Le vite dei Cesari

Rendiamo un po’ di giustizia, se non alla Storia, almeno ad uno storico, ad un biografo che, per troppo tempo, nell’arduo, magari non improprio, ma certamente eccessivo accostamento al...

Rendiamo un po’ di giustizia, se non alla Storia, almeno ad uno storico, ad un biografo che, per troppo tempo, nell’arduo, magari non improprio, ma certamente eccessivo accostamento al suo coevo, illustre e riverito concittadino Tacito, ha subito lo stigma plurisecolare del raccontatore di aneddoti, dell’interprete di dicerie, del giornalista più che dell’attento studioso di archivi quale invece era.

Studenti dei primi anni di ginnasio avranno capito che parliamo di Caio (o Gaio) Svetonio (o Suetonio) Tranquillo. Nemmeno sul suo nome abbiamo delle certezze. Quella consonante che per noi è una vu e per i romani era una u, ha creato non poche interpretazioni, problemi fonetici. Le diatribe a cominciare dal praenomenCaio” o “Gaio” (identica insicurezza la si ha anche nel riportare l’onomastica dei Cesari…) sono proseguite con il nomen, mentre sul cognomen non ci è mai accapigliati più di tanto.

Insomma, se stiamo alla vulgata più accettata e diffusa, Gaius Suetonius Tranquillus sarebbe nato in un anno non conosciuto, in una città altrettanto ignota e da padre invece noto: Svetonio Leto, uno dei cinque tribuni angusticlavi di una legione di Otone che combattè contro Vitellio a Bedriaco. Sappiamo che il padre del biografo dei primi imperatori aveva fatto carriera nell’esercito ma, enigma tra gli enigmi, non riusciamo da questo ad avere notizie sul censo familiare.

Quello che è certo, è che Caio aveva potuto avere fin da ragazzo una istruzione adeguata a quella di un figlio del buon cavalierato romano. Una educazione che gli permise, anche grazie alle giuste conoscenze di gioventù, come l’amicizia con Plinio il Giovane, di scalare in breve i vertici di una carriera nell’amministrazione imperiale fino ad essere, davvero in poco tempo, il segretario “ab epistulis” di Adriano.

Era, in pratica, quello che oggi, con un ricorso sempre più esasperante agli anglicismi che vanno così di moda, avremmo chiamato il “ghost writer” dell’imperatore: colui che gli scriveva lettere ufficiali, discorsi. Ma la sua passione è lo studio, l’archivistica, la storia e pure la letteratura latina. Mentre svolge le sue mansioni ufficiali, Svetonio apprende una miriade di notizie delle fonti dirette delle diverse epoche in cui Roma è transitata: dalla repubblica al principato, da questo al più consolidato, eppure tanto fragile, impero multietnico e transcontinentale.

Le vite dei Cesari” (edizioni varie) sono la metà dell’opera che di Svetonio è arrivata fino a noi. L’altra metà è una molto poco conosciuta (e forse anche misconosciuta) parte di una impresa letterario-storica che il biografo aveva in mente di scrivere su grammatici, retori, filosofi, poeti e letterati; un omaggio più che alla politica romana, alla sua grande cultura che non aveva nulla da invidiare a quelle delle epoche passate o dello stesso suo presente.

Se Svetonio l’avesse completata e se davvero avesse in mente una sorta di piccola enciclopedia del passato in merito alla vastità della produzione artistica e letteraria della cultura romana, non lo sapremo mai. E’ uno dei tanti misteri che avvolgono la sua vita e la sua opera. Ma, quello che possiamo affermare senza tema di smentita, è che l’autore dimostra anche qui quel tratto meticoloso di appuntamento dei particolari, di descrizione tanto degli stili artistici quanto del contesto in cui si formarono e crebbero.

A Svetonio, si diceva all’inizio di queste righe, dobbiamo rendere un po’ di giustizia, perché la sua indole storiografica non è meno profonda di quella di Tacito: appare tale perché lo stile lineare della sua scrittura rende i concetti disarticolati, di facile comprensione, rasentando quella propensione all’anedottica che gli è stata così rimproverata come caratteristica impropria per il vero storico.

Da quel che appare studiando un po’ la vita di Svetonio e la sua formazione, non c’è un intento emulativo da parte sua nei confronti di Tacito. Non c’è gara, non c’è voglia di superamento del piglio fortemente innovativo dello stile tacitiano. Per antonomasia, il senatore è lo storico dell’impero, mentre il segretario ab epistulis di Adriano è il raccontastorie dell’antichità.

Questa semplificazione davvero banale, proprio perché estremamente sintetizzante e anche draconianamente ingiusta nell’affibiare all’uno ed all’altro etichette e giudizi che non si sarebbe reciprocamente attribuiti, ha varcato i crinali secolari e millenari per arrivare a noi, fin sui banchi di ginnasio e di liceo e trasmetterci l’arcaico pregiudizio della superiorità – quasi anche morale – di Tacito rispetto a Svetonio.

Per rendere giustizia a quest’ultimo e non fare torto al primo, diciamo che senza Svetonio sapremmo molte meno cose sulla Roma dei Cesari, sulle consuetudini quotidiane degli imperatori, sul rapporto tra la loro funzione pubblica e di Stato e il loro essere uomini (e donne) che nel privato avevano una vita molto simile a quella dei comuni cittadini.

Se Svetonio ha avuto, tra gli altri, un merito nello scrivere “Le vite dei Cesari“, è proprio quello di riportare ad un livello umano l’eccellenza divina dei sovrani, dei potenti e, senza far saltare troppo i nervi ai successori, di rappresentarne la particolarità non comune nell’accezione principesca riconosciuta da un Senato molto, molto diverso da quello che non ammetteva che nessuno a Roma fosse re, dalla cacciata di Tarquinio il Superbo all’alba del cesarismo, accanto all’altra accezione, quella del romano tra i romani.

Del resto, non è un mistero che il suo imperatore preferito sia il primo, esattamente il primus inter pares, il camaleontico spirito politico, militare ed anche civile che furoreggia nel giovanilissimo entusiasmo di un Gaio Ottavio che, ben presto, da abile scacchiere nella partita della successione a Giulio Cesare, diventerà prima nipote, poi figlio e, quindi, l’unico del secondo triumvirato a rimanere signore e padrone del nuovo impero.

Augusto è per Svetonio colui che accetta con riluttanza il titolo di pater patriae per reverenza nei confronti della tradizione tanto senatoria quanto popolare di una gestione dello Stato romano plurale e collaborativa. Agli occhi del biografo dei Cesari, la perfezione augustea è l’equilibrismo molto ruffianesco tra potere personale e potere delegato, ancora riconducibile ai vecchi tratti del repubblicanesimo che, ad onore del vero, non sarà mai del tutto messo in archivio dalla dinastia Giulio Claudia.

L’impero vero e proprio, quello assoluto, seppure compiacentemente capace di uniformare le diversità mostrando rispetto per le culture e per le tradizioni, per le lingue come per le religioni, stabilendo un dominio prettamente fondato sulla tassazione e sul controllo militare delle province, vedrà la sua luce con Claudio, con l’esaurirsi di un rapporto ambivalente con un Senato che Tacito rimarcherà criticamente negli “Annales“.

Le vite dei Cesari” sono una interessante, acuta, anche divertente serie storiografica antica: vanno pensate proprio come dei documentari monografici sui singoli sovrani del nuovo impero, dove la storia si fa, pure in uno stile di scrittura non certo esaltante e a tratti ripetitivo, attraverso la narrazione dei fatti un po’ noti a tutti e la meticolosa descrizione delle abitudini giornaliere, dei vezzi e dei capricci, delle virtù e delle debolezze di uomini e donne, per l’appunto, non così dissimili dal resto del mondo di allora.

La capacità di Svetonio di tradurre tutto questo in chiave storiografica senza che appaia come una sequela di particolari slegati fra loro, oppure una disarmoniosa sommatoria di piccole dicerie e di “sentito dire“, è la sua proprietà narrativa principale: lui scrive così perché così vuole scrivere. Non gli interessa emulare Tacito. Gli interessa tramandare delle “fotografie” del passato e del tempo che mano a mano gli si avvicina.

La gallerie dei ritratti dei primi imperatori romani è un affascinante museo di immagini, di colori e di tonalità così diverse di espressioni che risulterà davvero impossibile per qualunque lettore non restare affascinato da questo tour nell’antichità, tra le segrete stanze delle dimore dei Cesari, tra le colonne dei templi, nella Curia del Senato, tra scranni, toghe, sconfitte e trionfi. Tra umori e amori, tra odi e risentimenti, intrighi di potere e semplici gesti e azioni quotidiane.

Svetonio rende l’immagine complessiva del suo mondo, e di quello che lo ha preceduto di un secolo, pienamente comprensibile per noi che viviamo duemila anni dopo. Ed è probabile che così sarà tra altri duemila anni per chi leggerà le cronache del passato narrate da questo segretario di Adriano che, a causa di una congiura di palazzo, venne estromesso dal suo incarico e passò il resto della sua vita a scrivere, attingendo da numerosissime fonti anche dirette.

Per nostra fortuna, ci è rimasta quasi integra l’intera sua opera più importante, anche se non è facile dire quanto lavoro avesse svolto il biografo dei Cesari nella redazione della sua più ampia stesura della storia di quegli uomini illustri che gli servivano per corredare il meraviglioso racconto della più grande, roboante e caotica vita di un impero che era nel pieno della sua massima espansione.

La dittatura di Cesare e il regno di Domiziano aprono e chiudono questo viaggio che, dalla prima all’ultima pagina, mostrerà tutti i mutamenti della società romana, ad iniziare dal vertice del potere, dai rapporti tra Senato e corte imperiale, tra le classi in lotta, tra i territori così diversi dell’impero in sommossa, spesso ai margini di una centralità che comunque delega, federa e reprime ferocemente quando percepisce un pericolo più che altro di natura economico-militare.

Su quella che è forse la sconfitta più bruciante per le legioni romane, al tempo di Augusto, nella selva germanica di Teutoburgo, Svetonio si sofferma parecchio, ovviamente narrando la vita di Ottaviano. Se per conoscerne compiutamente le premesse storiche, lo svolgimento di quella che sarà una vera e propria disfatta per Publio Quintilio Varo e, infine, le ripercussioni che la battaglia contro i Cherusci di Arminio, ci affidiamo alla narrazione di Cassio Dione e Velleio Patercolo, a Svetonio possiamo riferirci per la cronaca più introspettiva della reazione dell’Urbe.

E di quella di Augusto che, stando a quello che, per l’appunto, si legge ne “Le vite dei Cesari”, vagava per le stanze della sua domus accigliato, in preda alla rabbia ed allo sconforto. Vale la pena leggere il paragrafo 23 del secondo capitolo del libro, quello intitolato al Divus Augustus:

«Graves ignominias cladesque duas omnino nec alibi quam in Germania accept, Lollianam et Varianam, sed Lollianam maioris infamiae quam detrimenti, Varianam paena exitiabilem, tribus legionibus cum duce legatisque et auxiliis omnibu caesis.
Hac nuntiata excubias per urbem indixit, ne quis tumultus existeret, et praesidibus provinciarum propagavit imperium, ut a peritis et assuetis socii continerentur. Vovit et magnos ludos Iovi Optimo Maximo, si res p. in meliorem statum vertisset: quod factum Cimbrico Marsicoque bello erat.
Adeo denique consternatum ferunt, ut per continuos menses barba capilloque summisso caput interdum foribu illideret, vociferans: Quintili Vare, legiones redde! diemque cladis quot annis maestum habuerit a lugubrem».

La traduzione:

«Non subì che due gravi e ignominiose sconfitte e tutte e due in Germania: quella di Lollio e quella di Varo. La prima procurò più vergogna che perdite, ma la seconda fu quasi fatale, perché furono massacrate tre legioni con i loro generali, i loro luogotenenti e tutte le truppe ausiliarie.
Quando giunse la notizia, Augusto fece collocare sentinelle in tutta la città per evitare disordini e prolungò il comando ai governatori delle province, perché eventuali moti degli alleati fossero controllati da gente pratica ed esperta. Promise a Giove Ottimo Massimo giochi solenni, se gli affari dello Stato fossero migliorati: ciò avvenne con la guerra contro i Cimbri e i Marsi.
Dicono infine che si mostrasse così costernato da lasciarsi crescere per mesi la barba e i capelli e da sbattere di tanto in tanto la testa contro le porte gridando: “Quintilio Varo, restituiscimi le legioni!” Dicono anche che considerò l’anniversario di quella disfatta come un giorno di lutto e di tristezza».

Ecco, questo è Svetonio. Il suo stile rimane inconfondibile tra tutti gli autori della romanità imperiale: rimane un biografico che si è curato degli aspetti forse minori della vita tanto di corte quanto più propriamente pubblica dei Cesari. Potrà anche essere un motivo di puntualizzazione stigmatizzante, visto che alla narrazione storica si pensa sempre in termini quasi cattedratici, di analisi, di studio meticoloso, di ricerca cavillosa (e necessaria) delle fonti, e non invece come ad un racconto che sta ai limiti del pettegolo.

Ma Svetonio aveva il suo “metodo storico“: non ha trascurato né l’analisi, nello studio e tanto meno la ricerca di quelle fonti che aveva ampiamente a disposizione fin dal suo primo ingresso nelle stanze delle segreterie particolari di Adriano. Non possiamo rimproverargli di essere uno “storico minore“, anche se la tentazione è stata grande nel corso dei secoli. Possiamo, invece, leggerlo e approfondirlo proprio come interprete particolare e sui generis.

Tacito è un classico, Svetonio è chiaramente pop e, per questo, se fosse una canzone, sarebbe molto orecchiabile!

LE VITE DEI CESARI (DE VITA CAESARUM)
CAIO SVETONIO TRANQUILLO
RIZZOLI – BUR
€ 20,00

MARCO SFERINI

29 novembre 2023

foto: particolare della copertina del libro, statua dell’imperatore Augusto


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