Nella lingua dell’ideatore, l’artista berlinese Gunter Demnig, si chiamano Stolpersteine. Nel nostro Paese sono conosciute come “Pietre d’inciampo”, blocchetti di pietra (i classici “sampietrini”) con una lamina di ottone che, inseriti nei selciati di diverse città, ricordano con i nomi delle vittime le deportazioni e i crimini nazisti.
La prima Stolpersteine venne collocata a Colonia nel 1992 per ricordare lo sterminio di mille tra sinti e rom. Da allora ne sono state posizionate oltre 75000 sparse quasi in tutta Europa. Quasi, perché alcune nazioni non hanno mai aderito all’iniziativa. Poche, ad esempio, quelle nei Balcani. Una delle prime in Croazia, la prima a Zagabria, è stata posta solo il primo ottobre del 2020. Al numero 29 della lunga via Gundulićeva. In quell’elegante palazzo della capitale croata viveva una giovane attrice e ballerina che venne uccisa dalla follia nazista. Il suo nome era Lea Deutsch.
Nonostante il cognome, originariamente Dajč, possa far intuire una provenienza diversa, la famiglia Deutsch stanziava da secoli in Croazia. Una buona famiglia borghese, di consolidata religione ebraica. Il padre Stjepan Karl Adolf Abraham Deutsch (26 dicembre 1886), originario di Petrinja, era figlio di un ricco mercante e banchiere. L’uomo dopo aver studiato nella capitale, nel 1911 si trasferì definitivamente a Zagabria dove, nel 1914, si laureò presso la Facoltà di Giurisprudenza. Iniziò a lavorare presso il locale tribunale, ma allo scoppio della Prima guerra mondiale venne arruolato nell’esercito austro-ungarico. Presto congedato per problemi alla vista, Stjepan Deutsch tornò al lavoro per poi aprire uno studio legale indipendente. Divenne uno stimato avvocato.
Ma i suoi interessi erano molteplici: il teatro, la fotografia, la religione. Nel 1925 durante il Purim, festa ebraica che ricorda il salvataggio degli ebrei di Persia dallo sterminio, Deutsch conobbe la bella e vivace Ivka Singer, donna colta con una viva passione per il teatro e gli scacchi. Tra i due scoppiò il classico colpo di fulmine. Il primo ottobre dello stesso anno nella Sinagoga di Zagabria si celebrò la loro unione.
I coniugi Deutsch si trasferirono in un palazzo di tre piani nel centro di Zagabria. Al numero 29 di via Gundulićeva. Dal loro matrimonio nacquero Lea Dragica, “tesoro” in croato, venuta alla luce il 18 marzo del 1927 e il secondogenito Saša, che in lingua slava significa “protettore di uomini”.
Una casa, quella dei Deutsch, abitualmente frequentata da numerosi artisti croati dell’epoca: Nina Vavra, Vika Podgorska, Božena Kraljeva, Marija Ružička-Strozzi, Josip Bach, Tito Strozzi. Lea, vivace, socievole, intelligente, si fece subito notare. La prima ad intravedere delle qualità artistiche fu la zia Vera Singer, insegnante di pianoforte, che invitò la sorella a favorire e coltivare quelle qualità. La piccola iniziò così a studiare recitazione, danza e pianoforte.
Tito Strozzi, che aveva ed ha un peso nella storia della cultura croata, fece debuttare Lea nell’allora popolare “Dječje carstvo” (“Il regno dei bambini” o “Children’s Realm”), un teatro per bambini, guidato da Miroslav Širola (fratello del compositore Božidar), attivo all’interno del Teatro nazionale croato di Zagabria (HNK) dal 1932 al 1941. Il suo primo ruolo fu quello di Priska nella rappresentazione “Freudenreich” (“Guardie di confine”) di Josip Freudenreich, poi quello di Marietta nella commedia “Fora del mondo” del veneziano Giacinto Gallina, quindi in “Čudnovate zgode šegrta Hlapića” (“Le avventure dell’apprendista Hlapić”) di Ivana Brlić-Mažuranić. Aveva cinque anni e fu un successo.
Lea Deutsch non era ovviamente l’unica attrice bambina. Nel “Children’s Realm” c’era anche Bracom Reissom, il suo partner preferito, come nella commedia “Toncek e Točkica” di Erich Kästner e, soprattutto, c’era Darija Gasteiger. La famiglia era una delle tante famiglie di “tedeschi etnici” che, nel 1871 dopo la formazione del Secondo Reich, erano rimasti fuori dai confini della Germania. Una “Volksdeutsche”. La storia si scriveva da sola: Lea mora, Darija bionda. La rivalità perfetta. Le madri pare ebbero un ruolo nell’alimentare la “competizione”, ma tra le due bimbe nacque soprattutto una grande amicizia.
Lea fu la prima ad essere promossa sul palcoscenico degli “adulti”, quello dell’HNK. Alternava con disinvoltura interpretazione, canto, ballo. Drammi e commedie per bambini. Recitò, tra gli altri, in: “Before Sunrise” (“Prima del tramonto”) di Gerhart Hauptmann; “Sœur Béatrice” (“Suor Beatrice”) scritto da Maurice Maeterlinck.
Il palcoscenico del Teatro nazionale croato era calcato dai più grandi attori dell’epoca da Božena Kraljeva a Strahinja Petrović, da Hinko Nučić e August Clić, ma fu Lea Deutsch a far moltiplicare spettatori e biglietti. Venne presto ribattezzata “bambina miracolo”, “piccola Ljerka Šram” (attrice treatrale a cavallo tra Ottocento e Novecento), “nuova attrazione di Zagabria” fino ad arrivare al soprannome che più la rese famosa la “Shirley Temple croata”.
Il percorso artistico di Lea e quello di Shirley erano davvero molto simili. Un anno di differenza, l’americana era nata il 23 aprile 1928, entrambe sapevano cantare, ballare, recitare. Entrambe avevano debuttato giovanissime. Alla piccola croata mancava solo una cosa: il cinema. Ma la “settima arte” in quello che all’epoca si chiamava Regno di Jugoslavia era poco sviluppata. Non esisteva, salvo qualche tentativo, una scuola di cinema nazionale e le sale, non tantissime, proiettavano quasi esclusivamente film d’importazione. La popolarità di Lea Deutsch, tuttavia, aveva varcato i confini nazionali ed era giunta in mezza Europa. La Francia in particolare, che contendeva agli USA il primato cinematografico, voleva la “sua” attrice bambina. Emissari della Pathé, una delle più importanti società dell’epoca, andarono a Zagabria per realizzare un breve documentario su di lei. L’idea era quella di distribuire il film su Lea Deutsch nel novembre del 1935, quasi in contemporanea a due iconici film della Temple: Curly Top (Riccioli d’oro) e The Littlest Rebel (La piccola ribelle). Ma quel documentario non uscì mai. Alla piccola attrice croata venne anche proposto un soggiorno di un anno a Parigi, ma Lea Deutsch rifiutò. Non voleva lasciare la sua città, i suoi amici, il suo teatro.
Continuò così l’impegno sul palcoscenico. Recitò in “Hasanaginica” di Milan Ogrizović, “Naš veseli svijet” di Zlata Kolarić-Kišur, “Little Lord Fauntleroy” (“Il piccolo Lord”) di Frances Hodgson Burnett fino al clamoroso successo della commedia “Čudo od djeteta” (“Miracolo di una bambina”) scritta appositamente per Lea Deutsch da Tito Strozzi e musicata da Josip Bach.
Tito Strozzi (Zagabria, 14 ottobre 1892 – Zagabria, 23 marzo 1970), erede di una ramificata famiglia di attori e autori, era membro del Teatro nazionale croato di Zagabria dal 1919. Alternava la scrittura, la regia e la recitazione. Tradusse testi in croato, “Faust” di Goethe, e musicò i primi film proiettati a Zagabria. Inventò praticamente lui il “teatro per bambini”. Un nome tutt’ora importante in Croazia, a Strozzi è, infatti, dedicato il premio come miglior attore teatrale dell’anno. Una figura fondamentale per Lea Deutsch così come la fu quella di Branko Gavella (Zagabria, 29 luglio 1885 – Zagabria, 8 aprile 1962), all’epoca il direttore nell’HNK. Uomo colto e raffinato portò sul palcoscenico autori di fama mondiale, riuscendo al contempo a valorizzare artisti croati. È passato, inoltre, alla storia per essere stato, nel settembre del 1912, il primo arbitro di una partita del campionato croato di calcio (per la cronaca HŠK Croatia contro Tipografski ŠK). Ma c’era anche una terza figura che guidò artisticamente la “Shirley Temple croata”, il suo nome era Rod Riffler (all’anagrafe Rudolf Ungar, 5 gennaio 1907 – 1941), amico della madre, ma soprattutto uno dei migliori insegnanti di danza moderna dell’epoca, che stava deliziando quelle terre con la sua eleganza. Le cronache riportano una straordinaria esibizione nel 1935 al Grand Hotel Imperial durante la premiazione di Miss Rab (Arbe in italiano, città che nel 1942 ospiterà un campo di concentramento). Vinse la sconosciuta Magdalena Bachrach, ma fu Riffler a lasciare il segno.
Tornando sul palcoscenico Lea Deutsch recitò anche Shakespeare in “The Winter’s Tale” (“Il racconto d’inverno”) diretta da Branko Gavella e Molière ne “Le Malade imaginaire” (“Il malato immaginario”) in cui interpretò Louison (Luigina nella versione italiana), il suo ruolo preferito. Passò in breve tempo da un rimborso di 100 dinari per le piccole parti ad una paga di 1000 per i ruoli principali. Una stella. Una grande artista come ormai la definivano i quotidiani.
Seguirono nel 1940 una parte nel dramma “Spis Broj 516” di Geno Senečić e uno spettacolo, il 15 marzo 1941, intitolato “Igra šaha uživo” (“Live Chess Game”) nato dalla passione della madre per gli scacchi, in cui Lea guidava le compagne che interpretavano i pezzi e spiegava le mosse al pubblico. Alla fine della rappresentazione disse “E con questo il nostro gioco è finito!”. Il gioco finì per davvero. Quella fu l’ultima interpretazione di Lea Deutsch.
Il clima politico, comunque non sereno, stava cambiando. In peggio. Il Re Alessandro I era stato ucciso a Marsiglia il 6 ottobre 1934, gli era succeduto il cugino il Principe Paolo che, logorato da spinte nazionaliste interne e da un accerchiamento politico esterno, decise il 4 marzo 1941 di siglare col Ministro tedesco von Ribbentrop l’adesione al Patto Tripartito (la firma fu posta dal Primo Ministro Dragiša Cvetković). La reazione nel Paese fu molto forte, cosa che spinse i nazisti ad invadere la Jugoslavia in una campagna che durò dal 6 al 17 aprile 1941. Seguì un vero e proprio spacchettamento di quel territorio. Una parte della Croazia, quella di Fiume e Zara, venne annessa al territorio italiano. A Zagabria fu, invece, proclamato lo Stato Indipendente di Croazia (NDH), uno stato fantoccio di Germania e Italia, istituito il 10 aprile 1941. Nuovo Re venne nominato Aimone di Savoia-Aosta salito al trono col nome di Tomislavo II, ma l’uomo di casa Savoia non mise mai piede in Croazia. Il potere non lo aveva quindi il monarca, bensì il Poglavnik che in italiano vuol dire Duce. Già perché il capo di quella Croazia nazionalista e fascista era un uomo che aveva fondato proprio a Roma il suo movimento, quello degli Ustascia (da ustaš, “insorto” o “ribelle”) temibili da ogni punto di vista e coinvolti nell’omicidio di Alessandro I. Il suo nome fa ancora paura oggi: Ante Pavelić.
Un regime sanguinario e violento che promulgò numerose leggi razziali che riflettevano l’accettazione dell’ideologia della Germania nazista con una forte impronta nazionalista. Venne avviata la persecuzione sistematica di serbi, zingari, comunisti e ovviamente ebrei. Sui numeri c’è sempre stata discussione, ma è certo che le normali prigioni non riuscirono a contenere tutti questi “indesiderati” al punto che nell’estate del 1941 venne edificato sul confine con la Bosnia il famigerato campo di concentramento di Jasenovac gestito dal sadico Dinko Šakić.
A contrastare Pavelić e gli Ustascia si formò l’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia animato dai “partizani”, per dirlo in croato, e guidato da un militare che aveva fatto parte dell’Armata Rossa e aveva fondato il Komunistička partija Jugoslavije (Partito Comunista di Jugoslavia, KPJ). All’anagrafe venne registrato come Josip Broz, ma la Storia lo ricorda come il Maresciallo Tito.
Il fascismo arrivò anche alle porte del Teatro nazionale croato di Zagabria. Il Ministro dell’Educazione del regime Mile Budak, uno degli ideologi del nuovo corso, annunciò la “pulizia” sia del repertorio sia del personale del teatro da “serbi, jugoslavi, ebrei, massoni, leninisti e liberalisti malati”. Il 22 aprile del 1941 Budak nominò direttore dell’HNK Dusan Žanko (Treglia, 10 novembre 1904 – Caracas, 23 gennaio 1980) nazionalista ed integralista cattolico che si presentava al “lavoro” con la divisa degli Ustascia. Venne stilata la lista degli “indesiderati”.
Vennero cacciati, tra gli altri, gli attori ebrei Margita Balanša e il marito Dejan Dubajić, Paula Herzberger, Tomislav Tanhofe, Ivica Tanhofer. Stessa sorte per Branko Gavella e Tito Strozzi che, accusati di essere massoni e di religione ortodossa, vennero imprigionati per otto giorni nel carcere di Petrinjskaper. La loro carriera poté riprendere solo a guerra finita.
Terminò, invece, quella di Darija Gasteiger. L’attrice bambina, in conseguenza della politica di Hitler che pretendeva il rientro di tutti i “Volksdeutsche” nel Reich, fu richiamata con la famiglia in Germania. Le due amiche rivali non si rividero mai più. I Gasteiger, dopo un tentativo di fuga, vennero “invitati” nell’attuale Austria. Darija passò il resto della sua vita a Innsbruck.
Ancor più triste la sorte di Rod Riffler. Danzava divinamente, ma era ebreo, con qualche simpatia di sinistra e omosessuale. Fu uno dei primi ad essere deportato a Jasenovac. Non sappiamo neanche il giorno, ma morì a soli 34 anni.
Il quadro era drammatico, crudele, feroce, ma in molti pensavano, o forse speravano, che Lea Deutsch forte della sua enorme popolarità potesse rimanere sul palcoscenico. Sbagliavano. La “Shirley Temple croata” nell’autunno del 1941 venne bandita da scuola e dal teatro che l’aveva vista assoluta protagonista. Relja Basic, suo compagno di scuola e futuro attore, ricordò: “Sedeva immobile su una panchina di fronte al teatro in un piccolo cappotto a spina di pesce con una stella gialla di David sulle maniche (spesso veniva usata una “Z” per indicare gli ebrei, Židov in croato, nda), fissando per ore l’edificio in cui una volta era una stella, e ora non poteva nemmeno entrare nell’edificio”.
Stjepan Deutsch, che per evitare rappresaglie aveva fatto convertire la famiglia al cattolicesimo (nel giugno 1941), era convinto che le persecuzioni avrebbero riguardato solo i maschi adulti. Così il 21 agosto 1942 si fece “illegalmente” ricoverare, aiutato dal dottor Vilko Panac, in una stanza dell’ospedale delle Suore della Misericordia. Una stanza allestita per il tracoma e altre malattie infettive agli occhi. Gli ustascia e i nazisti non entrarono mai per paura di diventare ciechi. Ma fuori dall’ospedale lo sterminio degli ebrei divenne inarrestabile. Ante Pavelić non si “limitò” a perseguitare gli uomini adulti, creò addirittura dei campi di concentramento per i soli bambini. Unico nella storia della (dis)umanità.
La casa dei Deutsch era già stata sequestrata nel maggio 1942 ed era ormai abitata da un giovane Ustacia che, ammirando Lea e conoscendo le atrocità del suo regime, consentì alla famiglia di continuare a vivere nell’appartamento. Non solo. Si propose come marito della piccola. Per salvarla. Ma la madre rifiutò in quanto l’attrice era ancora minorenne. Il cerchio ormai si stava stringendo.
All’inizio del 1943 Miroslav Šalom Freiberger, Rabbino capo di Zagabria, che era già riuscito a salvare undici bambini ebrei (tra loro il figlio Ruben) facendoli giungere in Palestina, organizzò un nuovo “viaggio della salvezza”. Compilò un nuovo elenco. C’era anche il nome di Lea Deutsch, ma la data di nascita era sbagliata e la “Shirley Temple croata” non riuscì a partire. Anche altri provarono a salvarla. Ci provò il suo mentore Tito Strozzi. Ci provarono gli attori Hinko Nučić e Dušan Žanko. Nulla. Anche un tentativo di raggiungere la città di Karlovac dove stanziavano i partigiani di Tito fallì.
Nel frattempo Heinrich Himmler giunse a Zagabria per sollecitare la “Soluzione finale”. Nessun ebreo poteva più essere tollerato. Nella notte tra il 2 e il 3 maggio del 1943 la Gestapo e gli Ustacia arrestarono gli ultimi 1700 ebrei “liberi”. Tra loro Miroslav Šalom Freiberger, la moglie Irene Steiner, Ivka Singer e i suoi figli Saša e Lea Deutsch.
Vennero caricati in un carro bestiame con destinazione Auschwitz. Nel loro vagone, compressi all’inverosimile senza acqua ne cibo, erano in 75. Venticinque morirono prima di arrivare al campo di sterminio. Lea, che aveva una grande forza, ma un cuore debole a causa di una difterite infantile, fu tra questi. Non sappiamo il giorno preciso (probabilmente il 5 maggio), non sappiamo che fine ha fatto il corpo (possiamo immaginarlo), ma sappiamo che aveva 16 anni ed era una delle più grandi attrici dei Balcani.
Saša, Ivka e Irene vennero giustiziati appena giunti ad Auschwitz. Furono “invitati” a fare la doccia. Il rabbino Freiberger, uomo raffinato e generoso, fu, invece, freddato l’8 maggio mentre stava protestando contro le pratiche disumane inflitte ai prigionieri.
Riuscì, invece, a salvarsi Stjepan Deutsch che finita la guerra uscì dall’ospedale. Fu tormentato dal rimorso per tutta la vita. Morì il 3 aprile del 1959. Oggi riposa nel cimitero Mirogoj di Zagabria, sulla tomba la foto della figlia.
Dopo la guerra, con la vittoria dei partigiani di Tito, molti criminali fascisti e nazisti croati responsabili della morte di Lea Deutsch, vennero processati e condannati. Il Ministro dell’Educazione Mile Budak, che nel frattempo era diventato ambasciatore nella Germania del Führer, fu catturato da militari britannici e consegnato alle nuove autorità jugoslave. Venne condannato dalla Corte marziale e impiccato il 7 giugno 1945. Altri riuscirono, invece, a scappare. Si rifugiò in Argentina Ante Pavelić che perì il 28 dicembre 1959 a Madrid, nella Spagna franchista, a seguito delle ferite riportate in un attentato subito due anni prima. Si diede alla fuga anche il direttore Ustacia del teatro Dusan Žanko che emigrò prima in Argentina poi in Venezuela dove morì da “uomo libero” il 23 gennaio 1980. In Sud America anche il direttore del Campo di concentramento di Jasenovac Dinko Šakić che divenne amico del dittatore paraguaiano Alfredo Stroessner. Nel 1998 venne estradato e condannato a 20 anni di carcere dove morì il 20 luglio 2008.
La drammatica storia di Lea Deutsch, rimasta nell’oblio per decenni, sta riaffiorando solo negli ultimi anni. Diversi, infatti, i recenti omaggi alla giovane attrice. Nel 2003 le è stata intitolata la scuola elementare ebraica di Zagabria, a poche centinaia di metri dalla casa in cui viveva. Lo scrittore bosniaco Miljenko Jergović si è ispirato dichiaratamente alla sua vita per il romanzo “Ruta Tannenbaum” (edito in Italia da Nutrimenti) la storia di una giovane stella del teatro croato uccisa dalla follia nazista. Del 2008 è, invece, la biografia “Lea Deutsch: zagrebačka Anne Frank” di Kristina Repar con inevitabili paralleli tra la vita e la morte delle due vittime dell’olocausto.
Nel 2011 il regista croato Branko Ivanda ha dedicato alla storia di Lea Deutsch prima un documentario con qualche filmato di repertorio e numerose testimonianze, tra queste quella di Darija Gasteiger, poi il lungometraggio Lea i Darija incentrato sull’amicizia e la rivalità tra le due piccole attrici, interpretate rispettivamente da Klara Naka e Tamy Zajec. Nel 2020 è stata posta una Stolpersteine in suo ricordo all’ingresso della casa dove viveva.
Lea Deutsch partecipò ad un solo film, il documentario della Pathé. Un film che non uscì mai. Pare che l’ultima copia fosse conservata nella sinagoga di Zagabria. Avrebbe potuto sfondare anche nella settima arte, ma la follia nazista la uccise prima.
redazionale
Bibliografia
“Ruta Tannenbaum” di Miljenko Jergović – Nutrimenti
“Lea Deutsch: zagrebačka Anne Frank” di Kristina Repar
“Storia del Terzo Reich” di William Shirer
Immagini tratte da: immagine in evidenza Screenshot da en.wikipedia.org e alchetron.com; foto 1, 7 da alchetron.com; foto 2 da sh.wikipedia.org; foto 3 da pinterest.com; foto 4 da zagrebancija.com; foto 5, 8 da it.wikipedia.org; foto 6, 9 da hr.wikipedia.org; foto 10, 11 da en.wikipedia.org; foto 12 da jutarnji.hr; foto 13 da dailycroatia.com.
Le immagini sono di proprietà dei legittimi proprietari e sono riportate in questo articolo solo a titolo illustrativo.