L’impiccione, il Sultano e «Giuseppi»

E così Siria. Ora il presidente turco, già sponda economica e logistica dell’Isis - proprio mentre la roccaforte jihadista di Idlib non è ancora caduta -, può andare alla guerra totale contro quelli che chiama «i terroristi curdi»; gli unici che, con le forze iraniane e gli Hezbollah, abbiano conteso in armi il terreno allo Stato islamico e ad Al Qaeda

C’era da aspettarselo. Donald Trump, sempre più isolato e pressato internamente, perfino dall’interno della Cia, dalla vicenda dell’impeachment e dalla crisi della sua politica di arroccamento aggressivo dei dazi, reagisce all’esterno con l’iniziativa di un’altra guerra per procura che ha la faccia tosta di annunciare come ritiro «da queste guerre ridicole». Lui l’isolazionista, il sovranista, che poteva vantarsi finora di non avere avviato una nuova guerra ma «soltanto» di avere continuato quelle iniziate dall’ideologia militarista «umanitaria» democratica, ecco che dà il via libera all’esercito turco perché invada il nord della Siria, abbandonando al loro destino i curdi che diceva di voler proteggere.

Naturalmente non è una guerra diretta. La lezione dei conflitti armati diventati gravosi e alla fine esternalizzati e privatizzati dalle precedenti amministrazioni Usa, è servita. Niente «scarponi a terra», ma un populistico «addio alle armi» che in realtà è un bellicoso placet al Sultano Erdogan perché porti avanti la sua offensiva. Ora il presidente turco, già sponda economica e logistica dell’Isis – proprio mentre la roccaforte jihadista di Idlib non è ancora caduta -, può andare alla guerra totale contro quelli che chiama «i terroristi curdi»; gli unici che, con le forze iraniane e gli Hezbollah, abbiano conteso in armi il terreno allo Stato islamico e ad Al Qaeda.

«Terroristi» curdi che incarcera e reprime con offensive armate all’interno della Turchia, e che intende definitivamente spazzare via dalla faccia della terra e della Siria per costruire la zona cuscinetto con la quale garantirsi il controllo delle aree etniche e strategiche che ritiene di sua competenza e mettere così sotto scacco il ruolo delle Nazioni unite. Che, direttamente con il segretario generale António Guterres, stanno ridefinendo in difficili ma importanti trattative la nuova carta costituzionale della Siria che deve riaggregare l’unità territoriale ma nel rispetto delle nuove autonomie. Con le forze curde del Rojava impegnate a difendere giustamente il loro confederalismo democratico e auto-organizzato che hanno sanguinosamente conquistato.

Ecco dunque che si ripropone lo scenario di una guerra permanente: con la scelta di Trump i curdi, che vedono uscire dall’area le sparute forze speciali Usa che pure erano attive nella loro difesa, continueranno a combattere. La Russia manda a dire un mascherato «basta che non metta a rischio l’integrità territoriale della Siria», che assomiglia al vergognoso «basta che la Turchia non superi il limite, altrimenti…»; e poi resta difficile pensare che Putin non ne sappia nulla, soprattutto dopo gli affari in armi con il Sultano Erdogan.

Il governo italiano è dunque chiamato subito ad esprimere una posizione contraria a questa avventura, forte tra l’altro della comprovata esperienza ed evidenza che dal disastro occidentale delle guerre in Medio Oriente restino solo macerie, instabilità crescente (sono più 100 i morti che non fanno notizia nella rivolta sociale irachena di queste ore) e fughe di profughi disperati il cui protagonismo di necessità contro le barriere politiche frapposte alla loro salvezza, hanno costituito e costituiscono il nodo politico centrale del mutamento dei già corti orizzonti dell’Europa.

Per i quali la Turchia di Erdogan ha in mano una ulteriore arma di ricatto: da anni, come «posto sicuro» riceve 6 miliardi di finanziamenti per contenere in campi profughi i disperati in fuga dalle nostre guerre mediorientali. L’Unione europea tardivamente sembra per ora prendere le distanze dalla scelta dell’annuncio quasi congiunto di Turchia e Usa, ribadendo che «non c’è soluzione militare al conflitto» e «il sostegno all’unità, alla sovranità e all’integrità territoriale della Siria». Del resto, con quale legittimità, se i governi europei non saranno ancora più espliciti contro questa scelta potranno erigere nuovi muri contro i profughi dell’area; e con quale «innovativo decreto sicurezza» l’Italia avrà il coraggio di fermare la disperazione di chi fuggirà da questa nuova aggressione? «Aiutiamoli a casa loro», i curdi siriani, impediamo che questa nuova infamia si consumi sulla loro pelle.

Ma, purtroppo non basta. Emerge con chiarezza che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte rischia davvero il ruolo di «Giuseppi», avendo detto sì a Trump tramite il sottosegretario Usa Pompeo in visita a Roma, all’acquisto subito di tutti i famigerati e inutili cacciabombardieri F-35 «perché servono la nostra difesa» – e sono proprio quelli che il presidente turco non acquista più; e che ci costano come mezza finanziaria mentre si fa fatica a trovare i soldi per l’Iva e la sanità. Proprio non convince la mezza marcia indietro, a parole, con cui fanno sapere da Palazzo Chigi, per rassicurare i timori elettorali del M5s fin qui «inconsapevole» e che ora spinge per una revisione dell’accordo, che «Conte è d’accordo ad una rinegoziazione».

Non solo parmigiano dunque, il ricatto della Casa bianca che utilizza la nostra iper-fedeltà all’Alleanza atlantica, risulta tragicamente in piena sintonia, tematica e di tempi, con la nuova scelta di guerra avviata in Siria per interposto Sultano, atlantico anche lui. Davvero così facendo – se tace o peggio approva l’operato di Trump sulla Siria e se acquista gli F35 – questo governo non fa la cosa giusta.

TOMMASO DI FRANCESCO

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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