Grande sospiro di sollievo in tutta Europa (o quasi), per la vittoria al 58,5% di Emmanuel Macron, che evita che uno dei paesi fondatori della Ue si trasformi in un paese euroscettico.
Ma in Francia questo entusiasmo non è condiviso. Il 41,4% di Marine Le Pen, un record storico per l’estrema destra, addizionato a una forte astensione al 28%, getta un’ombra preoccupante sulla tenuta di un paese che esce dalle presidenziali diviso politicamente in tre blocchi – grande centro, estrema destra, sinistra dominata dalla France Insoumise – dopo cinque anni di scontri e crisi, dai gilet gialli al Covid alla guerra tornata in Europa.
Un paese frammentato tra grandi città e zone rurali, tra generazioni, tra identità etniche e religiose, tra classi sociali, tra “vincenti” e “perdenti” della mondializzazione, che sarà difficile da riunire. Macron consolida il suo elettorato modernista e a suo agio nel mondo, mentre la sinistra non riesce più a parlare alle classi popolari che si sentono declassate (a parte il successo tra i giovani urbani di Mélenchon) e si rifugiano nell’illusione Le Pen.
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il primo a reagire domenica, ha visto nel voto «un messaggio forte a favore dell’Europa». Lo spagnolo Pedro Sánchez si felicita di una «scelta francese impegnata per una Ue libera, forte, giusta, la democrazia vince, l’Europa vince». Per Mario Draghi è «una magnifica notizia per tutta l’Europa», notizia «eccellente» anche per la Slovacchia. L’olandese Mark Rutte auspica la continuazione di «una cooperazione costruttiva», anche dall’Austria è sottolineata la dimensione europea del risultato.
Secondo il portoghese Antonio Costa, «il popolo francese ha mostrato ancora una volta l’attaccamento al progetto europeo». Svezia e Finlandia, che stanno discutendo l’entrata nella Nato, sono sollevate, come tutti i paesi vicini alla Russia. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen si è detta «felice di poter continuare un’eccellente cooperazione», il presidente del Consiglio, Charles Michel ha inviato un «caloroso bravo» a Macron, sottolineando che «abbiamo bisogno di un’Europa solida».
Dalla Repubblica ceca, che da luglio succederà alla Francia alla presidente della Ue, il primo ministro nazionalista Petr Fiala ha parlato di «partner vitale». Dall’Ucraina Volodymyr Zelenski, con cui Macron ha parlato al telefono la sera di domenica, ha salutato «un vero amico» con cui andare «verso un’Europa unita e forte».
Persino Vladimir Putin ha inviato un messaggio, congratulandosi «sinceramente» e augurando «buona salute». Dall’Ungheria di Viktor Orbán, invece, silenzio. Mentre dalla Polonia il primo ministro Mateusz Morawiecki afferma che Varsavia condivide con la Francia «molte sfide e interessi comuni», ma dall’opposizione Donald Tusk spera che «verrà il giorno in cui avremo Parigi a Varsavia», cioè ci sarà una sconfitta dell’estrema destra.
In Francia, però, sono in pochi a condividere l’entusiasmo dei partner europei. Il 41,4% di Marine Le Pen, i 13 milioni di voti raccolti dalla candidata di estrema destra, che è arrivata in testa in 30 dipartimenti su 101 sono un record storico, che unito a un’astensione al 28% (un quasi-record) rappresentano un rischio per i prossimi cinque anni di fronte a un risultato dove è forte il rigetto dell’avversario.
Lo ha riconosciuto subito domenica sera Emmanuel Macron, in un inabituale breve discorso dopo l’annuncio del risultato, solo 15 minuiti al Champs-de-Mars – un simbolo, qui ha avuto luogo la Festa della Federazione il 14 luglio 1790, uno dei grandi momenti di unità del paese – con la Tour Eiffel dietro le spalle e le note dell’Inno alla Gioia di Beethoven: «Ho coscienza che questo voto impone un obbligo per gli anni a venire», «non sono più il candidato di un campo ma il presidente di tutti» e si è impegnato a cambiare «metodo», più concertazione, più condivisione nelle decisioni.
«Il nostro paese è pieno di dubbi e divisioni» ha ammesso Macron, che 5 anni fa aveva promesso di far diminuire l’estrema destra. È avvenuto il contrario. Oggi, ci sono 17 punti di differenza tra Macron e Le Pen, che però ha aumentato i consensi di 8 punti, più 2,7 milioni di voti rispetto al 2017. Nel 2002 furono 20 milioni i voti di differenza tra Chirac e Le Pen padre, 10 milioni nel 2017 tra Macron e Le Pen figlia, adesso solo 5 milioni.
La Francia resta profondamente fratturata, in tre blocchi politici (grande centro stabilizzato, estrema destra e sinistra dominata dalla France Insoumise), tra territori, tra grandi città e zone rurali, tra generazioni. Macron è arrivato in testa in tutte le fasce di età, ma i maggiori consensi sono tra gli elettori più anziani e tra i giovanissimi (18-25 anni), mentre Le Pen raccoglie i suoi principali risultati tra i cinquantenni.
A Parigi Macron ha avuto l’85%, il 73% nel dipartimento molto popoloso e multietnico della Seine-Saint-Denis. La vittoria di Macron ha un aspetto “storico” perché per la prima volta nella V Repubblica un presidente in carica viene rieletto senza essere uscito da una “coabitazione” con l’opposizione. Questa opposizione non ha avuto nessuna espressione di garbo “repubblicano”, nessuno si è congratulato come vorrebbe la forma.
Marine Le Pen ha parlato della propria «vittoria strepitosa» e promette di essere la principale oppositrice, Jean-Luc Mélenchon ha affermato che Macron «è il presidente più mal eletto» della V Repubblica. Gli elettori di Mélenchon hanno votato al 42% per Macron, al 17% per Marine Le Pen, gli altri si sono astenuti.
Particolare il travaso di voti nei dipartimenti d’oltre mare: nella Antille, che avevano dato un plebiscito a Mélenchon al primo turno, Marine Le Pen ha superato il 60% (e sfiorato il 70% in Guadalupa). Un voto di protesta, tra anti-vax e rabbia sociale.
ANNA MARIA MERLO
Foto di Boris Ulzibat