Le sardine “democratiche” e la bandiera rossa

“Via le bandiere. Siamo un fenomeno democratico, senza simboli né bandiere. Non vogliamo un simbolo a questa bellezza e voi non ci toglierete questa cosa. Via le bandiere! Via...
La bandiera rossa "incriminata", cacciata dalla piazza fiorentina dalle sardine

Via le bandiere. Siamo un fenomeno democratico, senza simboli né bandiere. Non vogliamo un simbolo a questa bellezza e voi non ci toglierete questa cosa. Via le bandiere! Via le bandiere! Via le bandiere! Senza violenza! Rispettiamo la piazza. Rispettiamoci tra di noi. Siamo stanchi dell’odio. Non ci combattiamo tra di noi, per favore“. Così urla la voce alla piazza delle sardine mentre spunta una bandiera rossa con la falce e martello e prova a sventolare sotto un timido vento.

La bandiera con i simboli del lavoro, col simbolo che tanti partigiani hanno portato con loro sulle montagne e poi, vinti nazisti e fascisti, per le vie delle città di Milano, Torino, Genova, in tutte quelle dell’Emilia Romagna e nel resto di un’Italia che senza i comunisti sarebbe diventata soltanto un campo di addestramento delle nuove forze di liberazione sia sul piano militare (Nato) sia su quello economico (piano Marshall e neo-capitalismo d’oltreoceano), viene costretta all’ammainamento e viene poi cacciata dalla piazza.

Siamo nella ex Toscana rossa, nella Firenze di Renzi, del PD, di un socialismo annacquato da tanti riformismi che si sono susseguiti nel tempo e che hanno reso labili le memorie, infiacchite le volontà e fatto un deserto attorno ai princìpi di giustizia sociale, uguaglianza e libertà.

Siamo in una piazza dove l’oratore urla che le sardine sono un movimento “democratico“, che non bisogna odiare nessuno e che ci si deve volere bene “tra noi”: ma intende le sardine. Chi porta in piazza una bandiera comunista, una bandiera che ha resuscitato la democrazia nell’Italia e che ha contribuito largamente alla fondazione della Repubblica (la firma di suggello della Costituzione è di un comunista, di un perseguitato dal fascismo, Umberto Terracini…) viene visto come qualcosa di estraneo, di non appartenente al movimento che si dichiara solidale, includente, antifascista, accogliente, rispettoso e non-violento.

Non c’è che dire, una sequela nobilissima di buoni propositi cui crediamo: le sardine sono in buona fede e vogliono contrastare il sovranismo. Molto bene. La domanda è: di cosa hanno paura? Di essere dominate dai comunisti che oggi sono in netta minoranza numerica nel Paese in quanto a consensi tanto elettorali quanto sociali? Di essere preda di una involuzione politica “di parte“? Quindi di diventare qualcosa di concreto, di specifico, finalmente di assumere un tratto distintivo che permetta di andare oltre soltanto il “contro Salvini” ma che, per esempio, esiga dei miglioramenti in campo sociale, faccia delle rivendicazioni sul piano tra sfruttati e sfruttatori?

Le sardine non devono temere i comunisti: prima di tutto perché noi non siamo avversari e tanto meno nemici di un movimento che ha nemmeno un mese di vita e che è nato per pura spontaneità con qualche post lanciato su Facebook. In secondo luogo perché vorremmo poterci stare anche noi in quelle piazze con la nostra identità, senza egemonizzare culturalmente nessuno: ognuno si cerchi pure la sua strada e la percorra serenamente. Se poi comprenderà che tutti i problemi di questo mondo sono dovuto al sistema economico capitalistico, allora forse tra comunisti e sardine ci sarà più legame, una migliore visione comune e critica della società per trovare una via che la trasformi e che capovolga gli orrori prodotti dal mercato, dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura.

Le sardine si definiscono “democratiche” e invocano la cacciata dei comunisti dalle loro piazze: anzi, proprio non li vogliono. I comunisti, seppure frammentati e divisi in tanti partiti, sono comunque una parte politica e sociale distinguibile dalle altre per ideologia (sì, ideologia! La tanto abietta ideologia, quell’insieme di concetti e di visioni (visionarie, tal volta, ma è giusto che sia così), per proposta di contenuti, per prova di applicazione dei medesimi nella quotidianità tanto istituzionale (laddove sono rimasti dei consiglieri comunali dichiaratamente “comunisti“) quanto di piazza, quanto nelle lotte dove ancora riescono a dire la loro: tramite la presenza alle manifestazioni, tramite la presenza nel sindacato.

Le sardine avranno anche l’onore e il privilegio di riempire le piazze, nonostante siano un movimento eterogeneo e da poco nato, ma la nostra critica non nasce da un rosicamento interiore che ci divora l’animo: la critica – se ancora non lo si fosse capito – nasce dal fatto che esiste un esclusivismo che pretende l’apartitismo della piazza, il suo essere priva di qualunque connotazione non tanto politica (visto che quel movimento, nell’istante in cui diviene tale, è già una forma della politica) ma “di colore“. Le sardine vogliono potersi dire “neutre“, ricercano una acromaticità che possa consentire loro di connettersi con quante più persone sia possibile: e ciò è anche tatticamente comprensibile e giustificabile.

Ma, detto questo, non possono pensare di riprodurre continuamente la loro forza aggregatrice sulla base dell’anti-salvinismo: una grande marea di giovani dovrebbe invece lavorare per dare colore ad un movimento, per caratterizzarlo con precise parole che esulino da scenari da “mulino bianco” dove si narra di desideri di vivere nella famiglia italiana, felice, priva di pregiudizi e odio e quindi, fatto questo, “tutto va bene, madama la marchesa“. Se questo è l’obiettivo delle sardine, non sarà mai raggiunto con aggregazioni che puntano “solamente” a fermare le destre sovraniste. Le virgolette sull’avverbio sono rispettose del lavoro delle sardine stesse: un lavoro civico, morale, ma niente di più.

Cosa faranno le sardine quando, una volta fermato Salvini, rimarranno in campo soltanto forze che continueranno a fare politica sulla pelle delle fasce più deboli della popolazione? Perché questo accadrà se il movimento non abbraccerà, non tanto una forza politica precisa, quanto una idea di società che sia tale, quindi che assuma su di sé una coscienza critica che gli permetta di riconoscere il vero nemico: il liberismo, il capitalismo, il mercato che lo alimenta e lo riproduce, che crea tutte le privatizzazioni del caso, i riders schiavizzati come i giovani che lavorano nelle grandi catene di vendita online e così via…

Il paradosso cui ci troviamo davanti è che le sardine sono un movimento politico che vorrebbe essere civico (nel senso di aderente ai principi costituzionali, della civicità del nostro Paese, dell’essere semplicemente e solamente dei “bravi cittadini“) e che è costretto ad essere anche politico. Del resto non può essere però nemmeno soltanto politico, perché finirebbe col caratterizzarsi in qualche modo e diventare un “partito” (con la “p” minuscola, quindi una parte ben distinguibile rispetto al resto): quindi al tempo stesso alle sardine tocca essere civicamente politiche e politicamente civiche. Una contraddizione che dovranno risolvere se vorranno vivere attraverso i canoni della Carta del 1948, rispettandola appieno ma provando a diventare una forza di cambiamento anche sociale. Ammesso che sia questo il loro intento attuale e scopo futuro…

Per questo, che senso ha cacciare dalla piazza una bandiera rossa con i simboli del lavoro, con i simboli di chi ha lottato per tante generazioni per questi valori di libertà dell’essere umano dal regime dei padroni (pardon… “imprenditori“), per la riduzione dei tempi di lavoro, per una unità dei lavoratori laddove invece il padrone li divideva con i livelli di fabbrica, per una scuola laica e democratica, per il diritto delle donne di decidere di sé stesse in ogni ambito della loro vita, per i diritti civili, contro ogni discriminazione etnica, sessuale, persino religiosa e filosofica? Che senso ha? Il nemico sono i colori, è il rosso, è la falce e martello?

Ecco, cacciare dalla piazza di una manifestazione di popolo i comunisti non può consentire subito dopo di dirsi “democratici” e “inclusivi“, privi di odio, fraternamente uniti da una coesione che rimane esclusivista e che, perciò, in sé, ha elementi di discriminazione, perché si trascina dietro anche delle comprensibili paure frutto di una politica per troppo tempo violentata da chi oggi appoggia appieno il movimento delle sardine e vorrebbe che diventasse un largo sostegno elettorale all’anti-salvinismo.

Care sardine, voi dite di rappresentare la “bellezza” di questo Paese: se davvero è così, non disprezzate chi crede che un movimento “che abolisce lo stato di cose presente” possa rinascere anche da una primordiale coscienza civile come la vostra. Tutto evolve, a seconda dei casi. Tutto si muove e si trasforma. Quindi non temete i colori, non temete di essere etichettati dai sovranisti con epiteti come “centri sociali“, “comunisti” o altro. Lo diranno ugualmente, sia che in piazza sventolino le bandiere rosse, verdi, bianche, gialle, sia che non ne sventoli nessuna.

Dovreste essere voi a rivitalizzare la partecipazione di tutte le differenze e non annullarle in nome di un civismo incolore. Dovreste essere voi, care sardine, a fare “egemonia culturale” su noi comunisti e insegnarci – visto che noi sembriamo aver smarrito la via (non certo soltanto per colpa nostra) – come diventare eguali a voi e fare paura non soltanto a Salvini ma ai padroni, agli sfruttatori.

Se ci vorrete al vostro fianco, ci saremo. Ma con le nostre bandiere, con i nostri simboli, con noi stessi: quindi con la nostra storia, identità e cultura che nessuno, nemmeno voi, ha il diritto di toglierci.

Voi ce lo permetterete… di chiudere queste righe con le parole di Pier Paolo Pasolini, che pure tanto critico fu verso la sua stessa parte politica e che per questo subì vari ostracismi…

Per chi conosce solo il tuo colore, bandiera rossa,
tu devi realmente esistere, perché lui esista:
chi era coperto di croste è coperto di piaghe,
il bracciante diventa mendicante,
il napoletano calabrese, il calabrese africano,
l’analfabeta una bufala o un cane.
Chi conosceva appena il tuo colore, bandiera rossa,
sta per non conoscerti più, neanche coi sensi:
tu che già vanti tante glorie borghesi e operaie,
ridiventa straccio, e il più povero ti sventoli.

(Pier Paolo Pasolini, “Alla bandiera rossa”, 1961)

MARCO SFERINI

1° dicembre 2019

foto: screenshot

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