L’insufficienza del socialismo utopistico e la nascita della sociologia

“La letteratura del comunismo e del socialismo” è un capitolo forse trascurato de “Il manifesto del Partito comunista” di Marx ed Engels. Ci si concentra sulla lettura dei propositi...

La letteratura del comunismo e del socialismo” è un capitolo forse trascurato de “Il manifesto del Partito comunista” di Marx ed Engels. Ci si concentra sulla lettura dei propositi dei rivoluzionari di metà Ottocento e si oblitera quasi la precedente analisi delle condizioni di esistenza del proletariato, così come della borghesia, ritenendo in una certa misura la metafisicità che vi persiste – nonostante gli sforzi scientifici di Saint-Simon e Fourier – il tratto essenzialmente caratterizzante quel tipo di interpretazione del sociale.

Per quanto si possa criticare il cosiddetto “socialismo utopistico” proprio a partire dall’ineliminazione dei tratti non scientifici che, invece, si era preposto di archiviare e lasciare nei meandri del passato, è pure giusto tenere conto del fatto che sono principalmente le condizioni oggettive tanto di quella che Marx definirà la “struttura” della società (e quindi l’economia), quanto delle sovrastrutture su essa uniformatesi e cresciute (politica, religione, cultura, etica, sapere, ecc.) a fare sì che i limiti suddetti si verifichino.

Quindi la coesistenza e, anzi, la preponderanza metafisica nel socialismo utopistico è, se avviciniamo lo sguardo ad un contesto molto complesso ma tuttavia comprensibile nell’insieme (ed è questo uno dei difetti attribuibili al socialismo che si nutre della nascente “sociologia” reazionaria e conservatrice), per così dire un effetto meccanicistico, una conseguenza irrimediabile, ineludibile. Quello che gli utopisti non comprendono è che, insita nella forma di produzione capitalistica moderna, a cominciare dal sistema delle fabbriche, vi è parte della soluzione del problema.

Un problema – confessiamocelo apertamente – tutt’ora irrisolto nella sua essenza cardine, nell’essere quindi l’economia dominante sulla globalità del pianete; ma, a differenza della prima metà dell’Ottocento, dopo Marx ed Engels, dopo gli altri teorici e rivoluzionari marxisti, dopo i tentativi di affermare il socialismo con l’istituzionalizzazione e la burocratizzazione, ora sappiamo che viviamo in un contesto dialettico in cui le classi sociali non sono una entro l’altra, ma una di fronte all’altra e lottano – che ne siano esse coscienti o no – per l’affermazione dei propri privilegi da un lato, dei propri diritti dall’altro.

Invece, gli utopisti ritengono la borghesia capace di uno sforzo extraclassista: creare le condizioni per rivoluzionarsi al punto tale da permettere al proletariato di evolvere e vivere in perfetta armonia entro un consesso sociale in cui siano, un po’ come per Platone erano i filosofi a capo della repubblica, i tecnici e i più capaci a governare la produzione di una ricchezza comune, pur in presenza del profitto. Quindi, di una maggiore ricchezza per alcuni e di una minore per tanti, tanti altri. La divisione socio-antropologica che del mondo fa Saint-Simon, del resto, lo chiarisce esaurientemente.

Da una parte chi vuole lavorare, dall’altra chi vuole oziare. Scienziati e tecnici, naturalmente, stanno, insieme alla borghesia e ad una larghissima fetta di proletariato dalla parte del mondo del lavoro: tutti gli altri dalla parte dell’elogio del riposo e dell’inattività. Ecco che, nemmeno a dirlo, forse senza neppure rendersene conto, Saint-Simon cade nel più brusco e peggiore dei modi in un piano inclinato reso scivoloso dall’oleosità di una metafisica moderna che non solo finisce col negare i rapporti di classe, ma non distingue proprio tra proprietari privati e salariati.

Ci troviamo, dunque, in un ambito veramente “antistorico“: principio della lotta tra le classi è la contesa tra interessi profondamenti differenti. Non basta l’affermazione del ricco che vuole accaparrarsi i soldi e del povero che è colpevole, in un certo qual modo, della sua situazione. La banalizzazione dei concetti è utile a chi detiene le leve del potere economico, a chi ha in mano le redini delle fabbriche, a chi trae dal lavoro altrui il plusvalore che è all’origine dell’elemento profittuale.

C’è, tuttavia, una scusante palese, propriamente “storica“, perché storicizzabile e, quindi, spiegabile mediante il metodo di comparazione dei testi e delle testimonianze ce ci sono pervenute, all’incauta analisi metafisica dei socialisti utopisti che pretenderebbero di avere dalla loro la scienza e non la metafisica: le condizioni del proletariato di allora sono tali da impedire una organizzazione su vasta scala dei fenomeni rivendicativi dei diritti che, di lì a poco, ad iniziare dalle rivoluzioni del 1848, si diffonderanno per qualcosa di più di mezza Europa.

Lo stesso concetto di “classe sociale” è più un attributo descrittivo e non invece una scoperta che sarà propria del socialismo scientifico. Certamente Saint-Simon, e pure Fourier, scorgono nell’industrializzazione il punto di svolta di una società che sta rapidamente cambiando: a partire dall’Inghilterra che, infatti, sarà oggetto di attente analisi da parte di Marx ed Engels. La situazione della classe operaia londinese e delle grandi fabbriche di Manchester, Liverpool e di molte altre città britanniche farà da basamento ad un nuovo sviluppo teorico che non basterà, come il socialismo utopistico, a sé stesso, ma farà da apripista ad una critica molto più articolata.

Le contraddizioni del primo capitalismo moderno rendono necessaria la spiegazione di come si possa far convivere la grande massa dei lavoratori accanto ai centri produttivi, nei pressi quindi di quel potere economico che la sociologia, appena nata ed iniziata nel suo cammino plurisecolare, considererà naturalmente proprio della classe borghese. Per Fourier il rapporto tra campagna e città si risolve a favore della prima con una urbanizzazione crescente nella costruzione dei “falansteri“: mostruosi formicai umani, in cui far stare centinaia di persone e che oggi faremmo somigliare di più ad una realtà distopica piuttosto che ad un sogno di armonia universale.

Qui la metafisica torna, smentendo ogni previsione di convivenza con la scienza dell’utopia (e quindi con una utopia della scienza al tempo stesso), ad impossessarsi della scena: ogni idealizzazione del futuro è quanto di più Marx rimprovererà agli utopisti. La citazione della «philosophische Begründung des Sozialismus (la dimostrazione filosofica del socialismo)» servirà agli estensori de “Il manifesto del Partito comunista” come empiricissima constatazione dell’aleatorietà di un pensiero fortemente reazionario e antisociale. Addirittura antiproletario.

Saint-Simon e Fourier ricercano dei princìpi di razionalità e di etica laddove esistono solamente rapporti di forza tra le classi e scontri ferocissimi tra chi muore di fame e chi fa soldi a palate. Questo non avviene perché il padrone è virtuoso e intelligente mentre l’operaio è ozioso e stupido. La necessità di uscire da stereotipizzazioni di questa natura è compito dell’analisi marxista che vuole capire perché tutto funzioni così e non accettarne i presupposti e limitarsi a migliorare le condizioni esistenziali mantenendo intatto un sistema che riproduce, giorno dopo giorno, le stesse ingiustizie  disuguaglianze.

I saintsimoniani, in generale, sentono un bisogno neocristiano di una società armoniosa: criticano giustamente i padri dell’Illuminismo per essersi limitati ad una critica indirizzata ai costrutti religiosi e al dominio aristocratico; ma poi si fermano su quel limite e non riescono, dato comunque il fatto che al proletariato manca un livello organizzativo tale da poter lasciare indurre ulteriori analisi nel concreto, a fare un salto di qualità nella direzione della comprensione dei contrasti di classe. Lo stesso Engels ammette che era facile produrre la critica ai lumi ma che molto più difficile, in quei decenni, era andare oltre la critica politica ed intellettuale.

I socialisti utopistici hanno il pregio di aver iniziato a spostare il campo visivo della critica sociale: dalla sociologia filo-borghese alla scienza sociale  come strumento di risoluzione delle stesse problematiche sociali diffuse. All’astrazione della scienza stessa si inizia a postulare la positivizzazione, ma manca, come molto bene scrive Ludovico Geymonat «una prospettiva storica» e, quindi, si cade nella circolarità di una contraddizione che persegue come obiettivo non l’analisi circostanziata dei rapporti di forza, ma ciò che voleva negare: l’utopia di una soluzione metafisica e platealmente antiscientifica.

Fondatore della moderna sociologia sarà, immediatamente dopo, uno degli allievi del saintsimonismo: Charles-Auguste Comte. L’oggettivizzazione dei fenomeni, astratti dalle tentazioni di astrazioni stesse, consentirà un ulteriore passo in avanti, perché ci porterà alla constatazione che è partendo dalla natura delle cose, della materia e, quindi, dalla Natura con la enne maiuscola che i rapporti tra le classi possono essere spiegati. Pur non giungendo alle conclusioni di Marx e di Engels, Comte respinge qualunque istintiva propensione metafisica insita in una esposizione che pensi il pensato più che la materialità esistente.

L’approccio scientifico che illustra è ancora più critico dello “stato secondo ragione” che era divenuto oggetto di una revisione di non poco conto da parte di Saint-Simon e Fourier. La scienza, per Comte, è una regolatrice, un concretissimo strumento mediante cui mettere ordine nell’anarchia del presente: di più ancora, la scienza sociale, quindi la sociologia che da lui prende avvio, diviene scuola di pensiero e di attenzione pratica ai fenomeni naturali ed a quelli umani che vi sono inclusi e compresi.

Nella storicizzazione della complessità del lungo cammino umano, Comte vede il punto di arrivo non finale, ma ultimo di una società priva di ordine, deteriorata nei rapporti vicendevoli, incapace di autoregolamentarsi e data in pasto al potere che prevale su altri e che si fonda su un teologismo irrisolto nel suo rapporto con una insufficiente soluzione metafisica per i problemi concreti e reali di una umanità costantemente in lotta fratricida. Teologismo e metafisica non risolvono nulla e, anzi, aprono sempre nuove contraddizioni irrisolvibili.

Ordine e progresso, che campeggiano nel motto della bandiera brasiliana, echeggiano quanto Comte scrive riguardo l’evoluzione sociale, l’evoluzione individuale entro la società: commette l’errore, nel sopravvalutare la teoria rispetto alla pratica, di affidare alla scienza il compito di stabilire le condizioni per ricercare un equilibrio tra l’oggi e il domani, tra ciò che è e ciò che sarà, senza rendersi conto che le leggi di natura e le leggi dello sviluppo dell’economia non sono distinte, ma si compenetrano, poiché l’economia è un principio regolatore umano, ma prescinde anche dall’umano stesso.

L’economia è l’insieme dei rapporti che si vengono a creare tra più specie, nella stessa specie umana e nel rapporto che essa ha col resto dell’esistente. Servirà Marx per andare oltre una dinamica degli opposti che non sia vista soltanto in chiave sociologico-positiva. Comte giudica matura l’umanità ottocentesca che guarda ormai alla scienza come ad un gradi di conoscenza da cui non si torna indietro: un principio evolutivo, insomma; l’inizio di un percorso che mira alla stimolazione del dubbio come forza motrice di una nuova storia globale.

Marx smentirà, carte alla mano, che una forza morale possa mettere pace tra capitale e lavoro, tra imprenditori e lavoratori. Ma per Comte questo era l’obiettivo da raggiungere: un’autorità morale che regolasse questi rapporti. Ancora una volta osservati come un tutt’uno, nonostante la sempre più evidente contrapposizione netta insita nella lotta tra le classi.

MARCO SFERINI

15 settembre 2024

foto: screenshot ed elaborazione propria

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Il portico delle idee

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