I vichinghi? Dalle culture mediterranee, formatesi sull’oratoria, sulla raffinatezza artistica e architettonica dei patrimoni greci, romani, bizantini, islamici, i popoli del nord Europa sono stati a lungo considerati rozzi e violenti. Popoli dediti alle scorribande, alle orge frenetiche, che abitavano in case poco più comode di capanne primitive, che razziavano e terrorizzavano le coste scandinave. L’immagine più comune che abbiamo del vichingo è quella di un corpulento e irsuto personaggio con un curioso copricapo cornuto intento a sfidare le fredde acque baltiche o oceaniche sulla prua di navi sospinte dal vento grazie a enormi vele a strisce bianche e rosse.
Tutte queste false percezioni sono smantellate da Vikingr, la bella e istruttiva mostra allestita dall’Università di Oslo al Museo di Storia della città e che resterà aperta fino all’aprile 2020.
A differenza di altre esposizioni, i curatori di Vikingr hanno scelto di esibire pochi ma significativi oggetti, evitando così di intimidire e scoraggiare i fruitori con una sovrabbondanza di manufatti e didascalie troppo lunghe che spesso confondono l’attenzione e stancano un pubblico non specialistico.
Diciannove bacheche di vetro ideate dallo studio di architettura Snøhetta (lo stesso che ha progettato l’Opera House di Oslo) e situate in un’unica stanza permettono al visitatore di avere una visione d’insieme degli oggetti in mostra da tutte le angolazioni e in maniera continua, senza interruzioni.
I raffinati gioielli, le monete di diversi imperi, da quello carolingio a quelli islamici, le stesse armi dalle impugnature finemente cesellate rivelano quanto in realtà fosse ricercata ed elegante la società vichinga. Una cultura nata e sviluppatasi tra il 750 e il 1050 d.C. in quella che viene denominata l’Età dell’oro durante la quale la Norvegia venne unificata e il cristianesimo fece i suoi primi proseliti.
In questi tre secoli, i popoli scandinavi svilupparono le dreki, navi dalla caratteristica chiglia piatta e larga che permetteva loro di navigare velocemente in acque marine e risalire fiumi a basso pescaggio. Grazie a queste innovazioni tecniche vennero aperte nuove rotte commerciali non solo nel nord, arrivando fino in Islanda e sulle coste dell’attuale Canada, ma anche nel sud, commerciando con popoli mediterranei, mediorientali e africani.
Le monete che vengono presentate (provenienti da economie più disparate) indicano quanto ampia sia stata la rete di scambi tessuta dai vichinghi che arrivava sino all’attuale Iran e Iraq. I rapporti non si limitarono solo a negoziazioni commerciali di beni di prima necessità, ma consentirono alla società norrena di approfondire la conoscenza di altre culture e apprezzarne la ricchezza artistica, il tutto testimoniato dagli splendidi gioielli, monili, braccialetti, collane in argento e oro visibili nella mostra.
Sono oggetti provenienti dal cosiddetto bottino di Hor, dalla località norvegese dove nel XIX secolo è stato trovato il più grande deposito di oggetti preziosi dell’era vichinga, di fattura francese, russa, anglosassone probabilmente frutto dello scambio pagato nell’858 dai Franchi per riavere il vescovo Louis di St. Denis e suo figlio, ostaggi dei vichinghi.
Centro dell’esibizione è l’elmo di Gjermundbu, in realtà ricostruito da una serie di frammenti, considerato il meglio conservato dell’epoca vichinga e scoperto, assieme ad altri oggetti, in una tomba probabilmente di un nobile capo guerriero. L’elmo, un oggetto raramente usato dai vichinghi che preferivano copricapi leggeri in pelle o in cuoio, si pensa fosse correlato allo status sociale del defunto e con esso seppellito per mostrare la sua importanza una volta giunto al cospetto degli dèi.
Così come oggetti di corredo funerario sono alcune delle spade e asce visibili nell’esibizione norvegese appartenenti alla sepoltura di una ragazza ventenne di cui è visibile anche il cranio, importanti ritrovamenti che indicano quanto egalitaria fosse la società vichinga.
Le spade, in particolare quella stupenda di Langeid, con le iscrizioni in latino e la croce impressa sull’elsa, rappresentano il punto di sutura dell’ultimo passaggio culturale: la transizione verso il cristianesimo che determinerà l’eclissarsi della società vichinga. Siamo ormai all’inizio dell’XI secolo, quello che vede la santificazione di Sant’Olaf, al secolo Olaf II Haraldsson e alla fede cristiana si rifà la stele di Dynna che chiude la mostra Vikingr. un blocco di arenaria su cui è stato scolpito un bassorilievo raffigurante la Natività e i tre Magi che seguono una stella. Quella stessa stella che Giotto rappresenterà per la prima volta come una cometa nella Cappella degli Scrovegni, tre secoli più tardi.
PIERGIORGIO PESCALI
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