «pensanti» e non solo di sinistra a sostenere che il Pd farebbe bene ad andare a vedere le carte dei 5 Stelle, non negandosi a un confronto senza pregiudizi e senza sconti (Cacciari, Pasquino, Carofiglio, Montanari, Follini, da ultimo Scalfari…).

La linea aventiniana del Pd non si giustifica ma si spiega. Sia alla luce del deragliamento del corso renziano rispetto all’originario profilo e posizionamento del Pd quale partito di centrosinistra nel solco dell’Ulivo; sia nella sua configurazione di partito personale di Renzi che manifestamente, ancorchè incredibilmente, sopravvive alla disfatta. Non si spiegano altrimenti circostanze decisamente singolari quali: l’arrocco all’opposizione votato da tutta la direzione Pd; i distinguo millimetrici dei cosiddetti oppositori interni affidati a segnali di fumo anziché a un’aperta iniziativa politica; la speranza di costoro nell’azione dell’arbitro Mattarella («ascolteremo ciò che ci dirà», anziché viceversa); la nomina, senza discussione né voto, di due capigruppo renziani organici, paradossalmente salutata come una mezza vittoria dalle minoranze; un segretario reggente sostanzialmente allineato alla posizione di Renzi eppure mal sopportato perché non organico al giglio magico. In questo quadro abitato da comparse, non mi stupirei se, a un certo punto, a sorpresa, con un colpo ad effetto, fosse Matteo Renzi – uomo sveglio e spregiudicato – ad aprire ai 5 Stelle.

Tuttavia, allo stato, la posizione del Pd è sterile e oggettivamente irresponsabile. Dopo avere inseguito un malinteso voto utile, esso oggi si condanna all’inutilità sino ad augurarsi il tanto peggio tanto meglio. Ossia un governo sull’asse Salvini-Di Maio.

Eppure sarebbe interesse del Pd mettersi in gioco, fare politica, riprendere le fila di un dialogo con quegli elettori che lo hanno lasciato per approdare ai 5 Stelle a motivo dell’abbandono delle storiche istanze di sinistra per appiattirsi sull’establishment. Alla luce della teoria dello spazio politico, vi sono chance sul fronte opposto, ove l’offerta politica è già abbondante e articolata?
Esemplifico: sulle due priorità bandiera di 5 Stelle e centrodestra (reddito di cittadinanza e flat tax) davvero un partito di centrosinistra può mostrarsi indifferente o equidistante? Intendiamoci: giusto diffidare della estemporaneità e dell’ambiguità dell’approdo recente dei 5 Stelle a una cultura di governo (anche con riguardo al decisivo fronte della politica estera ed europea) e tuttavia è indubbio che siamo a fronte di una evoluzione del profilo del Movimento – sia chiaro – dall’esito incerto ma che si può favorire interagendo dentro un confronto politico-programmatico serrato, mentre nel caso del centrodestra a trazione leghista sappiamo bene ed esattamente di che si tratta: ovvero lepenismo nostrano.

Ogni sincero democratico non dovrebbe essere insensibile al beneficio della «istituzionalizzazione» di un partito nato protestatario e informato al mito fallace della democrazia diretta ma che raccoglie il consenso di un terzo degli italiani.

Infine, la pregiudiziale antiberlusconiana dei 5 Stelle. E’ curioso che, persino dalle parti del Pd, la si consideri mera espressione di settarismo, che non la si colga come una opportunità. Come corollario non di un pregiudizio ma di un motivato giudizio.

Panebianco suggerisce di coltivare buona memoria circa la radice estremistica di Lega e 5 Stelle. Sta bene. Ma davvero abbiamo cancellato il ricordo di cosa abbiano rappresentato Berlusconi e il berlusconismo per la legalità, l’etica pubblica, l’economia? Davvero possiamo dare credito alla leggenda recente dello statista rispettato e apprezzato in Europa? Come non interpretare l’attuale congiuntura anche come una opportunità di chiudere come si conviene definitivamente quella avvilente stagione varando finalmente leggi di civiltà come quella sul conflitto di interessi?

Se e quando, a dio piacendo, il Pd si interrogherà sulla sua storica débacle a vantaggio dei 5 Stelle potrà ignorare i propri peccati di omissione sulla «questione morale»? Magari considerando anche l’ipotesi che, anziché raccontarsi come intestatario del 40% dei sì alla riforma costituzionale, una quota di quel 60% che la bocciò lo abbia fatto non solo in odio a Renzi ma per amore della Costituzione?

FRANCO MONACO

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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Politica e società

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