Cosa spinge un giovane a divenire un idiota? Cosa gli si concede in cambio dell’intelletto? Partiamo dalla definizione atta a delineare in modo chiaro e ben definito il lemma idiota; innanzitutto, non ha una etimologia propriamente negativa, anzi intende un soggetto esterno alla società, un privato e solo e soltanto per conseguenza di ciò è idiotes, ovvero incapace di relazionarsi col mondo, quasi ai limiti dell’agorafobia e della misantropia.
In questa accezione si sincerano due grandi progettualità, due immensi obiettivi, che prima Stirner, ed in seguito Von Hayek –in quanto ispiratore dell’Anarcocapitalismo– e Ronald Reagan –in quanto, fondamentalmente, fautore dell’ultima ondata ordo(neo)liberista 1– hanno latentemente prodotto: l’avvento di un egoismo sociale cooptatore di ogni esperienza anticapitalista e la nascita di una società che spettacolarizza ogni soggetto esterno, sostanzialmente la creazione di un Capitalismo randiano nei limiti della pietà umana, se ci concedete di mutuare il titolo del famoso testo di Immanuel Kant.
Ciò che noi viviamo in questo momento però non è soltanto la trasformazione e drammatizzazione del Capitale, anziché una semplice spettacolarizzazione del male comune o della ribellione per fini lucrativi, noi si è nel pieno di un quasi compiuto processo di eugenetica ai nostri danni e per l’appunto ora la mentalità umana si divide in una contraddizione fra rassegnazione postmoderna e monetizzazione.
Il metro sociale non è più la reputazione, come una volta era nel caso del benpensante borghese, né la fama, come nel caso delle rockstar, anzi è una sorta di equazione o massima: “Per ogni variabile x o z o a etc., esiste la medesima e condivisa costante y” ovvero per ogni virtuale capacità umana e sociale esiste una mezzo per accrescerla, il denaro. Per fare ciò bisona in primis distruggere la prima abilità dell’Umanità, la comunicazione; come diceva Orwel, le dittature riaffermano il loro potere emendando dalla lingua ciò che le fa vacillare ed al Capitale sono i sentimenti che più danno fastidio, dacché la struttura assoluta e libera è capace di generare rivoluzioni, come s’è gia detto.
Il giovane moderno non vive spontaneamente, non ha vere e proprie volontà di rinnovamento, né cerca di cambiare il mondo, ma si trova vivo in una società che lo ha espulso dal potere sin dalla nascita e rifiuta categoricamente la sua condizione senza riuscire a dare soluzioni, si rassegna, anzi, alla sua condizione di dipendente dal genitore e dal mondo. In fondo, il giovane oggigiorno è un consumatore; non cerca soluzioni esterne a sé, ma sa che può trovarle dentro il suo contesto 2. Così facendo, gli è naturale la sua posizione di passività ed anche la necessità di reperire altrove dalla sua natura i sentimenti, le droghe, la musica commerciale, le alienazioni appetitive, ovvero gli eroi adolescenziali, la nostalgia passatista, il mito della purezza infantile.
Tutti questi sintomi indicano che una generazione “molle”, come dicevano i latini, sta per giungere al potere e che il futuro non sarà di cambiamento, al contrario sarà un continuo correre contro il tempo per mantenere le apparenze, un camminare sui carboni ardenti mentre l’opulenza fa piovere ori e diamanti. Ognuno ricorda la caduta dell’Impero Romano, molti anche con affezione e simpatia per quell’esperienza, altri con criticismo, ma soltanto alcuni ricordano quel che fu la caduta (od assimilazione) del mondo greco, a cui noi somigliamo maggiormente.
Quella porzione di terra, frammentata ed organizzatissima al contempo, visse gli stessi nostri episodi di decadenza ed allo stesso modo di costoro anche noi stiamo vivendo il principio di una cultura ipercitazionista e vuota di contenuti come per la poesia di Callimaco, di una politica centralizzata e leaderistica come con Alessandro Magno. Ciò che seguirà a questa era postaurea dipenderà tutto dalla presa di coscienza sentimentale e di classe del Popolo venturo, di chi sarà il futuro? Sarà nostro o noi saremo suo?
GIANMARCO MEREU
redazionale
8 marzo 2017
foto tratta da Pixabay
1“In the Shadow of the Gilded Age”, di Henry Giroux, pagina 153: «Fundamental to the costruction of the neoliberal subject is the acceptance of this official set of orthodoxies: the public sphere, if not the very notion of the social, is pathology; Consumerism is the most important obligation of citizenship; freedom is an utterly privatized affair that legitimates the privacy rights over public priorities; the sociale state is bad; all public difficulties are individually determined; and all social problems, now individualized, can redressed by private solutions. The undermining of social solidarities and collective structures along with the collapsing of public issues into private concerns is one of the damning elements of neoliberal rationality.»;
2Idem, ibidem;