Le microstorie narrate dai sistemi abitativi

«Cento case popolari»: sono quelle immortalate dagli scatti di Fabio Mantovani

Cento case popolari (Quodlibet, pp.152, euro 22) è il libro che negli scatti del fotografo Fabio Mantovani immortala alcuni frammenti di vita quotidiana all’interno delle grandi architetture residenziali dell’Italia dei primi anni Sessanta e Ottanta. L’autore fotografa dieci sistemi abitativi, tra i quali i celeberrimi Forte Quezzi di Genova (1956-1968), le Vele di Scampia (1962-1975), il Gallaratese di Milano (1967-1972), lo Zen di Palermo (1969-1973), il Corviale di Roma (1972-1982), e sceglie un materiale molto connotato, l’eredità di una stagione dell’architettura italiana che ha investito nel progetto, nella visione rinnovata della città e della società. Nel saggio introduttivo, Sara Marini sottolinea come le «scene di normalità» ritratte dal fotografo riescano ad «addomesticare» questi edifici, azzerando le grandi narrazioni di quelle architetture nate per essere manifesti, trasformandole in banalissimi set della vita quotidiana.

E’ proprio nello spazio tra megastruttura e microstorie, tra eccezionale e ordinario, tra cemento ed effimero che si colloca l’obiettivo del fotografo; uno sguardo senza giudizi, che descrive la routine di uno specifico lascito architettonico. Le foto non rivelano mai il protagonista, se l’attore della scena sia la casa, il passante o la scena stessa. Ciò che emerge è la presenza di un disegno dell’architettura, che sembra riempire l’immagine più dell’edificio in sé. Gli scatti vengono realizzati una volta dentro, non ci sono mai inquadrature panoramiche, viste complessive del complesso dall’esterno. Anche se scovate dalla pancia, queste opere nelle foto di Mantovani, colte in momenti intimi, all’interno di spazi nascosti, sembrano parlare ad alta voce, lasciando trapelare il grande respiro del disegno che le ha generate. Concepite come interi brani di città, le case si mostrano come veri e propri paesaggi naturali – è il caso delle «colline» innevate del Complesso di Cielo Alto di Cervinia (1974-1978) -, o artificiali, in quegli elementi strutturali del Quartiere Rozzol Melara a Trieste (1969 -1982) che nelle immagini di Mantovani sembrano infrastrutture stradali.

Paesaggi logici, razionali, disegnati da un credo fortissimo nell’immagine del progetto, e nel progetto come immagine di un pensiero, di un’ideologia, di una visione dell’abitare collettivo fortemente ideologica, forse utopica. Sono numerose le opere d’autore coetanee a quelle raccontate in questo libro, residenziali e non, che si trovano oggi in stadio di abbandono o parziale disuso, rivelando l’esito che quel pensiero dell’architettura ha avuto poi una volta realizzato. «Un viaggio in Italia», scrive Piero Orlandi nella postfazione, quello che Fabio Mantovani sta portando avanti e attraverso il quale «costruisce per sommatoria un paesaggio italiano» specifico, quello dell’architettura pubblica del secondo ’900, amabili resti d’architettura», ossia «frammenti e rovine dell’architettura della tarda modernità italiana».

GIULIA MENZIETTI

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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