Se davvero spezzoni della sinistra d’alternativa sia in forma di partito sia in dimensione di soggetti di movimento intende esaminare l’eventualità di una presentazione elettorale sarà allora necessario mettere all’ordine del giorno il tema della diversità.
Mi riferisco, per chiarire, a quanto si è messo in moto in termini di presenza politica e di tentativo di aggregazione, a partire dall’assemblea del Brancaccio, al successivo ritiro della proposta avanzata da parte di coloro che ne erano stati i promotori protagonisti, e ai tentativi che ne sono seguiti di riprendere il filo e svilupparlo attraverso l’assemblea di “Potere al Popolo” e la successiva riunione di Eurostop.
Non ci troviamo evidentemente in un quadro di continuità con quanto è rimasto in linea con la tradizione della sinistra storica (diciamo la linea : opposizione nel PCI alla svolta della Bolognina, Rifondazione e successive rotture, Arcobaleno, Rivoluzione Civile, Lista Tsipras: tanto per restare nell’ambito dei passaggi elettorali) anche se qualche elemento in quel senso sembra rimasto e soprattutto sono presenti sia Rifondazione Comunista, sia il Partito dei Comunisti Italiani oggi denominatosi direttamente come Partito Comunista Italiano quali elementi organizzati in continuità con quelle esperienze.
Sono presenti, inoltre, in quest’area collettivi di diversa natura, prioritariamente quelli napoletani che si sono assunti l’onere di apripista in questa seconda fase, una forte presenza del più importante sindacato di base, l’USB e la Rete dei Comunisti al riguardo della quale oso esprimere un giudizio di collateralità appunto – nei riguardi dell’USB; e ancora spezzoni di ex CGIL e di altri settori di movimento raccolti nella piattaforma “Eurostop”.
Il tutto in una convivenza tra concezione di tipo “partitista” a fianco di una vocazione movimentista e senza che sia stata avviata, da nessuna parte, un’azione politica rivolta alla costruzione di una nuova soggettività politica della sinistra d’opposizione e di alternativa (come si è pure cercato di auspicare per una certa fase, almeno quella immediatamente seguente al tracollo di Rivoluzione Civile, da parte di settori di Rifondazione Comunista, della CGIL e della Rete dei Comunisti).
Non ricostruisco qui la storia di altri spezzoni d’iniziativa politica succedutisi in questo periodo, da Cambiare si può, Coalizione sociale, ALBA, No debito, Ross@ e quanto altro.
Cerco, invece, di appuntare l’attenzione su di un elemento che ritengo fondamentale perché si possa affrontare lo stretto passaggio che ci si trova di fronte pensando alle elezioni.
Si tratta di cercare di rispondere sia alla domanda d’identità , sia alla necessità di aggregazione.
Domanda d’identità e di aggregazione alle quali è necessario rispondere se s’intende davvero provare a percorrere appunto la via elettorale, intendendola come punto di espressione politica utile per affrontare il futuro preparando una diversa forma politica.
E’ chiaro come si abbia intorno un quadro internazionale molto complesso sul quale aprire una riflessione che deve condurre ad assumere una posizione molto precisa intorno a quello che appare come uno dei nodi di una possibile definizione d’identità su questo terreno.
Un’identità sul piano internazionale capace di porre uno spartiacque tale da indicare la via di un’appartenenza e non soltanto di un voto: il riferimento al tema dell’Europa e alla richiesta di uscita dell’Italia da quel quadro. Come questa richiesta, che potrebbe essere il vero elemento prioritario sul quale impostare la campagna elettorale, possa evidenziare una naturale vocazione internazionalista esorcizzando una visione sovranista che pure alberga in determinati settori di movimento, questione fondamentale da affrontare senza rimanere rintanati nella logica dell’Altra Europa, intesa come scappatoia meramente nominalistica e, di conseguenza, propagandistica.
Occorre andare molto più a fondo nell’analisi e porsi tutti assieme un comune interrogativo: come può essere declinato il concetto di sfruttamento all’interno del capitalismo globalizzato dall’innovazione tecnologica e la finanziarizzazione?
E’ ancora valido il senso della risposta marxiana ?
E’ con la risposta da dare a questa domanda che si supera una pallida definizione di antiliberismo che pure oggi viene usata e che risulta essere del tutto insufficiente alla bisogna.
Ed è rispondendo alla persistente validità della concezione marxiana dello sfruttamento che si può approdare a un’identità che proclami la necessità di superamento del capitalismo , ma non in senso dell’anti.
Accolgo il suggerimento di Vito Antonio Ayroldi in risposta ad un altro mio recente scritto: più che dirsi anticapitalisti, che una definizione negativa, vanno evidenziati allora gli ancoraggi positivi l’idea del socialismo e l’accostamento alla tradizione storica della sinistra italiana anche sotto l’aspetto della forma politica. Torniamo a imporre la nostra egemonia culturale come ha fatto il liberismo, che la lezione di Gramsci l’ha sfruttata benissimo, ha fatto in questi ultimi 30 anni.
Dal giudizio sulla sfruttamento globale in atto al riguardo di tutti gli aspetti della vita umana da parte del capitalismo deriva, quindi, la necessità di pensare al socialismo come solo traguardo storicamente possibile.
Accettato come comune questo punto di giudizio allora potranno essere individuati tutti gli altri punti possibili anche sotto l’aspetto della gradualità del percorso, senza timore nel rinnovare elementi di una nuova ambiguità positiva come sempre necessario nella promozione di un adeguato “agire politico”.
Prima perché è necessario riconoscere che, a tutti i livelli, il giudizio comune sullo sfruttamento rimane centrale e ineludibile sia al riguardo di quelle che furono definite contraddizioni materialiste sia di quelle appellate in seguito come post-materialiste (ambiente, contraddizione di genere, nuovo rapporto tra struttura e sovrastruttura, questione della qualità della democrazia).
Sarà sul punto del riconoscimento della modernità del concetto di sfruttamento che si potrà realizzare quella necessaria espressione di diversità da destinarsi ben oltre alla definizione di un’identità alternativa da evidenziare nel frangente elettorale.
Non si creda si tratti di una banalità come purtroppo qualcuno tenderà a considerare quest’affermazione: il riconoscimento dell’eterna pervasività del concetto di sfruttamento è ancora fattore decisivo per definire un’identità politica, ben più importante questa di una semplice proposta elettorale, ma che deve valere anche se si scegliesse la via delle urne.
FRANCO ASTENGO
9 dicembre 2017
foto tratta da Pixabay