Alcuni giorni fa l’ex presidente americano Donald Trump si è recato al convegno nazionale della potentissima associazione “National Rifle Association“. Dalle notizie ufficiose che si leggono su Wikipedia e su altri siti che, a differenza dell’enciclopedia universale internettiana, trattano di armi, armamenti, cacciatori, caccia, difesa civile e militare, pare che la NRA conti circa cinque milioni di aderenti e molti più simpatizzanti. Attualmente la popolazione degli USA è pari a 329 milioni di abitanti.
Dentro convivono coloro che si divertono ad uccidere gli animali e chiamano il sadismo con l’improprio sinonimo di “sport“; quelli che estendono il secondo emendamento della Costituzione statunitense a praticamente ogni attimo della loro vita a stelle e strisce, con il diritto di portare una pistola sempre e dovunque, col rischio di trovarseli davanti all’ingresso di una scuola pronti a fare una strage di bambini; quelli che le armi le tengono solo per difesa ma ne sono tanto appassionati da avere in casa dei veri e propri arsenali; quelli che legano armi e progetto politico e pensano, fanaticamente e neonazisticamente, che il suprematismo bianco non può passare dalle urne soltanto, ma deve viaggiare sul sibilo omicidiario delle pallottole.
Il variegato mondo dei veneratori di pistole, fucili, mitragliatrici ed ogni altra sorta di strumento di difesa che è in realtà offensivo ben oltre l’atto e la potenza, è il non nuovo punto di partenza della campagna elettorale trumpiana per le presidenziali del 2024. Il magnate ha giurato che tornerà alla Casa Bianca e lo ha fatto parlando ad una platea che si discosta ben poco da quella più rozza e più diffusamente popolare che prese d’assalto Capitol Hill.
I teorizzatori del neo-conservatorismo hanno gioco abbastanza facile nel mostrare una politica democratica incapace di dare risposte sociali, di implementare le risorse a tutela delle fasce più deboli di una popolazione americana che vive l’impegno bellico di Washington in Ucraina come una inutile distrazione tanto istituzionale quanto economica.
L’impressionante stanziamento di 33 miliardi di dollari al governo di Zelens’kyj in armamenti sempre più pesanti, con l’ultimissima aggiunta dei missili MLRS a lungo raggio, tratteggiano la fisionomia di un governo tutto proteso agli equilibri internazionali e altamente disattento alle questioni interne.
La propaganda trumpiana ricomincia da qui. Da dove era incredibile potesse cominciare solo se non si considerava possibile una guerra in Europa, iniziata dalla Russia materialmente ma i cui mandanti immorali sono sparsi per tutto il pianeta: a cominciare dagli Stati Uniti e dall’Alleanza nord-atlantica.
Trump si ricandida quindi alle primarie presidenziali repubblicane per vincere, per superare quelli che sono suoi contendenti ormai divenuti storici, conservatori tanto quanto lui, più istituzionalisti nel presentarsi scenograficamente e anche nella forma da tenere durante discorsi, comizi, comparsate televisive. Ma tutti, proprio tutti, uniformati ad una proposta repubblicana che appare oggi molto lontana persino da quelle dei Bush senior e W.
Biden e Harris, per il vero, non stanno dando prova di affrontare i grandi temi sociali, attenuando le differenze che esistono tra l’America dei ricchi e quella dei poveri.
Magari negli USA non si può parlare apertamente di “economia di guerra” come nella nostra Italia e in Europa, dove il conflitto è alle porte, dove si fa sentire per vicinanza perché aumentano i costi del carburante, manca il grano e, se lasciassimo dire i più nevrotici sostenitori dell’interventismo a tutto tondo, saremmo quasi alla fame nera, ma una cosa appare sempre più certa: il mancato riformismo democratico, in merito ai problemi sociali più dirimenti, sarà sfruttato da Trump (e non solo da lui) per affossare ancora di più il già fragile consenso popolare di Biden e del suo governo.
La partenza armata dell’ex presidente repubblicano rischia di essere una trionfale marcia sia verso la Casa Bianca sia verso quella Capitol Hill contro cui era stato tentato un colpo di Stato, un atto eversivo spingendo non i militari a sostenerlo bensì la popolazione fedele ai motti autarchici, autoritari e complottisti del “Make America great again” e dell’ “America first“, tradendo con assoluta disinvoltura l’originaria ispirazione wilsioniana, pure non priva di enormi contraddizioni tra politica interna ed estera, come oggi alle prese con una guerra nuova, perché mondiale.
Sottovalutare la capacità seduttiva delle masse da parte di Trump vorrebbe dire non aver compreso, durante tutto il periodo del suo mandato presidenziale (ed anche precedentemente), la particolare sagacia con cui questo personaggio è stato capace di unire umori popolari devastati dalla povertà a ragioni risolutive che erano in realtà peggiorative delle condizioni del proletariato e del sottoproletariato urbano delle grandi metropoli della Repubblica stellata.
Significherebbe non comprendere che questo disagio sociale, Trump è capace di congiungerlo trasversalmente agli interessi enormi di lobby come la NRA e ai grandi gruppi di potere finanziario che oggi, per stabilizzarsi, per garantirsi un futuro nel ridisegno della geopolitica globale, hanno urgente bisogno di un manipolatore delle coscienze critiche e sociali.
La risposta democratica al trumpismo è stata, almeno fino ad ora, talmente flebile e incapace di rappresentarne una alternativa, seppure di compromesso, tra i bisogni sociali delle classi più indigenti e la “middle class” da spingerle nuovamente nella direzione della risposta peggiore: la saldatura tra interessi opposti, egemonizzata da un liberismo che non disdegna, anche nell’ottica della guerra di lungo termine contro la Russia putiniana, di ricercare in casa propria il massimo tasso possibile di pace sociale.
L’alta finanza e i grandi poteri economici sono pronti in ogni momento a decidere a chi dare il loro sostegno: quello che conta è che vengano salvaguardati quei privilegi che proprio una politica di indecisione come quella di Biden, tanto sul fronte interno quanto su quello della riconsiderazione dell’espansionismo imperialista nord-atlantico, non può garantire. La debolezza democratica è indubbiamente anche responsabilità personale del presidente stesso, ma sembra sempre più evidente che sia entrata in crisi una idea stessa di America progressista, di anche pur minimamente timido riformismo sociale nel contesto liberista nordamericano.
La destra di Trump, fatta solo di certezze e di slogan altisonanti, sostenuta da grandi capitalisti e da enormi lobby di potere, ha imparato dai suoi errori e non ripeterà le ingenuità che si è concessa. Le elezioni di medio termine saranno decisive, da questo punto di vista, per determinare il secondo biennio della presidenza Biden, influenzata fin dall’inizio da mutamenti epocali come la pandemia da Covid-19. Ma gli Stati Uniti sono per antonomasia il paese capitalistico più avanzato, quello che oggi mostra al mondo il suo futuro.
E, se li si osserva attentamente, nei loro mutamenti interni e nelle loro linee di politica estera, non ci si può, oggettivamente, attendere che il futuro di questa umanità sia sociale, riformatore e nemmeno vagamente progressista. La rincorsa di Trump è cominciata e dovrebbe preoccupare tutti coloro che vogliono mantenere alta la guardia sull’attacco combinato ai diritti sociali e civili. La regressione del potere del lavoro e del perimetro delle libertà che riguardano la sfera morale di ognuno di noi è già in atto: l’attacco al diritto delle donne a disporre del proprio corpo, al diritto all’aborto è un primissimo passo.
La richiesta texana di maggiori dotazioni di armi per prevenire le sparatorie nelle scuole è l’absurdum che si fa strada nella disperazione crescente di una società in cui solo con le pistole si ottiene una difesa da quei mostri creati e fatti crescere dal disagio antisociale e dall’abbandono a sé stessi di milioni e milioni di persone priva di qualunque garanzia e tutela, prive di qualunque speranza di futuro.
MARCO SFERINI
29 maggio 2022
Foto di John-Mark Smith