Libero amore in libera Repubblica

Due giorni fa ho espresso una critica propositiva nei confronti delle parole di papa Francesco che hanno scandalizzato gli ambienti cattolici conservatori e filo-sovranisti, pare capitanati da eminenti prelati...

Due giorni fa ho espresso una critica propositiva nei confronti delle parole di papa Francesco che hanno scandalizzato gli ambienti cattolici conservatori e filo-sovranisti, pare capitanati da eminenti prelati che vanno dall’America filo-sovranista, vicino non troppo tempo fa a Bannon e Trump, fino alle aggregazioni politiche e sociali della peggiore destra europea.

Penso – lo ribadisco – che le parole del papa, ancorché datate, riportate integralmente dal contesto cinematografico che lo ha visto protagonista, siano molto importanti: sono un messaggio proprio alla galassia dei cattolici che invocano la catechesi fino all’ultima virgola, partendo dai testi biblici (quindi da Sodoma e Gomorra), passando per quel ‘500 in cui i pontefici bollavano (letteralmente) gli omosessuali di peccato mortale e li condannavano a morte.

E’ pur vero che nel corso dei secoli la posizione della Chiesa di Roma si è andata mitigando e ha raggiunto un livello di accettazione dell’omosessualità che non è, in quanto tale, condivisione. Qui sta il punto di conferma di una dicotomia tra le parole del papa, che questa volta afferma che gli omosessuali hanno diritto a farsi una famiglia, così come gli eterosessuali, con il magistero ecclesiastico che invece esclude tutto ciò.

La vita di un omosessuale, affettivamente e sessualmente parlando, è così spiegata nel testo ufficiale del “Catechismo della Chiesa Cattolica“, parte terza “La vita in Cristo“, sezione seconda “I dieci comandamenti“, capitolo 2 “Amerai il prossimo tuo come te stesso“, articolo 6 “Il sesto comandamento“, paragrafo “Castità e omosessualità“:

«2357 L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che « gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati ». Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.

2358 Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.

2359 Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana.»

Nel paragrafo 2357 la Chiesa cattolica asserisce che dall’omosessualità non proviene alcuna generazione di vita: è evidente. Tant’è monsignori, vescovi e papi tengono a sottolinearlo, nonostante sia lapalissiano. Questo perché la sottolineatura porta con sé, ed è essa stessa, il chiaro disvalore di uno stigma che mette l’accento su quegli atti sessuali che altro non sarebbero se non il frutto di un “disordine” attribuito ora alla mente ora ai comportamenti.

Considerando che l’omosessualità sarebbe anche inspiegabile in quanto a “genesi psichica” (laddove per “inspiegabile” pare intendersi, almeno, come “non spiegabile al momento“…), ne consegue che i comportamenti di gay, lesbiche e di tutte le persone non eterosessuali sono peccaminosi perché escluderebbero una simbiosi tra amore e sesso tradotta nell’atto della rigenerazione della specie, nell’atto essenzialmente procreativo.

Si sente una eco lontana di altre religioni e culti che mandavano a morte gli omosessuali per questa ragione: la minaccia di una possibile estinzione di un gruppo etnico, di un determinato popolo. Dietro ad ogni precetto religioso esiste sempre una motivazione che ha radici profonde nell’antropologia, nell’evoluzione lentissima dei valori morali subordinati al dramma dell’esistenza stessa, della comprensione della vita, della sopravvivenza nel momento in cui si viene al mondo e ci si deve confrontare con la furia degli elementi, con le avversità dell’ambiente che ci circonda: difenderci per proteggerci e proteggerci per continuare a vivere e rivivere nelle generazioni future.

La “Tradizione” con la ti maiuscola cui fa riferimento il catechismo cattolico è la cumulazione di tutta una serie di pregiudizi, condanne, anatemi e bolle di scomunica che sono state oggi tradotte in condanne morali, non potendo il Vaticano esercitare un potere temporale propriamente detto, ma cercando di insinuarsi nelle politiche nazionali dei vari Stati e condizionare la laicità di ognuno con quella subdola pratica dell’esternazione predicatoria che unisce la pacatezza della lusinga, volta al rispetto formale della altrui opinioni e della sovranità dei singoli paesi, alla scaltrezza del lancio di un messaggio chiaro e netto dietro parole apparentemente vellutate.

In altre parole, la ruffianeria del clero è il veicolo con cui si cerca di imporre alla morale laica di uno Stato democratico, indipendente e pluriconfessionale, l’interpretazione cattolica dei valori di vita quotidiani di tutto un popolo. La Chiesa cattolica definisce l’omosessualità come una “inclinazione oggettivamente disordinata“, presupponendo e quindi contraddicendo il dettame secondo cui non esisterebbe una evidenza scientifica di tale disordine, contenuto poche righe prima nello stesso paragrafo del catechismo.

Tutto ciò, poi, sarebbe niente altro se non una “prova” cui debbono sottoporsi gay, lesbiche, transgender, queer, intersexual per entrare in quella comunione di intenti e di spiritualità che devono ricercare se vogliono vivere da buoni cristiani.

Questo è la traduzione moderna che anche la Chiesa di Bergoglio fa in merito all’omosessualità: la biasima, la considera un peccato grave e opera la distinzione per niente consolante tra attore e azione. La persona distinta dal comportamento è accoglibile nel seno della madre chiesa, l’atto è escludibile, anzi esecrabile poiché offende la volontà di dio che risiederebbe nella considerazione del sesso come mero strumento procreativo, unitamente – si intende – a quel tanto amore puro che deriva dall’affetto sincero dell’uno verso l’altro. Ma solo se si tratta di uomini e di donne.

Per questo, plaudere alle parole del pontefice è giusto, poiché rappresentano per l’appunto l’apertura di una contraddizione – che prima non esisteva – tra vita quotidiana delle persone cattolicamente intesa e precetti della Chiesa: dunque si apre un problema non da poco che solo un concilio può forse dirimere. Si tratta di capire se le parole di Francesco sono maggioranza nel mondo cattolico mondiale e, pertanto, devono farsi largo per imporsi gradualmente, oppure se sono in netta minoranza e quindi sono destinate a rimanere delle mere dichiarazioni di intenti, degli spunti su cui magari un giorno qualche altro successore di Pietro tornerà o magari seppellirà definitivamente.

Quando si fa riferimento al mondo cattolico, è bene distinguere tra gerarchie ecclesiastiche e cattolici, soprattutto di base: laddove in questa seconda categoria vanno inclusi anche i tanti sacerdoti che sono esclusi dalle sfere decisionali di un potere che spiritualmente e anche temporalmente rimane verticale, visto che il papa è il vicario di Gesù Cristo in terra ed è al contempo il sovrano assoluto dello Stato della Città del Vaticano.

L’impressione che si ricava da una osservazione un po’ attenta nella società, attraverso i giornali, le reti televisive e la miriade di siti web che fanno esplicito riferimento alla Chiesa di Roma, è che la stragrande maggioranza dei fedeli cattolici sia ormai pronta ad abbandonare qualunque stigma nei confronti dell’omosessualità, mantenendo le proprie convinzioni sul matrimonio tra uomo e donna ma non per questo negando a due uomini o a due donne di potersi unire civilmente, magari anche di sposarsi e di avere – secondo quanto si può intuire dalle parole di Francesco – anche dei figli.

Punto dolente questo, perché la genitorialità è un altro capitolo di non facile scrittura per una morale cattolica che ha la pretesa di essere quella ispiratrice della vita di ciascuno di noi, mentre dovremmo avere bene a mente che, in quanto esseri umani dobbiamo rispondere prima di tutto alla coscienza e al nostro buonsenso; in quanto cittadini dobbiamo rispetto alla Costituzione della Repubblica Italiana e non al Catechismo della Chiesa Cattolica.

Confondere le parole di Francesco con la rigidità giudicante della “Tradizione” è un errore da evitare: se esiste oggi una possibilità che una parte della società sia pronta a disporsi a capire anche l’amore omosessuale, il fatto che – per dirla come la direbbe un credente – “siamo tutti figli di dio“, senza distinzione di etnia, di cultura, di desiderio amoroso e sessuale, questa è incoraggiata proprio dal cambio di direzione operato dal papa.

E’ evidente che non possiamo aspettarci una rivoluzione morale nella Chiesa su questo come su altri temi: non possiamo con faciloneria e approssimazione pensare che Francesco ora diventi una sorta di pontefice laico, che incoraggi i diritti delle donne fino all’aborto o che condanni la proprietà privata dei mezzi di produzione e diventi magari pure marxista. Già in troppi lo accusano di essere tale e questo dovrebbe dare la misura delle grandi differenze che sussistono nella curia romana e negli ambiti cattolici che sono il centro del potere ecclesiale.

Francesco è un gesuita, vede bene i mutamenti sociali e somiglia molto alla descrizione che dei gesuiti stessi fa il loro “generale” (il “papa nero“) interpretato da un bravissimo Salvo Randone quando, nel film “In nome del Papa Re” di Luigi Magni, rivolto a monsignor Colombo da Priverno (Nino Manfredi), che lo incalza dicendo che loro sanno sempre tutto, risponde: «No, è che noi sappiamo prima degli altri».

L’anticipare i tempi non significa mettere in atto un capovolgimento della dottrina della Chiesa, ma renderla flessibile, adattarla ai mutamenti sociali, antropologici e sociologici cui si può assistere di giorno in giorno e, nel sommarsi delle stagioni, col passare di anni che formano un quadro abbastanza chiaro di quel che potrebbe accadere se invece i cattolici rimanessero rigidamente ancorati alla “Tradizione“.

Quando nacque il Regno d’Italia, mentre infuriava la polemica un po’ ovunque sull’auspicio che Roma divenisse un giorno la capitale del nuovo Stato unitario, Pio IX obiettava nel merito a Cavour che mai e poi mai sarebbe potuta esistere una Chiesa senza il potere temporale. Praticamente veniva respinto al mittente il cuore della politica del primo presidente del consiglio italiano che prevedeva il famoso adagio: “Libera Chiesa in libero Stato“.

Cavour scrisse al papa esprimendogli, con grande sincerità e senza alcuna animosità, una previsione tanto politica quanto sociale e civile secondo cui la Chiesa Cattolica ne avrebbe giovato dall’abbandonare l’anacronistico residuale Stato della Chiesa che sopravviveva agonizzante nel solo territorio del Lazio. La risposta del Vaticano fu lapidaria: nessuna rinuncia.

Allora il timore riguardava la perdita del triregno pontificio e la caduta in disgrazia della Chiesa nei tempi moderni che venivano prepotentemente avanti, con il comunismo che dilagava come movimento di organizzazione degli oppressi in tutto il mondo, ma soprattutto in Europa.

Oggi i più estremisti elementi conservatori della “Tradizione” non temono affatto la perdita di un potere temporale su uno Stato; semmai la preoccupazione riguarda, per alcuni principi della Chiesa, tutti gli affari economici che sono diretti dalla Santa Sede e che sopravvivono grazie al mantenimento in vita di un fervore religioso che deve poggiare sulla credulità popolare, sull’adorazione acritica verso le verità inconoscibili emanate da dio: dai dogmi fino ai miracoli approvati con certificato vaticano, passando per tutte le beatitudini e santificazioni possibili.

Noi non possiamo che auspicare che anche questa fetta di mondo cambi un po’ più velocemente rispetto ai tempi soliti della Chiesa. Come ha bene sostenuto Luciano Canfora, «…per la Chiesa cento anni sono un batter di ciglia…»: dunque l’auspicio risiede tutto nel fatto che le parole di Francesco sull’omosessualità vadano in questa direzione più repentinamente, seguendo il veloce evolversi dell’espansione dei diritti civili in tutto il mondo, nonostante le recrudescenze sovranista.

Di sicuro il pontificato precedente, quello di Ratzinger, andava in tutt’altra direzione e portava nocumento alla Chiesa nella ricerca di una stagione di adeguamento a quella che si può nell’attualità dell’oggi in cui si vive, chiamare sempre “modernità“. Se ne sarà accorto lo Spirito Santo oppure qualche cardinale lungimirante, visto che di papi ne abbiamo due ma quello che siede sul trono è, per molti versi, l’antitesi del precedente.

Ciò detto, non possiamo, come cittadini della Repubblica, andare al traino della morale cattolica: noi dobbiamo avere come bussola la Costituzione italiana. Su questo presupposto evidente e imprescindibile deve fondarsi l’evoluzione sociale, collettiva e individuale di tutta la popolazione. Per questo, possiamo esprimere apprezzamento per quanto avviene oltre Tevere, ma poi dobbiamo considerare quanto ancora la nostra Italia sia indietro nel processo di qualificazione della sua laicità, del suo carattere del tutto indipendente tanto dalla Chiesa Cattolica quanto dalle altre confessioni religiose.

Non siamo sudditi vaticani ma cittadini di una libera Repubblica che deve rendere sempre più egualitari i diritti adoperandosi nella rimozione di tutti quegli ostacoli che impediscono l’adozione della parità di trattamento in ogni momento della nostra vita. Non perdere di vista cosa ci accade intorno è necessario, ma è assolutamente imprescindibile avere bene a mente che non è il papa che deve suggerirci come vivere, tanto meno vescovi e preti.

La nostra morale è laica e porta scritto sulla sua bandiera: “Libero amore in libera Repubblica“, laddove amore fa rima con sesso e viceversa e non ci sono tradizioni da rispettare ma solo un futuro da costruire insieme.

MARCO SFERINI

24 ottobre 2020

Foto di Majaranda da Pixabay

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