Le sinistre che vanno alla guerra e quelle che non vanno da nessuna parte

Non è affatto scontato che le forze di sinistra oggi siano pacifiste. Un tempo avversare le guerre era non solo moralmente etico ma politicamente giusto e univa morale e...

Non è affatto scontato che le forze di sinistra oggi siano pacifiste. Un tempo avversare le guerre era non solo moralmente etico ma politicamente giusto e univa morale e politica in una perfetta simbiosi che si esprimeva nella critica senza se e senza ma al prolungamento degli interessi del capitale mediante la protesi bellica della politica di Stato.
Per l’appunto, se già ai tempi di Rosa Luxemburg e di Filippo Turati c’erano certe frange della sinistra socialista e socialdemocratica schierate per i crediti di guerra, oggi il dramma della divisione del progressismo tra interventisti e pacifisti è vivo più che mai.
L’imperialismo è una fase del capitalismo che non è mai stata veramente superata da qualche evoluzione del medesimo in un aspetto magari meno invasivo, più conciliante e “riformatore” (dal punto di vista dell’economia di mercato). Le tante guerre che in questi decenni abbiamo vissuto attraverso il filtro di finte verità prodotto da televisioni e giornali si sono trascinate appresso altre apparentemente più piccole guerre, meno appariscenti rispetto al bisogno di “esportazione della democrazia” sbandierato per l’appunto dai canali ufficiali di comunicazione, quelli che stabiliscono quale debba essere la condotta dell’ “opinione pubblica”.
Cominciamo col dire che l’opinione pubblica è un gigante di sabbia, un moloch costruito ad arte ogni volta che subentra la necessità di mettere plasticamente davanti ad una sola verità ciò che invece è interpretabile a seconda del punto di vista dell’interesse economico di una classe sociale, di uno Stato, di un gruppo di Stati uniti da patti continentali di difesa doganale (lo Zollverein germanico del dopo-Congresso di Vienna ne è un esempio da non dimenticare).
Ma la manipolazione del sentimento popolare può avvenire non solo ad opera dei più diretti esponenti politici a contatto con il grande capitale, bensì anche ad opera di quelli che vengono ritenuti eminenti figure della sinistra che si fregia magari dell’antico nome del socialismo.
In Francia, Hollande e Hamon, evidentemente non paghi della distruzione elettorale del loro Partito Socialista (quello glorioso di Mitterand… tanto per intenderci), hanno preso le distanze da Mélenchon e da France Insoumise: condannare l’aggressione anglo-franco-americana alla Siria non s’ha da fare, ma nemmeno criticarla. La dichiarazione dell’ex capo dell’Eliseo e del giovane esponente del PS francese è stata questa, letteralmente: “Lasciare Assad impunito dopo l’uso di armi chimiche contro i civili era impossibile”.
Un entusiasmo interventista che scavalca persino la delusione dei cosiddetti “ribelli siriani” che pensavano che Trump, avvolto nella sua corazza di condottiero militare, avrebbe dato seguito a qualcosa di più massiccio di sessanta bombardieri con un centinaio di missili Tomawak di estrema precisione che non hanno nemmeno fato una vittima.
Questi eroici “ribelli”, in nome della loro causa, vorrebbero vederlo un po’ sterminare il popolo… altrimenti come si può rovesciare Assad?
Ogni conflitto mediorientale finisce per assomigliare ad una tragica sciarada, un problema privo di soluzione: dal conflitto palestinese-israeliano a quello iraniano-americano passando per le guerre del Golfo Persico arrivando alla lotta al Daesh: il ginepraio di interessi è così fitto da impedire di scorgere una unica convincente armonizzazione dei rapporti tanto di sovranità degli stati aggrediti da nemici interni o esterni quanto di convivenza tra le diverse alleanze che si sono create a cavallo della antica Mesopotamia.
Messa la Russia su una posizione difensiva, l’attacco militare appena svolto in Siria costringe dunque le sinistre europee ad un eterno ritorno del confronto tra presunti moderati e altrettanto presunti estremisti: moderati che si vogliono per questo mostrare pragmatici, affidabili interlocutori di quelle forze economiche e potentati presso i quali sono cadute in disgrazia ormai da tempo.
Macron ha sostituito abilmente i socialisti alla guida della Francia, May ha riportato i conservatori ad un ruolo preminente nel Regno Unito dove almeno la voce della pace proviene da un Labour guidato dal pericolosissimo rosso Corbyn e in Italia invece una sinistra inconsistente e inconcludente non è più in grado di far rinascere quel movimento per la pace che avrebbe invaso piazze e strade solo pochi anni fa.
Le posizioni del PD non vale nemmeno la pena discuterle. Se ricordate ancora le parole di Hamon, pressapoco sono quelle. Parole di chi è sconfitto anche sulla linea della politica estera e prova a balbettare qualcosa per mostrare di avere ancora un’opinione. Un’opinione che conta meno di quella della sinistra di alternativa perché è essa stessa a non ricoprire alcun ruolo nel consesso politico e sociale del Paese.
Le guerre sono tante… ed anche la guerra a sinistra o la guerra della sinistra contro sé stessa è tutta da iniziare e da combattere. Con le armi della dialettica, del confronto piuttosto che dello scontro, ma di sicuro è una partita aperta.
Se il movimento della pace riuscisse a rimettere insieme i cocci e a farsi sentire prescindendo dalla sinistra di alternativa medesima sarebbe un’ottima cosa per il movimento ma sarebbe una nuova dimostrazione di sconfitta per un progressismo italiano sempre più desolatamente in crisi.

MARCO SFERINI

15 aprile 2018

foto tratta da Pixabay

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