Al Lingotto abbiamo visto che il Renzi 2.0 è tal quale alla prima versione. Ancora aspettiamo che ci dica non che ha sbagliato, ma perché, e come intende correggere la rotta. Ancora gli piace Marchionne, e lascia indefiniti il progetto e le alleanze. Né basta l’enfasi sul “noi” a certificare la fine del PdR – partito di Renzi.
Invece, è chiara la sua strategia per tornare a Palazzo Chigi, con uno scacco in quattro mosse.
La prima. Riprendere il pieno controllo del Pd con le primarie, mantenendo poi il modello di un partito in cui il capo ordina, la maggioranza obbedisce, e la minoranza si adegua. Ad oggi, per Emiliano e Orlando lo scenario migliore non va oltre una dignitosa sconfitta.
La seconda. Fermare o depotenziare i referendum Cgil con una sforbiciata legislativa del governo clone sui voucher. Questo sminuisce per Renzi il rischio di una nuova ordalia di voto popolare – sono pur sempre i voucher di Renzi – e pone invece sulla Cgil l’onere di una scelta difficile. Accettare anche una correzione parziale, o andare a un referendum a quel punto incerto, più per l’affluenza e la conseguente validità che per l’esito. I meno giovani sentono l’eco lontana del referendum del 1985 sulla scala mobile.
La terza mossa è la legge elettorale. Con la deludente sentenza 35/2017 la Corte costituzionale ha chiuso in parte l’argomento. Ha determinato l’automatico interesse dei maggiori players parlamentari – Pd, centrodestra, M5S – a mantenere il premio di maggioranza con soglia al 40%, che probabilmente verrà esteso al Senato.
Allo stato, nessuno ci arriva, ma tutti ci puntano. Perché togliersi la possibilità di prendere col premio il pieno controllo delle istituzioni e del paese? Analogamente, i capilista bloccati interessano, ancorché a parole esecrati. Probabilmente, rimarranno. Non tornerà, invece il ballottaggio, che pure, per la Corte, sarebbe accettabile in forma diversa da quella attuale. Troppo erratico e imprevedibile, e forse favorevole a M5S. Sostanzialmente, rimangono aperti alla discussione l’apertura del premio alle coalizioni, le soglie di sbarramento da armonizzare nelle due camere (forse un 4 o 5%?) e i collegi, che soprattutto per il Senato vanno rivisti. E lo scenario del sistema elettorale ha conseguenze ancor prima che la nuova legge sia approvata.
Ad esempio, una prospettiva di capilista bloccati apre fin d’ora la trattativa. Vinte le primarie Renzi potrà costruirsi in questo parlamento, con la promessa delle future candidature a capolista, un pacchetto di fedelissimi che gli diano il controllo della maggioranza, oggi. E potrà avviare gli accordi per le future alleanze elettorali.
La quarta mossa è far cadere il governo quando più conviene. A tal fine, Renzi disporrebbe dei pretoriani di cui al punto precedente. È possibile, ma non certo, che la legislatura arrivi alla scadenza del 2018. Può bene darsi prima l’occasione che suggerisca a Renzi di andare al voto.
Molte cose possono incidere sulla politica italiana, come ad esempio l’esito delle elezioni in Olanda e Francia, le decisioni della Ue, o le vicende giudiziarie. Ma, salvo imprevedibili sconvolgimenti, lo schema generale è dato.
Cosa può fare la sinistra?
Ovviamente, battersi contro le mosse di Renzi, inclusa la legge elettorale, in parlamento e fuori. Ma ha nella sua piena disponibilità una sola vera strategia: impedire a chiunque quel 40% che darebbe il controllo delle istituzioni e del paese.
Solo così potrà creare una condizione politica in cui essere protagonista. Sondaggi e analisti dicono che un’area di potenziale interesse esiste nel paese, ed è consistente. Ma c’è una condizione: che non vada in ordine sparso. Diversamente, tra sbarramenti, dimensione dei collegi e premi di maggioranza, pochi potrebbero sopravvivere. La ricomposizione verso un quarto polo di sinistra deve avviarsi ora, perché i tempi sono stretti. E potrebbe di per sé suggerire ad altri un’accelerazione verso il voto.
Vogliamo una sinistra forte, e non perché ci piace il vintage. La vogliamo perché nel nostro paese rimangono a sinistra l’attuazione piena della Costituzione, l’eguaglianza, i diritti, la dignità e il rispetto per ogni persona.
E la risposta non la troviamo nella pubblicità ingannevole di Lingotti e Leopolde.
MASSIMO VILLONE
foto tratta da Pixabay