Sono passati esattamente ottant’anni. Nella Madrid fredda e nebbiosa del novembre del 1936, estenuata da un assedio che la stringeva in una morsa e in un certo qual modo abbandonata da un governo che, credendo imminente la caduta della capitale, si ritirava a Valencia, presero parte ai combattimenti i primi brigatisti internazionali. Al di là della loro importanza militare, certamente il loro arrivo – per dirla con le parole di José Sandoval – riscaldò l’atmosfera della città, rafforzando la tempra dei suoi combattenti. Arturo Barea (La forja de un rebelde), che sarebbe arrivato a lamentarsi del fatto che le lodi eccessive ai brigatisti internazionali oscuravano l’eroismo e l’abnegazione dei madrileni, riconosceva anche che la loro irruzione costituì un aiuto inestimabile. Dal canto suo Neruda annotò, in versi stupendi, la sfilata dei brigatisti nella Madrid autunnale di “sangue sparso”, “silenziosi e fieri come campane prima dell’alba”, provenienti “dalle vostre patrie perdute, dai vostri sogni pieni di dolcezza bruciata e di fucili”.
Madrid fu, dunque, il loro battesimo del fuoco, come si coglie dall’Inno delle Brigate (“un Paese lontano ci ha visto nascere…la nostra patria oggi è davanti a Madrid”). Ma il loro passaggio attraverso le campagne della Spagna è legato anche ad altri nomi riecheggianti ed epici della resistenza: Jarama, Guadalajara, Belchite… Per questi luoghi passarono e sotto la loro terra rimasero per sempre molti di quegli oltre 35 mila volontari di 53 nazionalità, inquadrati in battaglioni e brigate che evocavano racconti della tradizione rivoluzionaria nazionale di ogni Paese. Erano principalmente operai, ma vi erano parimenti intellettuali, studenti, sindacalisti…in maggioranza comunisti, ma anche antifascisti di differenti bandiere e legami di partito e ideologici (socialisti, anarchici, genericamente democratici).
La storia delle Brigate Internazionali si colloca in un momento cruciale della storia dell’antifascismo, fenomeno centrale della tradizione democratica e rivoluzionaria del XX secolo. È stato scritto abbastanza sul loro ruolo militare (sempre relativo, anche se non trascurabile in alcuni episodi concreti) o sulle implicazioni politiche della loro presenza; sulla loro permanenza, non esente da conflitto, nel quartier generale di Albacete. Ma il loro ruolo fondamentale, ciò che imprime la loro impronta indelebile nella storia, è l’essere state di diritto l’emblema e la rappresentazione per eccellenza della solidarietà internazionalista con la Repubblica aggredita. Non per niente Miguel Hernández evocava quegli uomini “che hanno un’anima senza frontiere” e Alberti annotava, in maniera simile, del “sangue che canta senza frontiere” di gente venuta da vari Paesi, “con le stesse radici e che ha lo stesso sogno”. Anni dopo, Luis Cernuda si ispirò ad un ex brigatista nordamericano per la sua toccante poesia “Ricordalo e ricordalo agli altri”, un canto alla solidarietà come impegno etico e alla memoria come necessaria risorsa.
Anche la Pasionaria elogio l’esempio morale di questi “del più alto ideale di redenzione umana” e “crociati della libertà”. E lo fece nel congedo oceanico degli ultimi brigatisti che sfilavano attraverso Barcellona davanti a più di 300 mila persone, il 28 ottobre del 1938. Da allora, come Dolores proclamava con particolare forza emotiva, i brigatisti cominciavano a far parte non solo della storia, ma anche della leggenda.
Per la maggioranza, la ritirata non rappresentò che un cambiamento di scenari nella lotta per la stessa causa che li aveva portati nel nostro Paese. Alcuni caddero nella voragine delle purghe staliniste, quando l’essere stati in Spagna diventò un motivo di diffidenza e un’insospettabile aggravante. Uno di loro, Artur London, scrisse quella che è forse la migliore cronaca e il miglior omaggio alle Brigate: il libro Se levantaron antes del alba.
Il tempo trascorse, e come auspicava la Pasionaria, i brigatisti superstiti – alcuni di loro – tornarono quando l’olivo della pace era già fiorito, ma non – purtroppo – “intrecciato con gli allori della vittoria della Repubblica”. Accadde nel 1996, per ricevere vari omaggi, anche se – in un comprensibile atto di coerenza – né i dirigenti della destra conservatrice né il re ritennero opportuno unirsi a queste cerimonie. Fu dato loro in quell’occasione il diritto alla cittadinanza spagnola a condizioni poco generose, che la legge nota come Legge di memoria storica del dicembre 2007 elargì più generosamente. Era un riconoscimento tardivo, ma non per questo meno necessario.
I brigatisti erano rivoluzionari di un’epoca irripetibile. Come quel personaggio de La conversazione della primavera di Alejo Carpentier, erano parte di una “confraternita senza frontiere”, partecipi di un’unica lotta in cui l’importante era vincere battaglie in qualsiasi parte del mondo. Impararono, come gli altri antifascisti di quella congiuntura cruciale, che la democrazia era un valore irrinunciabile che solo il popolo difendeva nei momenti decisivi, a differenza – come diceva la Pasionaria – di “coloro che interpretano i principi democratici guardando le casse piene di ricchezze”. E credevano in un internazionalismo non incompatibile con le patrie, ritenendo, come Machado, che “non è patria il suolo che si calpesta ma quello che si lavora”.
Per tutto questo, per ciò che furono e rappresentarono, occupano un posto insostituibile nella nostra memoria democratica.
FRANCISCO ERICE
articolo originale: Las Brigadas Internacionales en la historia y en el recuerdo
traduzione di Angelica Bufano – brigata traduttori
foto tratta da rifondazione.it