C’è stato un momento, mi raccontava l’amico e compagno Pino alcuni anni fa, mentre si parlava e riparlava delle vicende legate al secondo conflitto mondiale, che pareva, perché se ne aveva proprio la percezione quotidiana, che la Germania nazista fosse divenuta invincibile e che nessuno potesse ostacolarne l’espansionismo: dopo l’Anschluss, dopo i Sudeti, dopo l’invasione della Polonia, dopo Danimarca e Norvegia, era la volta della Francia e, quindi, anche di Belgio e Paesi Bassi.
La Wehrmacht si rovesciava con tutte le sue forze meccanizzate, modernamente adeguate ai tempi, su nazioni libere da secoli, che erano divenute patria della democrazia novecentescamente declinata in un misto tra liberalismo e giustizia sociale; paesi in cui non soltanto più l’asfittico concetto di “tolleranza” aveva una qualche cittadinanza, eredità di una generosità borghese del recente passato ottocentesco, ma ci si apriva a qualcosa di più sostanzioso: la solidarietà. Civile e sociale, politica e morale.
Quando l’Inghilterra rimase sola contro Hitler, Mussolini e i loro sgherri, parve davvero, se non la fine del mondo, almeno di quel mondo. Quello in cui il capitalismo aveva imparato – si fa per dire, ma in quella fase sembrava potesse essere così – a convivere in un regime di regole condivise, anestetizzando in parte la lotta di classe, ma costretto comunque a fare i conti con le rivendicazioni del mondo del lavoro. Il tutto aveva alimentato quel senso di esigibilità concreta dei diritti che non poteva non avere ripercussioni positive sulla tenuta delle democrazie in quanto tali.
Libertà e giustizia sociale si compenetravano e divenivano una cosa sola. L’avvento dei regimi fascista e nazista, come pure quello di Franco in Spagna (sapientemente opportunista nel corso della Seconda guerra mondiale nel mantenersi neutrale…), sparigliarono le carte sul tavolo da gioco di una Europa presa in parte in contropiede dalle richieste di Hitler che si mostrava uomo di Stato di buon senso, facile alle promesse così come altrettanto facile al disattenderle proprio tutte.
Insomma, mi diceva Pino, la Germania non aveva freni e, almeno fino all’entrata in guerra degli Stati Uniti d’America, dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor, niente e nessuno sembravano in grado di arginarne la dilagante supremazia sul Vecchio continente con una proiezione piuttosto inquietante su quello che oggi Giorgia Meloni definisce il “globo terracqueo“. Ora, fatte tutte le debite eccezioni e differenze del caso, qualcuno ha pensato che la destra che è arrivata a Palazzo Chigi nel settembre del 2022, fosse a dir poco invincibile.
Dagli errori si impara e Giorgia Meloni, che ne ha al suo attivo molti meno di altri nella sua vita, ma che ha avuto, proprio per questo, anche meno occasioni di personale rivalsa, ha fatto tesoro degli inciampi berlusconiani, del dimagrimento delle forze della destra pseudo-liberale, del salvinismo meteorico che è passato nel cielo della Milano da bere nelle inventate spiagge padane, e si è presa gran parte degli elettorati che facevano riferimento a Forza Italia e soprattutto alla Lega, arrivando oltre il 30% nei sondaggi (pure in quelli ultimamente pubblicati).
Il mito moderno dell’invincibilità della destra sovranista, neopatriottica e neonazionalista è così riecheggiato un po’ in tutti i canali televisivi, nelle radio e, nemmeno a dirlo, nel mare magnum incontrollato e incontrollabile dell’internettismo. La Presidente del Consiglio ha notevoli qualità comunicative: sa come gestire tutto. Dai dibattiti ai comizi, dagli incontri istituzionali, che prevedono l’azzeramento del furore da piazza, il riscaldamento di pancia fomentato dal palco con dietro la fiamma tricoloreggiante, fino a quelli internazionali.
Se non è nata oggi, si è formata, nella lunga gavetta fatta, una politica a tutto tondo che è quattro spanne sopra la mediocrità dei suoi dirigenti di partito, di una parte delle sue ministre e dei suoi ministri, per non parlare della pletora di abborracciati e bislacchissimi sottosegretari di governo che sono, tante, troppe volte, francamente imbarazzanti. Raramente Meloni fa delle gaffes. Ma quasi sempre è lontana dal vero e, tanto più lo è, tanto più aggredisce, graffia, attacca e non si trova quasi mai sulla difensiva.
Il mito dell’irrefrenabile ascesa del melonismo durerà ancora un po’. La luna di miele con gli elettori non è trascorsa e, comunque, parte del popolo italiano (e non solo a destra) si lascia blandire con sempre maggiore facilità nel momento in cui gli sembra di non avere quasi più nulla da perdere: là dove la crisi economico-sociale avanza, lì la demagogia di destra penetra con meticolosa certezza e si fa largo tra le ragionevolezze che sembrano azzeccagarbugli di un sistema democratico obsoleto, necessitante di controriforme che rimettano al suo posto l’uomo o la donna sola al comando. Per la salvezza della Nazione!
Se il mito dell’invicibilità resiste, è ovvio che Giorgia Meloni si senta pienamente autorizzata a perpetuarlo, a farne un moloch adorabile per un corpo elettorale che, avendo sperimentato tutto, a sinistra, al centro e a destra, ha trovato in lei l’ultima possibilità di credere ancora nella mediocrità della politica di palazzo, sganciata da quella più genuinamente sana di un coinvolgimento di massa che deve avvenire anche tramite i cosiddetti “corpi intermedi“.
Fino al 1942 la Germania nazista (diverso il discorso per il gregariato fascista) segnò con RO.BER.TO (Roma, Berlino, Tokyo) la trilaterale della minaccia totalitaria sul mondo. Poi, le sorti della guerra cambiarono, perché i tempi lunghi costringono a chi l’ha iniziata e non ne viene fuori, ma anzi si fa sempre più nemici, di fare i conti con l’aumentare delle ostilità, con il diminuire delle risorse e con sempre meno truppe da arruolare a mandare a farsi ammazzare per i sogni di millenaria gloria teutonico-ariana di Hitler e del suo cerchio magico.
Così il mito si iniziò a venare, il monolite sbiancò, divenne argilloso, friabile, corrodibile dagli eventi naturali: il fatto che nel momento in cui dichiari guerra un po’ a tutto il mondo, alla fine quel mondo non ti lascia scampo. Ti circonda e ti fa a pezzetti. Contro l’Unione Sovietica, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti d’America, la Cina e i relativi imperi coloniali, non c’era via d’uscita per mussolinismo ed hitlerismo. I popoli, obnubilati dal magnetismo dei dittatori, si svegliarono dal letargico sonno e ripresero a sperare e a resistere.
Nessuno era invincibile. Nessuno poteva, quindi, vincere sempre e per sempre. Noi dovremmo, oggi, provare a pensare esattamente così: non considerare questa destra come se avesse le caratteristiche dell’indefessa imperturbabilità politica, sociale, civile e morale. Ciò che stanno facendo va contro ogni politica costituzionale, contro ogni forma di giustizia sociale, contro ogni principio civile, contro ogni fondamento morale dal carattere tanto universale quanto più propriamente individuale.
Giorgia Meloni vince nei sondaggi, ha percentuali alte che le confermano l’egemonia pressoché indiscussa nel campo della maggioranza di destra; così ha dalla sua il Parlamento, ma trova nella Magistratura un ostacolo. Grida al complotto, evita i confronti diretti, manda dei video ma non si presenta alle Camere, né lei, né i suoi ministri, per rispondere dello stato dell’arte sulla triste vicenda Almasry. I magistrati non complottano nulla contro lei e contro il governo. Molto più semplicemente, prendono la Legge e la applicano.
Se i provvedimenti del governo sono quasi tutti improntanti alla violazione delle più elementari norme del diritto comunitario, di quello internazionale, finanche – e ci mancherebbe pure non fosse così – della Costituzione della Repubblica, non è certo colpa dei giudici. Per la terza volta consecutiva, la deportazione (atti, cose e persone vanno sempre chiamati col loro nome) dei migranti nei lager albanesi viene riconsiderata a monte e viene annullato ogni provvedimento governativo in tal senso, non è una guerra della magistratura contro l’esecutivo.
Sei tu, governo Meloni, che non ne fai una giusta, perché gli atti che promuovi sono contestabili nella loro essenza secondo le più evidenti norme del diritto e, nonostante ripetuti errori, perseveri, spendendo soldi pubblici che potrebbero essere altrimenti investiti in opere essenziali per la vita più dignitosa di un gran numero di cittadini indigenti. I quarantatré migranti provenienti quasi tutti dalla Libia o dall’Egitto saranno così liberi: potranno ritornare in Italia, in quel di Bari.
Queste persone sono state prese, come se fossero dei pacchi postali, e portate in luoghi in cui ogni forma di libertà e di diritto universale era praticamente abolita. Lo sostengono gli osservatori del Tavolo per le migrazioni quando affermano che non c’è possibilità alcuna di difesa della propria persona in quei centri. Per la maggior parte si trattava di migranti che avevano subito torture nella nostra ex colonia africana che affaccia sul Mediterraneo. Classificati come “vulnerabili“, non potevano essere sottoposti alla procedura accelerata.
Ma quello che più conta e che mancava e manca sono gli osservatori terzi, dei garanti dei diritti umani che non possono non esservi. Se davvero il governo avesse a cuore i valori della Costituzione repubblicana, a queste persone dovrebbe dare la possibilità concreta di avere dei legali per una vera difesa, per permettere l’espletazione di tutte le prerogative che gli toccano e che non possono, quindi, divenire discrezionali a seconda del rapporto che una maggioranza ha con le cosiddette “minoranze“.
Il fallimento di Giorgia Meloni inizia a divenire sempre più evidente nel momento in cui si sommano tutti gli incespicamenti che, pure in una durata dell’azione di governo maggiore rispetto a chi l’ha preceduta, determinano la cifra palesemente inappropriata alla gestione democratica, laica e civile dell’Italia del 2025. Nell’operare continuamente delle forzature al diritto italiano e a quello europeo, Palazzo Chigi sa di fare tutto tranne il bene del Paese. Ciò che gli interessa è il mero interesse di questa maggioranza. La conservazione del potere per mandato popolare oltre il mandato popolare stesso.
Non c’è nessun accerchiamento del governo da parte di chicchessia. Ma Giorgia Meloni ci consentirà, visto che siamo ancora formalmente in democrazia, di opporci a ciò che lei e suoi ministri fanno e pretendono di fare per cambiare la vita della nazione, la struttura istituzionale della Repubblica, nonché i rapporti civili e sociali della popolazione. Se per davvero i postfascisti di Fratelli d’Italia sono afferenti ai valori democratici, allora devono considerare il fatto che oggi governano e che domani potrebbero non governare più. Oggi comandano e non dirigono. Domani potrebbero tornare all’opposizione.
Certo, difficile anche soltanto poterlo preconizzare con un PD che vivacchia nella sua unità di intenti tra lacerazioni interne, prospettive di elezioni regionali con mezze scissioni in atto e, soprattutto, il rinvio continuo di un tavolo comune di tutte le opposizioni (parlamentari e non) per dirimere la questione di un fronte progressista che divenga il contraltare di queste destre eversive.
Pino aveva ragione, ed all’epoca noi si parlava di Berlusconi a cui veniva concesso persino il sogno dell’immortalità, quasi una divinizzazione in stile cesariano o augusteo: bisogna creare le condizioni sociali affinché i governi peggiori per le sorti del mondo del lavoro, dei salariati, dei precari e di ogni persona che fatichi ad arrivare alla fine del mese, crollino su sé medesimi. Queste condizioni non possono prescindere da una critica consapevole, da una constatazione oggettiva dei rapporti di forza. E per questo non ci si può chiamare fuori, assumendo come motivazione la purezza ideologica.
Occorre stare lì dove c’è bisogno di contribuire a dare la spallata. Per garantire ancora all’Italia un presente in cui non si sia costretti ad elemosinare i diritti umani, oltre a quelli sociali e civili. Difendendo i migranti, anche se spesso non ce ne rendiamo, conto, difendiamo anche noi stessi. Il mito della graniticità del melonismo si frantumerà, ma cerchiamo di non arrivarci per contrarietà…
MARCO SFERINI
1° febbraio 2025
foto: screenshot ed elaborazione propria