Disquisendo del ruolo dell’Italia meloniana nel «globo terracqueo» ieri il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli, intervenuto alla festa giovanile di Fratelli d’Italia, ha riproposto un grande classico della falsificazione della storia nazionale. «Sia nel periodo pre-fascista sia durante il fascismo – ha detto Cirielli – l’Italia nei suoi cento anni di colonie in Africa ha costruito e realizzato» perché «abbiamo una cultura civilizzatrice».
La goffa uscita del vice-ministro non rappresenta soltanto un tentativo, già grave di per sé, di riqualificare le politiche coloniali ed imperialiste dello Stato liberale e del regime fascista ma punta, attraverso l’uso propagandistico del passato, a legittimare le scelte del governo del presente.
Il presente sarebbe il cosiddetto «Piano Mattei» propagandato dal governo post-fascista fin dal suo insediamento e strutturato su tre grandi rimossi sia della storia d’Italia sia della stessa vicenda personale del fondatore dell’ENI. Il primo rimosso riguarda una foto simbolo cara a tutto il Paese democratico.
È il 6 maggio 1945 e nella Milano liberata sfilano le formazioni partigiane che hanno sconfitto i nazifascisti guidate alla testa del corteo dai comandanti del Corpo Volontari della Libertà: Mario Argenton, Luigi Longo, Ferruccio Parri, Raffaele Cadorna, Giovan Battista Stucchi ed Enrico Mattei.
Dalla radice storica dell’antifascismo muove, dunque, il primo passo della vicenda umana, politica ed istituzionale dell’allora esponente della Resistenza cattolica e futuro presidente dell’ENI.
Il fondamento della Repubblica, l’antifascismo, che ancora oggi la Presidente del Consiglio Meloni ed il suo partito non riconoscono, come d’altro canto fece il loro «padre» politico Giorgio Almirante che nei giorni della Liberazione, al contrario di Mattei, scappava, travestito da partigiano, dall’uscita secondaria della Prefettura di Milano insieme ai gerarchi di Salò.
Il secondo rimosso riguarda l’eredità del fascismo rispetto ai crimini di guerra compiuti in Africa nel corso della nostra «missione civilizzatrice» che alla fine della seconda guerra mondiale, pur meritevole di un processo di Norimberga sulla falsariga di quello celebrato contro i nazisti, venne rappresentata attraverso il falso mito auto-assolutorio degli «italiani brava gente».
Un mito evidentemente ancora caro a Cirielli che «senza vaneggiamenti» ne ha voluto rinverdire i fasti: «l’italiano è da sempre una persona che rispetta il prossimo. Noi non siamo, per natura, gente che va a depredare e a rubare al prossimo». Sarà stato per questa nostra innata bontà d’animo che l’aviazione fascista, nella ricerca del «posto al sole» voluto da Mussolini, scaricò nella sola «battaglia dello Scirè» del febbraio-marzo del 1936 oltre 200 tonnellate di esplosivo, bombe all’iprite e gas asfissianti (vietati dalle leggi internazionali) contro la popolazione civile.
Una verità che solo nel 1996 e solo grazie agli studi storici di Angelo Del Boca (che subì per questo il linciaggio mediatico da parte dei noti «liberali» e «maestri di giornalismo» nostrani) venne ufficialmente ammessa dallo Stato italiano.
Crimini di guerra sistematici confermati ormai da una mole ingente di documenti che illustrano la campagna di occupazione di Addis Abeba e le stragi di centinaia di migliaia di civili e partigiani etiopi insieme ai massacri ordinati da Rodolfo Graziani gerarca fascista, vicerè d’Etiopia, criminale di guerra e ministro delle Forze Armate dell’esercito collaborazionista di Salò a cui la Regione Lazio, guidata da Renata Polverini, nel 2012 ha costruito un mausoleo nella cittadina di Affile.
Probabilmente per celebrare «la nostra cultura antica» che secondo il viceministro Cirielli di Fd’I «non ci fa essere un popolo di pirati che vanno in giro a depredare il mondo». La stessa cultura che spinse Graziani ad ordinare il 19 febbraio 1937, a seguito di un attacco contro di lui realizzato dalla Resistenza etiope, uno sterminio di massa (14.294 ribelli uccisi e passati per le armi e 50.000 case incendiate) culminato con la strage dei monaci coopti di Debrà Libanòs.
Il terzo rimosso del Piano Mattei della Meloni è l’autentico Piano Mattei pensato e praticato dal presidente dell’ENI fino al suo assassinio. Un’azione politica, economica e diplomatica interamente proiettata verso l’obiettivo dell’autonomia strategica dell’Italia sul piano energetico.
Una scelta che pose Mattei in una condizione di scontro e rottura frontale non solo con gli interessi delle compagnie petrolifere delle «Sette sorelle» anglo-americane ma anche con il sistema delle relazioni internazionali di cui l’Italia faceva ed ancora oggi fa parte: l’Alleanza atlantica.Questo fattore rappresenta il rimosso più evidente e scomodo, e per questo più taciuto, della vera eredità di Mattei.
Un lascito che mal si acconcia con la postura ultra-atlantista del governo post-fascista che ne usurpa il nome.
DAVIDE CONTI
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