Trovare le differenze per trovare a sua volta un motivo che induca al voto alle primarie del PD è una impresa nel vero e proprio senso letterale del termine. “Imprendere” infatti vuol dire cimentarsi in qualcosa che si vuole fare e voler capire ciò che politicamente distingue Giachetti da Martina ed entrambi da Zingaretti nella scalata alla segreteria nazionale del PD è arduo e persino temerario: si rischia di smarrire ancora una volta la bussola, di perdere la trebisonda e di finire a pasticciare con concetti che tutto hanno a che vedere tranne che con un concreto programma politico di sinistra.
Il Partito Democratico è ascrivibile da tempo a quell’area della geopolitica parlamentare che si può definire “centro”: Zingaretti lo declina poi a sinistra, vuole una riedizione – nella discontinuità – di esperienze che rimarchino una identità che il PD non ha veramente mai avuto perché la stagione dell’Ulivo non gli è appartenuta, non l’ha vissuta se non nella divisione (più equa ideologicamente e quindi anche politicamente) tra Democratici di Sinistra e Partito Popolare Italiano.
Quelli che si sono considerati a lungo eredi di due grandi culture del Novecento (socialismo e democristianesimo), hanno campato qualche lustro di rendita nella loro trasposizione esteriore e mediatica come forze progressiste e, forse, lo hanno fatto anche con qualche ragione in allora, ma dopo la fusione nella creatura veltroniana chiamata americanamente “Partito Democratico”, la predisposizione governista, di gestione del potere e di strutturazione completamente statale e istituzionale del partito si è potenziata quasi automaticamente, senza bisogno di alcuna spinta riformatrice interna.
Questo fino a quando Renzi non ha rotto gli argini che permettevano la convivenza delle due culture in un contenitore per l’appunto di centrosinistra. Con il sindaco di Firenze rimane la dicitura ma il quadro cambia perché cambiano proprio i “quadri” del Partito e la torsione che ne viene fuori è la costruzione di un PD tutto centrista, di modello nuovo, che è capace di dialogare con parti di nuove destre e di dirsi al contempo antifascista; un PD che si mette al servizio della grande economia e ne fa le veci al governo promuovendo politiche liberiste e che, al contempo, sostenuto da residui socialdemocratici con alte aspirazioni, continua a trovare consenso negli strati popolari del Paese per effetto anche dell’ormai un po’ noto a tutti “effetto del voto utile” contro le destre.
Diventato esso stesso una “destra economica”, il PD rappresentava e rappresenta tutt’ora un problema nel tentativo di semplificare il quadro della politica italiana anche nel dopo-Renzi: l’abbiamo sempre definita una “anomalia” nel quadro europeo proprio perché non rappresenta e non può rappresentare i lavoratori e le classi sociali sfruttate viste le controriforme del Jobs act, la “buona scuola”, l’approvazione di riforme celeberrime come quella della Fornero; al tempo stesso è sempre più divenuto difficile – in particolar modo nel contesto renziano della linea del tempo del soggetto in questione – attribuirgli una etichetta di centrosinistra visto il distacco dei satelliti dalemiani e civatiani.
La riduzione quindi ad un tentativo attuale di ritrovata verginità attraverso le ennesime primarie, costruendo sulla candidatura di Zingaretti il nuovo proscenio di una sinistra interna al PD capace di creare una discontinuità stessa del partito rispetto a sé stesso, viene smentita dalle dichiarazioni stesse del candidato.
Prendiamo alcune sue affermazioni recenti: riguardo alle elezioni europei e alla concreta possibilità di mettere insieme più soggetti in una unica lista lanciata dal manifesto di Carlo Calenda, Zingaretti ha detto sì, rilanciando la necessità di insistere con la lista +Europa della Bonino che, come è noto, propugna un programma liberista in economia e di rinnovamento dell’Unione Europea in tal senso
A domanda del giornalista del Corriere della Sera, se con lui (Zingaretti, ndr) possa tornare una idea di partito alla D’Alema, Bersani, una sorta di continuità tra PCI-PDS-DS, la risposta è stata: “Non mi farò mai incastrare nelle frammentazioni del passato o nella logica dei vecchi involucri della sinistra.“.
Nel confronto su Sky TG24, si sono poi manifestate tutte le consonanze possibili tra Martina, Giachetti e Zingaretti in materia di TAV (un sì convinto e per niente tentennante), articolo 18 (un no convinto e per niente tentennante pure qui) e, volendo aggiungerci un carico da undici, possiamo anche tornare con la memoria a quasi tra anni fa, quando tutti e tre votarono a favore della controriforma (in)costituzionale di Renzi e Boschi.
I tre candidati si differenziano dunque sulla base di una “idea” di partito nel senso che lo intendono un mezzo utile ora alla difesa del profitto e dei privilegi padronali e ora, invece, un mezzo per far avanzare i diritti dei più deboli economicamente e socialmente parlando di questa società?
I piani sembrano intersecarsi e sembra venirne fuori non la stessa “idea” di PD, ma certamente sempre e solo sul terreno del rapporto con i valori liberali di una democrazia in crisi, mentre quando si affrontano temi squisitamente legati allo sviluppo economico, la compattezza liberista di un partito chiaramente di centro emerge clamorosamente e dovrebbe essere evidente se i cosiddetti “mass media”, sostenendo una idea sbagliata ma volutamente ricercata, non sostenessero che lì, proprio lì c’è quella sinistra possibile, ridefinibile e ricreabile per battere le destre salviniane e pentastellate.
La soluzione non sta in un partito di centro liberale che è innestato su un programma liberista in economia e che, come tutte le forze di questa risma (si pensi ad En Marche! di Macron in Francia) sono alternative alle destre anche peggiori soltanto in quanto rispettose di un contesto di democrazia parlamentare e di diritti civili comunque importantissimi per uno sviluppo di quelli sociali.
La soluzione che produca una rinascita della sinistra deve prescindere anzitutto da ciò che non è sinistra e, ancora di più, da chi si definisce tale e non fa altro che mortificare un contesto politico e sociale ben determinato un tempo e dai confini così labili e lati oggi.
Si può anche pensare di arginare il quarto reich dei sovranisti votando Zingaretti e promuovendo la “riscossa” di un PD lacero e contuso da tante sconfitte, ma ci ritroveremo di conseguenza ad avere poi al governo non l’alternativa bensì solo l’alternanza tra destre illiberal-liberiste e destre di centro liberal-liberiste.
Sarà sempre una scommessa su un “meno peggio” che finirà risultare peggio una volta entrato a Palazzo Chigi.
MARCO SFERINI
2 marzo 2019
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