«Basta aggiungere una riga». «Si può scrivere in un pomeriggio». Si parla di cambiare la legge elettorale – sarebbe la terza volta in tre anni, la quinta in un quarto di secolo – e Salvini e Meloni la fanno molto facile. Troppo.
Che l’attuale legge sia pessima è fuori discussione. Lo dicono gli stessi partiti che l’hanno velocemente approvata sul finire della precedente legislatura. È il caso di ricordarli: Pd, Forza Italia, Lega e centristi di Alfano e di Verdini. A intestarsela è stato l’ex capogruppo del Pd alla camera Ettore Rosato, da qui il nome «Rosatellum». Con questa legge i seggi sono slittati da una circoscrizione all’altra rendendo imprevedibile il risultato delle scelte degli elettori e in definitiva penalizzando la rappresentanza del mezzogiorno. Con questa legge anche le donne sono state penalizzate, perché con un uso accorto di capilista e pluricandidature la rappresentanza femminile effettiva è rimasta sotto la soglia «minima» del 40% che era stata individuata per le candidature. Con questa legge si è prodotto uno spostamento di voti da un partito all’altro di cui ha beneficiato soprattutto il Pd, che ha ricevuto in dono quasi 900mila voti della lista +Europa rimasta sotto la soglia del 3% (avendo superato l’1%). Malgrado questo regalo, il Pd è il partito che ha perso di più. Con questa legge non sono stati assegnati definitivamente tutti i seggi, per il caso delle liste eccedentarie e perché a due mesi dal voto sono in piedi ancora decine di ricorsi: dovrebbero passare per le giunte delle elezioni di camera e senato se queste fossero composte. Con questa legge, infine, oltre tre milioni di voti sono rimasti senza rappresentanza (fermati dallo sbarramento) determinando una distorsione maggioritaria che si è sommata a quella prodotta dal meccanismo dei collegi uninominali: due distorsioni inutili visto che nessuna maggioranza si è potuta formare in parlamento.
Salvini sostiene che aggiungendo «una riga» alla legge Rosato si potrebbe ottenere una legge talmente maggioritaria da garantire i numeri per governare alla coalizione (o alla lista, non è chiaro) «che prende un voto in più». Salvini dovrebbe sapere che non è la brevità di una modifica legislativa a definirne la facilità di approvazione. Con una riga si può stravolgere qualsiasi testo e per approvare la modifica che propone il capo leghista dovrebbe trovare i numeri in parlamento, gli stessi che non riesce a trovare per governare. Oltre questo, si può certamente dire – malgrado la genericità della proposta – che una legge del genere sarebbe incostituzionale, perché la Consulta ha già bocciato (nel 2013) l’attribuzione di un premio di maggioranza «a chi arriva primo» senza nessuna soglia minima. Era il primo difetto della legge elettorale cosiddetta «Porcellum».
Appena un po’ più accorta la proposta di Fratelli d’Italia, già tradotta in un disegno di legge a differenza dei proclami leghisti. Eppure impossibile da discutere visto che non sono state ancora formate le commissioni parlamentari, altro che «basta un pomeriggio». La proposta prevede due soglie per attribuire il premio di maggioranza, il 37% dei voti validi darebbe diritto al 51% dei seggi alla camera; il 40% assegnerebbe il 54% dei seggi. Sulla costituzionalità della seconda soglia si può stare abbastanza tranquilli, dal momento che nel 2017 giudicando l’Italicum che la prevedeva identica al primo turno la Consulta non ha avuto nulla da ridire (ha bocciato invece il secondo turno). Sulla prima soglia invece qualche dubbio è lecito, visto che la Corte ha riaffermato l’obbligo di «proporzionalità» tra il «sacrificio» della distorsione della rappresentatività e l’obiettivo di favorire la formazione di una maggioranza. Nell’ipotesi di una soglia fissata al 37% come proposto da Meloni, l’entità del sacrificio è facilmente apprezzabile perché è esattamente la soglia raggiunta il 4 marzo dal centrodestra (un caso?). Con il Rosatellum (legge che già contiene un premio di maggioranza) la coalizione ha conquistato 262 deputati, un eventuale premio gliene regalerebbe altri 54. Prendendoli per la metà dal primo partito, il M5S. Senza garantire la possibilità di governare. Non basta un solo voto di maggioranza, sarebbe un’altra inutile ma pesante distorsione.
ANDREA FABOZZI
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