Al di là delle valutazioni riguardanti la complessa prospettiva del quadro politico, l’esito della direzione del PD può essere analizzata soprattutto dal punto di vista del consolidamento nella modificazione della stessa “forma-partito” che l’involuzione subita dallo stesso PD ha, alla fine, realizzato.
Nel corso degli anni abbiamo verificato il progressivo modificarsi della forma prevalente del “partito a integrazione di massa” in partito d’opinione (cambiamento dovuto prevalentemente al processo di secolarizzazione della società e del suo successivo “sfrangiamento” all’interno della crisi complessiva di relazione da parte dei “classici” corpi di intermediazione sociale).
In tempi successivi abbiamo assistito all’affermarsi del “partito-azienda” (in una versione del tutto peculiare) e del “partito personale”: modelli contrastati, nel corso dell’infinita transizione italiana, attraverso l’articolazione di coalizioni misurate su di un sistema elettorale fondato sul tentativo di modellare uno schema di tipo bipolare.
Alla fine per contrastare il “partito personale” è spuntata l’idea della “vocazione maggioritaria”, raccogliendo spezzoni di tradizioni precedenti, già ampiamente però usurate dallo spostamento d’asse dalla centralità della rappresentanza a quella della governabilità, in una forma-partito anomala rispetto alla tradizione del “caso Italiano” con la novità delle “primarie aperte” in luogo della presenza territoriale e della costruzione dei quadri intermedi realizzata attraverso l’esercizio di una funzione pedagogica da parte del partito stesso.
Una novità quella delle “primarie” volta a suffragare l’acquiescenza subalterna all’imposizione del meccanismo della personalizzazione della politica.
Intanto all’interno di un quadro generale di spostamento nelle coordinate complessive del confronto politico e delle relazioni sociali con l’emergere dei fenomeni cui abbiamo assistito, sul piano internazionale nell’ultimo decennio, è stato completamente trascurato lo stato di salute della democrazia rappresentativa la cui qualità ha continuato invece a rappresentare il punto di identificazione dei cittadini nello stato democratico.
Una crisi quella della democrazia rappresentativa alla quale si è cercato di fornire una risposta esclusivamente sul terreno dell’esaltazione del ruolo di riferimento personalistico di un “Capo”, di rappresentazione del concetto di governabilità quale fine esaustivo dell’agire politico, di uso delle nuove tecnologie in funzione di illusorio meccanismo di promozione di un’apparente “democrazia diretta”.
E’ facile comprendere, a questo punto, a quali fenomeni si faccia riferimento: fenomeni sviluppatisi mentre si definivano elementi di vera e propria “torsione” nell’insieme del quadro di relazioni politiche a livello internazionale con l’esplosione della crisi dell’Unione Europea, l’affermazione di Trump negli USA, il rimodellarsi dello schema interpretativo della globalizzazione usato per tutto l’avvio del XXI secolo.
Come ha risposto a questo stato di cose il PD partito a “vocazione maggioritaria” che pensava di svolgere, nel lungo periodo, una funzione centrale nel sistema politico italiano (illusione del resto smentita clamorosamente dall’esito del referendum del 4 dicembre scorso)?
Il PD ha risposto modificando ancora la propria natura e inaugurando la prospettiva di un “partito personale” fondato, in forma piramidale per aggregazioni successive, su di una base di “individualismo competitivo” con il solo collante dell’esercizio del potere a tutti i livelli senza alcuna determinazione nel rapporto con le contraddizioni sociali (che stanno acuendosi, invece, e allargandosi in una società insieme parcellizzata e fortemente conflittuale).
Una forma esasperata e pericolosa dell’autonomia del politico.
Alla fine, essendo Forza Italia rimasta un passo indietro sostanzialmente alla forma del “partito azienda personale” e non riuscendo Lega Nord e Fratelli d’Italia ad assumere una sufficiente forza per rappresentare un’effettiva massa critica a livello di sistema rimangono in campo il Movimento 5 Stelle che il Quotidiano del Popolo di Pechino colloca, secondo un’interpretazione rigida del canone marxista-leninista, all’estrema destra e il PD.
PD che, nella sua forma attuale appena sopra descritta smentisce i teorici della modernità della democrazia del pubblico e della biopolitica allineandosi invece al modello plebiscitario dell’élite autoritaria che pare piacere tanto a Renzi, dopo che era già stato adottato – beninteso – da Veltroni e Prodi.
Sostanzialmente il PD ha reagito compiendo non uno ma due passi indietro nella storia: capo più ras, plebiscito, giovanilismo d’origine uguale fascismo.
PD che intende andare avanti con una vita interna fondata sui modelli del ’29 e del ’34 (plebisciti mussoliniani, nel secolo scorso per intenderci) piangendo sul latte versato della sconfitta subita sul modello elettorale “tipo – Acerbo” (1923, sempre del secolo scorso).
Né più né meno perché è vero che non ci sono le squadracce, sostituite però dall’apatia di massa indotta dall’ottundimento generalizzato attuato dai grandi mezzi di comunicazione di massa (compresi i social network) sul modello dettato dal documento della P2 del 1975 e dalla cura con la quale viene mantenuta la precarietà e l’instabilità del mondo del lavoro al fine di creare un doppio “esercito di riserva”ai fini della disponibilità a condizioni di soggiacimento complessivo.
Per fortuna il 4 dicembre 2016 una buona maggioranza si è accorta dell’inghippo e ha respinto al mittente quella che poteva ben essere, sul piano costituzionale, la codificazione del regime.
Si tratterebbe adesso, però,di fornire sul piano politico una strutturazione conseguente all’esito referendario.
Rimane infatti, come si accennava, un “conflitto senza rappresentanza” di cui nell’insieme del sistema politico e in particolare nella residua sinistra pare non si riesca a tenere in conto sul piano del progetto.
Sembra sufficiente a tutti partecipare alla contesa per l’esercizio del potere istituzionale.
Una contesa meramente elettoralistica portata avanti in posizione del tutto subalterna al potere economico e soprattutto al potere esercitato corporativamente dalle lobby (anche sul terreno dei diritti civili e delle forme residue dello stato sociale) nell’ottica dell’esaltazione del modello del consumismo individualistico.
Nel frattempo c’è chi ha ancora voglia di scherzare ipotizzando “campi progressisti”, “Nuovi Ulivi”, “centro-sinistra”.
FRANCO ASTENGO
15 febbraio 2017
foto tratta da Pixabay