Le destre sovraniste non si battono insieme ad altre destre

Come si affronta le peggiore Italia, quella delle destre sovraniste, fasciste e liberistissime? Come si affronta oggi, con un governo che unisce due destre (quella economica del PD e...

Come si affronta le peggiore Italia, quella delle destre sovraniste, fasciste e liberistissime?

Come si affronta oggi, con un governo che unisce due destre (quella economica del PD e quella populista del M5S) e piccole parti di una sinistra moderata e riformista e una opposizione rappresentata proprio e solamente da quelle stesse destre che ieri a Roma, in piazza San Giovanni, hanno ripetuto le peggiori nefandezze concettuali (e politiche) in tema di muri da alzare, di blocchi marittimi da mettere in pratica, di “orgoglio italiano” quando pochi anni or sono erano, almeno uno di loro, dei secessionisti convinti per la creazione della nazione inventata, chiamata “Padania“?

La risposta non può che essere duplice: politica ma anche economica, quindi deve comporsi di una visione prima di tutto sociale del Paese da declinare sul piano di un strategia di lungo termine ma pure di una tattica di brevissimo termine, visto che le scadenze elettorali regionali si susseguiranno già dai prossimi giorni, continueranno nei prossimi mesi e ci traghetteranno, infine, alle politiche che, stando a quanto avviene nella maggioranza di governo, sembrano poi così non tanto lontane.

C’è chi suggerisce, a sinistra, di creare un nuovo CLN, un nuovo frontismo per l’appunto tattico, per sbarrare la strada a questi autoritarismi nemmeno tanto in erba che crescono nel consenso popolare perché purtroppo parlano un linguaggio fin troppo terra terra e lo fanno mettendo nei loro comizi le più vuote banalità, gli slogan più retorici e privi di qualunque afferenza con la realtà complessa dei fatti.

L’idea del CLN moderno è quanto mai necessaria ma non può significare la creazione di un centrosinistra di nuovo modello che vada da Rifondazione Comunista al Movimento 5 Stelle passando per il PD, +Europa, Verdi, Italia Viva.

Se una alleanza può e deve esistere, questa deve avere una fisionomia di unità di intenti ma non può arrivare alla sintesi programmatica in vista di una nuova unitaria esperienza di governo che veda un compromesso tra anticapitalisti e liberisti.

Sarebbe una contraddizione così estrema ed estremizzante da riportare alla mente quelle coalizione come “L’Unione” che erano dei caravanserragli tenuti insieme soltanto, come si vorrebbe in un certo qual modo riproporre odiernamente, dalla logica maggioritaria imposta da leggi elettorali che hanno privato l’elettorato della scelta di e su formazioni politiche che rispecchiassero per davvero le idee e la visione della società che si voleva esprimere col voto, piuttosto che con la paura del “peggio“, mitigata dall’ormai tanto celebre “meno peggio“, che non ci ha mai condotto verso il meglio, ma che ci ha fatto rimanere sempre e soltanto nel pantano di una stagnazione tanto della politica degli esecutivi quanto dell’economia del Paese.

E’ così che si battono le destre neofasciste, sovraniste e liberiste? Creando nuovamente le condizioni per un governo di altre destre che appaiono di sinistra soltanto perché dall’altra parte esiste l'”impero del male“?

E’ questo il valore intrinsecamente assoluto delle forze governative? Determinato esclusivamente dalla contrapposizione con altri partiti peggiori di quelli che sono oggi a Palazzo Chigi perché questi ultimi uniscono alla minaccia liberista anche quella dell’intaccamento dei più elementari valori democratici?

Quale è il tipo di democrazia, allora, che ci può garantire una tenuta in tal senso e che può, però, sviluppare ciò su un piano sociale e riconsegnare all’architrave costituzionale la sua piena applicazione in seno alla società italiana?

Può farlo Italia Viva di Renzi? Può farlo il PD di Zingaretti che è favorevole al TAV ad esempio o che non mette in discussione minimamente i requisiti minimi del sistema capitalista che produce tante e tali diseguaglianze… le stesse per cui dice di voler governare, per ricondurre il tutto a miti consigli, rendendo mansuete le richieste del mercato e dei grandi poteri economici?

Può farlo +Europa di Emma Bonino che non fa mistero di essere iperliberista (pur riprendendo il vecchio slogan radicale dell’essere “libertari, liberali e liberisti“, quindi la maionese impazzita di sempre che serve a condire piatti di ogni menu che si presenti nell’agone politico…)?

Può farlo Liberi e Uguali che accetta il punto di vista del mercato ma che, tra tutte le formazioni citate, Cinquestelle compresi ovviamente, è quella che, fuori di dubbio, appare quasi bolscevica?

No, non lo possono fare. Nessuna di queste forze politiche è in grado di far riemergere una necessaria rivendicazione popolare, di massa, in termini di uguaglianza sociale e di espansione dei diritti del lavoro.

Questo perché la partita si gioca sempre tra interessi del padronato italiano e interessi dei poteri economici europei che devono in qualche modo trovare un equilibrio a scapito di chi non può trovare spazio nella costruzione di politiche anche riformatrici che vedono soltanto una tolleranza rispetto ai bisogni del moderno proletariato, della classe lavoratrice che assiste disorientata a delocalizzazioni continue, chiusure di grandi stabilimenti produttivi come Whirlpool, aumento del lavoro precario e schiavistico come quello dei riders senza alcun adeguamento salariale degno di note, neppure sul piano pensionistico.

Il taglio dei parlamentari, oltre modo, ridisegna un quadro inquietante nella vita democratica della Repubblica e non fa che agevolare una nuova prassi autoritaria anche e soprattutto per quelle destre che queste finte sinistre e finti progressisti populisti dicono di voler fronteggiare e fermare.

Queste strategie politiche frontiste, molto lontane dalla edificazione di un CLN che invece sarebbe necessario, non fanno che ricondurci a scenari davvero già visti: la segmentazione del mercato del lavoro e la divisione di classe, impedendo ai lavoratori di costruire un legame stretto tra anticapitalismo politico e sindacato; l’individuazione della separazione tra poveri italiani e poveri migranti, con il mantenimento dei decreti-sicurezza di Conte – Di Maio – Salvini; la produzione, di conseguenza, di differenze identitarie, basate non sulla classe di appartenenza, bensì sull’origine etnica, allontanando in tutto e per tutto la questione del lavoro, centrale, primaria e imprescindibile per comprendere ogni disagio che viviamo collettivamente.

Per dare una risposta alle aggressioni antidemocratiche delle destre peggiori presenti in piazza San Giovanni a Roma, dobbiamo tenere bene a mente che a questo fenomeno inquietante, da combattere senza soluzione di continuità, si risponde in due modi: promuovendo davvero una unità alla CLN, tatticamente intesa e, allo stesso tempo, ridando vita ad una sinistra comunista, di classe, che faccia del capovolgimento antisociale il suo programma minimo e massimo e che si proclami alternativa anche agli alleati con cui intende fare diga per evitare la consegna di città, regioni e del Paese in mano a Salvini, Meloni e Berlusconi.

Sono due diversi piani di intervento politico e sociale che se tenuti vicini, paralleli, possono funzionare e svolgere il loro ruolo: se unificati invece produrrebbero due tipi di forzature nel costringere a compromessi che, ancora una volta, diventerebbero compromissioni, amputando da entrambe le parti (liberale-liberista e sociale-anticapitalista) il cuore delle visioni rispettivamente alternative sulla società da cambiare e, in secundis, nel riproporre lo schema maggioritario di cui il Paese invece ha bisogno di liberarsi per far riemergere i veri sentimenti e le vere appartenenze politiche delle classi in lotta fra loro, che oggi si guardano strabicamente, pensando di stare dalla stessa parte, di difendere lo stesso interesse.

Non è soltanto irresponsabile consegnare la sinistra comunista nelle braccia di una nuova coalizione di pseudo centro-sinistra, dal perimetro formato dai partiti oggi al governo; di più, è un errore clamoroso che non fa altro se non guardare davvero il dito che indica la luna: un dito che prima o poi si stanca di rimanere alzato insieme alla mano ed al braccio e finisce col cedere nuovamente alle lusinghe di un potere che ha tutto l’interesse che troppi guardino la luna…

MARCO SFERINI

20 ottobre 2019

 foto tratta da Pixabay

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