L’estetica urbana del pregiudizio

Intorno al libro «La gentrificazione è inevitabile e altre bugie» di Leslie Kern (Treccani). Le discriminazioni (etnia, genere, economiche) sono collegate anche al mercato degli immobili statunitense e hanno origine negli anni Trenta con le pratiche del «redlining»: mappe con sopra segnato a colori il grado di rischio delle aree urbane e con il rosso quelle escluse dall’accesso a mutui e prestiti

Dovunque nel mondo, «rigenerare», come il nuovo lessico urbano impone di chiamare le trasformazioni di parti più o meno vaste di città, non è indipendente dalle logiche del mercato immobiliare che nel mattone vede mitigate la volatilità dei capitali finanziari. Dall’estetica di edifici moderni, efficienti ma soprattutto originali, ne sono appagati anche i politici. Per ricevere consenso alienano aree e immobili pubblici, indifferenti al cambiamento sociale (displacement) che ne consegue.

In questi anni le strategie della «rigenerazione», mascherate da amministratori pubblici, urbanisti e accademici come pragmatica rifunzionalizzazione delle aree centrali o di recupero di una migliore vivibilità nei quartieri periferici, sono tutte riconducibili al fenomeno più articolato e complesso della gentrificazione.

Parliamo di un fenomeno che, come fu spiegato agli inizi degli anni Sessanta dalla sociologa marxista tedesca Ruth Glass con le sue ricerche pionieristiche su alcuni quartieri di Londra, ha oggi la necessità di essere compreso andando oltre il suo sommario significato economico e sociale.

Come dimostrano molti studi che da allora si sono susseguiti sull’argomento, i programmi di rigenerazione urbana – anche quelli d’iniziativa pubblica– sono spesso funzionali alla gentrificazione e come alcuni urbanisti sembrano ignorare, non sono più le leggi e le norme urbanistiche idonee a regolarla o gestirla come esito imprevisto o, a volte, calcolato: la gentrificazione investe ambiti più estesi di quelli fino a oggi considerati che esulano da aspetti di carattere solo tecnico urbanistico.

Appare difficile credere che la rigenerazione urbana abbia ancora un significato neutrale, soprattutto nell’attuale fase neoliberista del capitalismo, dove il settore del real estate incide, come già chiarì Henry Lefebvre, in modo consistente sulla nostra «vita quotidiana». Inoltre, ci si deve interrogare se i programmi di trasformazione non siano causa anch’essi di quella dissoluzione di socialità e di urbanità che con altre forme di organizzazione il capitale realizza «colonizzando» la città per stabilire nuovi rapporti dominanti, più complessi delle forme conosciute di sfruttamento e appropriazione.

Con il titolo La gentrificazione è inevitabile e altre bugie (Treccani, pp. 293, euro 24, traduzione Elisa Dalgo) Leslie Kern, docente di Geografia e ambiente alla canadese Mount Allison University di Sackville, affronta secondo una «concezione allargata» la gentrificazione per illustrare, sulla scorta di una ricca documentazione e molti esempi presi dalla cronaca, quanto il tema abbia risentito di un’esposizione sovrastante che ha precluso altri punti di vista. Quello queer femminista, ad esempio, attraverso il quale è possibile ampliare la componente di classe del fenomeno urbano in questione, visto che la classe sociale «è sempre in relazione con l’etnia, il genere, la sessualità, il colonialismo e altri rapporti di forza».

Per spiegare la sua tesi sulle possibilità di una «resistenza efficace», Kern parte dalla sua esperienza di giovane madre nel quartiere di Junction: una zona di Toronto anonima e misera che diventa alla metà degli anni Duemila, il «quartiere più in voga».

Il suo racconto personale è solo il primo dei sette nei quali descrive gli aspetti camaleontici con i quali si presenta un fenomeno relegato fino a qualche tempo fa al dibattito accademico e che ora «sempre più persone vogliono capire». Il mutamento più rilevante che questo termine ha subito da quando fu coniato da Glass, è il ruolo assunto dalle amministrazioni cittadine che promuovono «politiche che spianano la strada a determinati tipi di sviluppo immobiliare e commerciale» mirate a «incoraggiare deliberatamente il reinvestimento delle classi medio-alte».

Per inserire in quartieri marginali e popolari i ceti più abbienti con strategie che le amministrazioni pubbliche combinano insieme con i developer immobiliari, quest’ultime offrono agevolazioni, incentivi e interventi diretti e così si «aggira la spinosa questione del cambiamento di classe» che investe parti della città con tutti i suoi contenuti d’ingiustizia anche se, appunto, «mascherati dal rilancio urbano».

La classe sociale non è l’«unica lente» con la quale intendere la «logica della gentrificazione»: questa richiede un’analisi intersezionale che mette in gioco altri fattori quali il genere, l’etnia, l’etero normatività, l’età, il colonialismo, ecc..

…continua su il manifesto.it…

MAURIZIO GIUFRE’

da il manifesto.it

Foto di Steve Watts da Pixabay

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