L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza

Viene il sospetto che, a volte, siano proprio le coincidenze a dare credito a delle superstizioni che, non fosse altro che per puro gioco, aiutano a capire il successo...
Friedrich Engels

Viene il sospetto che, a volte, siano proprio le coincidenze a dare credito a delle superstizioni che, non fosse altro che per puro gioco, aiutano a capire il successo di certe opere piuttosto che di altre.

A parte i grandi libri delle religioni monoteiste, inoculati nelle menti popolari come “parola di dio“, un gran parte dell’evoluzione umana è stata intellettualmente e socialmente affrontata sulla scorta di opere davvero piccole per numero di pagine, ma decisamente titaniche per i concetti che vi erano e vi restano impressi.

Idee non solo nuove, quindi moderne, di netta rottura col passato, ma ancora di più elaborazioni che permettevano di essere diffuse largamente, tradotte in tante lingue, soprattutto dopo l’invenzione della stampa e il suo perfezionamento secolo dopo secolo. I costi di un libro, si sa, almeno fino ai tempi recenti della storia moderna, erano proibitivi per le masse proletarie, per chi ogni giorno doveva tirare a campare e, nello stesso tempo, confrontarsi quindi con un livello di sfruttamento della forza-lavoro da servitù della gleba.

Eppure, nonostante tutto, questi piccoli libri hanno non solo prodotto innovazioni determinanti nel corso degli eventi, inserendosi nelle modificazioni intervenute nella struttura economica di una società, ma persino sono riusciti ad influenzare intere fasi storiche, mettendo persino in imbarazzo la concezione materialistica della realtà, il suo essere soltanto frutto – per quanto riguarda i mutamenti di quei rapporti produttivi che si venivano organizzando senza un preciso scopo – della piramide inversa tra struttura e sovrastruttura.

E’, paradossalmente, proprio il caso di uno scritto di Friedrich Engels, un piccolo opuscolo formato da tre capitoletti del celebre “La scienza sovvertita del signor Eugen Dühring” (altrimenti conosciuto col titolo più sbrigativo di “AntiDühring”) a cui venne dato come titolo “L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza” (edizioni varie) e che, fin da subito, sono apparsi ai lettori del tempo come una sintesi davvero eccezionale tanto delle idee e delle proposte dei comunisti quanto della critica che, ad iniziare dal “Manifesto“, aveva fatto il suo ingresso sulla scena sociale, culturale e politica del Vecchio continente.

Siamo nel 1878, nel pieno del governo di Bismarck in Germania, con le sommosse della Comune parigina passate da appena un lustro e mezzo, con una Europa che sta capitalisticamente procedendo verso un nuovo dominio del mondo. Il disfacimento dell’Impero ottomano è cominciato; l’Italia è un regno modesto che sta per lanciarsi nelle disavventure coloniali al pari delle altre potenze europee.

Insomma, le forze sociali che si muovono convulsamente lo fanno dando vita a nuove organizzazioni del mondo degli sfruttati, di quel proletariato moderno che inizia a prendere coscienza della propria condizione e che, grazie al socialismo e ai comunisti comincia a pensare che forse quel tipo di vita lì non è proprio quella che vorrebbe fare e che nessuno ha stabilito che debba essere così.

Se non i rapporti di forza tra le classi, quelli determinati dalla proprietà privata dei mezzi di produzioni. Quelli che sono strati ereditati e corretti, rivisti e adattati ai tempi con un nuovo sistema di gestione e governo dell’intera società.

Engels, nel contestare il fastidioso e ottundente otttimismo positivistico di Eugen Dühring, decise di riprendere la questione del passaggio del socialismo da utopistico a scientifico, per far anzitutto comprendere che le proposte di cambiamento sociale avanzate dal partito dei comunisti, dall’Internazionale dei lavoratori, non erano frutto di una semplice interpretazione filosofica del mondo, ma prima di tutto, ancora prima di essere una teoria affidata ad una volontà politica di rivoluzione concreta, erano il risultato di uno studio meticoloso del funzionamento del “modo di produzione capitalistico“.

Prima che Marx scrivesse “Das Kapital“, il termine “capitalismo” era molto poco diffuso, così, di contro, lo era anche il termine “socialismo“, mentre per il “comunismo” si deve andare molto a ritroso nel tempo per riscontrarlo in qualche cronaca medievale e, oltre tutto, associato a questioni letteralmente molto distanti da una coscienza di classe, da una voglia di riscatto proletario.

Così, ad una diversa idea di società non corrispondevano nemmeno analisi scientifiche, quindi verificate e verificabili con dati alla mano e con studi che li avevano interpretati e interscambiati, e non si è mai potuto parlare veramente di tentativi di “socialistizzazione” delle produzione e dei rapporti che ne erano a monte.

Engels si dilunga molto nel prendere in considerazione proprio l’aspetto temporale dell’evoluzione storica della produzione, perché è da questa che poi derivano tutti gli altri rapporti sociali, culturali, morali e civili.

Ciò non toglie, come abbiamo precisato all’inizio di queste righe, che anche la sovrastruttura ideale di una società abbia un suo peso nel condizionare certi salti di qualità nell’organizzazione di quelle che un tempo si sarebbero chiamate “arti e mestieri” e che oggi si chiamano “lavoro e impresa“.

Ma l’assunto principale rimane questo: ogni essere vivente, prima di occuparsi di filosofia, di arte, di scienza, di cultura in generale, deve anzitutto sopravvivere. Quindi deve avere una casa, un letto, del cibo, dei vestiti per poter vivere giorno dopo giorno, per potersi in sostanza “perpetuare” e tramandare nel corso dell’esistenza.

Senza questa condizione di soddisfazione di bisogni meramente materiali, ogni altra attività risulta, se non impossibile, certamente molto difficile da mettere in pratica.

Ne consegue – come sintetizza molto bene Marx – che «non è la coscienza degli uomini che determina la loro esistenza, bensì è la loro esistenza sociale che determina la coscienza». In questa frase è praticamente condensato tutto il principio fondante della critica al capitalismo: una critica che afferma come il sistema economico instaurato dalla borghesia sia il produttore di una ricchezza per pochi e di una enorme diseguaglianza per tutti gli altri esseri viventi.

Oggi possiamo sperare in una critica ancora più ampia e risoluta, parlando di “esseri viventi” ed anche di ambiente e natura, visto che siamo consapevoli di come l’antropocentrismo sia esso stesso un perno del capitalismo liberista, una visione assolutamente totalizzante della presenza umana sul pianeta a discapito di tutti gli altri animali non umani e di quella che, nella sua molteplicità unica chiamiamo “Gaia“, la Terra.

La scientificità del socialismo marxista ed engelsiano è, oggi, riaffermata da una necessità di avere ancora tra le mani quegli strumenti di disarticolazione dell’affermazione di un capitalismo come meta ultima dell’umanità e come scopo raggiunto di una evoluzione storica che non dovrebbe quindi avere ulteriori approdi, altri cambiamenti.

Saremmo sul limitare della Storia con la esse maiuscola. Forse questo poteva anche andare bene ad un inguaribile ottimista com Eugen Dühring, ma non può essere sufficiente per chi ha la dimostrazione che i rapporti di produzione sono in continuo mutamento.

Il capitalismo liberista, molto di più oggi rispetto alla fase novecentesca di espansione e di globalizzazione, mostra tutti i segni di un cedimento strutturale (nel vero senso del termine) perché gli è impossibile mettere fine all’endemico scontro tra espansione della produzione ed espansione dei mercati.

Lo scrive molto bene Engels nel terzo capitolo del libro:

«L’enorme forza espansiva della grande industra si presenta ora ai nostri occhi come un bisogno di espansione sia qualitativa sia quantitativa che si fa beffa di ogni pressione contraria. Questa pressione contraria è formata dal consumo, dallo smercio, dai mercati per i prodotti della grande industria. Ma le capacità di espansione dei mercati, sia estensiva che intensiva, è dominata anzitutto da leggi affatto diverse, che agiscono in modo molto meno energico.L’espansione dei mercati non può andare di pari passo con quella della produzione. La collisione diviene inevitabile e poiché non può presentare nessuna soluzione sino a che non manda in pezzi lo stesso modo di produzione capitalistico, diventa periodica. La produzione capitalistica genera un nuovo ‘circolo vizioso’».

Qui Engels tratta di un periodo tutto ottocentesco, anzi del primo Ottocento, almeno fino alla prima metà del secolo: l’Inghilterra davvero sta mostrando al mondo intero – come scriveranno sia lui sia Marx anni dopo – come diventerà il resto del mondo nel giro di pochi decenni. Per lo meno le zone più ricche, quelle dove maggiore è la possibilità di ottenere dalla forza-lavoro il massimo della sua produttività con costi salariali davvero miseri.

Ciò che interessa rilevare, però, è proprio il carattere, il tratto, la chiara fisionomia scientifica dell’analisi. La critica di un sistema delle merci e dello sfruttamento del lavoro (nonché della natura e di tutti gli esseri viventi che ne sono compresi) si basa quindi su una chiara evidenza scientifica, supportata dall’oggettività dei numeri: l’espansione globale del capitale è pari all’espansione globale del salariato come controparte.

Un elemento al centro della produzione che, da singola quale era nel medioevo, diventa “sociale” e in cui la proprietà dei mezzi di produzione passa dal lavoratore stesso (contadino, fabbro, artigiano) ad una nuova figura di possidente: il borghese, il padrone, l’imprenditore. Ecco i fattori che distinguono il moderno modo di produzione capitalsitico dal vecchio mondo della manifattura, delle arti e dei mestieri.

La lettura di questo opuscolo di Engels è tanto utile quanto la primissima lettura del “Manifesto” o i tentativi di lettura de “Il Capitale“. Concetti ed elaborazioni scientifiche, frutto di studi matematici e di disamine sociologiche ed antropologiche, si mescolano in un preciso ordine analitico e non fanno del marxismo una nuova teoria del mondo, ma un avvertimento: il capitalismo non è eterno e non può esserlo.

Ha crisi cicliche da sempre e oggi sta affrontando la sua più imbarazzante operazione di dimostrazione di tenuta globale in un pianeta che ne respinge in tutto e per tutto le prerogative esclusiviste, i privilegi che si è dato e che ha dato anche a chi, molto poco colpevolmente, ha ereditato un ruolo antisociale in una umanità densissima e sempre più ingestibile. Le fasi colonialiste lasciano oggi spazio a nuovi settaggi di un quadro pluri-imperialistico in cui i poli in espansione si affrontano e competono in una contesa mondiale autodistruttiva.

La guerra in Ucraina, la crisi di Taiwan, le sommosse civili in Africa e le tensioni internazionali che ne derivano sono l’esatta rappresentazione di questa assoluta insostenibilità del capitale accanto al lavoro, del profitto accanto al salario, della sopravvivenza accanto alla vita.

La scientificità del lavoro di Marx ed Engels, che hanno portato l’alternativa socialista dall’utopismo alla concretezza, dall’idea al progetto sociale, dal puro pensiero ideale ad una prospettiva di cambiamento concreto dell’esistente, ancora oggi si può sintetizzare nel “movimento reale che abolisce lo stato di cose presente“. Questo, e soltanto questo, è il comunismo.

L’EVOLUZIONE DEL SOCIALISMO DALL’UTOPIA ALLA SCIENZA
FRIEDRICH ENGELS
A.C. EDITORIALE COOP
€ 5,00

L’opuscolo è reperibile anche su Marxists.org

MARCO SFERINI

28 giugno 2023

foto: screenshot web


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