Non si può di certo accusare Giorgia Meloni di essere irrispettosa nei confronti delle tradizioni. In questi giorni, ad esempio, ha mostrato di mantenere un ossequio impeccabile di fronte alla vetusta usanza della destra di sfoderare il manganello per risolvere le questioni sociali. Così, non appena la presidente del consiglio ha preso atto che il miracolo economico italiano del quale si parlava appena poche settimane fa era pura illusione e che le regole dell’austerità sono parte irrevocabile del pacchetto europeo che ha deciso di accettare, ha subito fatto scattare il riflesso pavloviano della tolleranza zero.
Non c’è più il reddito di cittadinanza e i poveri vengono artificiosamente divisi in «occupabili» destinati alla macelleria sociale e bisognosi meritevoli della carità di stato? Ecco che scatta una nuova emergenza sicurezza per irregimentare le classi sociali pericolose. Non c’è il becco di un euro per le periferie, anzi saltano i 16 miliardi all’uopo previsti dal Pnrr? Si mettono in scena blitz a favore di telecamera nei quartieri disagiati, grandi manovre poliziesche cui difficilmente seguiranno investimenti sociali.
Scoppiata la bolla propagandistica dei migranti, insomma, la premier coglie al balzo i tragici casi di cronaca dei giorni scorsi e si getta nel grand guignol delle passerelle nei luoghi del degrado per dichiarare l’ennesima emergenza e autoassegnarsi il ruolo di donna d’ordine.
Si tratta con tutta evidenza di un riflesso spontaneo: da sempre la le destre reazionarie e conservatrici hanno in odio le città e gli spazi comuni che, con tutte le contraddizioni e i conflitti del caso, riescono a mettere in piedi. Benito Mussolini, per dirne uno, provò in tutti i modi a impedire che Roma divenisse un polo attrattivo per i poveri di tutto il paese alla ricerca di un lavoro con leggi espressamente contro l’urbanesimo volte alla devastazione sociale delle periferie e alla criminalizzazione dei baraccati. Più di recente, il can can mediatico ha rappresentato le città come luoghi infidi e incontrollabili.
I grandi palazzoni dell’edilizia popolare ai margini delle città, pensati come falansteri da urbanisti e architetti all’epoca del boom economico e durante gli anni degli investimenti pubblici, sono stati abbandonati al degrado e trasformati in ghetti.
Oggi, dopo anni di abbandono e disinvestimento in servizi e spazi pubblici, Meloni pensa di rifugiarsi nel grande classico del law and order per mascherare la sua inadeguatezza sulle spese sociali e nascondere l’incapacità di occuparsi della parte più povera del paese. La polarizzazione fa parte del gioco: di fronte al buonismo e al permissivismo di chi c’era prima, ha fatto capire ieri parlando ai giornalisti, è arrivato qualcuno che ci mette la faccia. Il che non è vero. Anche i governi degli anni scorsi hanno cercato di cavalcare le emergenze e inaugurato strette repressive che dovevano essere risolutive.
Prova ne è che una delle misure più inquietanti introdotte dal Consiglio dei ministri, l’estensione del Daspo urbano ai minori e per di più l’utilizzo della diffida anche per allontanare i ragazzi da scuole e università, sia stata introdotto proprio da un governo di centrosinistra. E non fu proprio Walter Veltroni inaugurando il Pd da sindaco di Roma, a mettere in difficoltà il governo Prodi chiedendo una stretta normativa dopo un terribile caso di cronaca e annunciando che «la sicurezza non è né di destra né di sinistra»»?
Al contrario, lo dimostrano fior di studi e le esperienze recenti: reprimere senza un disegno sociale più ampio, e senza costruire le infrastrutture solidali e civiche che danno senso alla vita in comune nei quartieri, non serve a niente. Se non a nascondere i propri limiti e criminalizzare ulteriormente i poveri.
GIULIANO SANTORO
foto: screenshot tv