Il picco è stato raggiunto nel 2020, quando sono state registrate 15.282 partenze verso una destinazione estera, un valore dieci volte superiore ai livelli del 2002 (in cui le partenze erano pari a 1.431). Questa per la Svimez è la nuova emigrazione del Sud: a partire sono le donne laureate. L’impennata di questa nuova emigrazione cosiddetta «qualificata» è stata osservata a partire dal 2015 si legge in un rapporto reso noto ieri nella giornata internazionale delle donne, otto marzo.
Fu allora che la fuga è aumentata del 15% rispetto all’anno precedente. Fatta eccezione per contrazione osservata nel 2021 per effetto della pandemia (11.830 partenze in totale), il ritmo di crescita medio annuo dei flussi migratori qualificati verso l’estero per la componente femminile si attesta al +10,4%.
La tendenza sembra essere consolidata ed è in continua crescita. Complessivamente, nel periodo 2002-2021, hanno lasciato il paese 138.386 laureate (98.987 dal Centro-Nord e 39.999 dal Mezzogiorno): una perdita netta (al netto dei flussi in entrata provenienti dall’estero) di -71.606 persone che si sono laureate nel frattempo.
In percentuali assolute, la stima è impressionante. Stiamo infatti parlando del 47% della perdita netta di laureati italiani. Dunque, non solo nell’università italiana ci si laurea poco, ma poco meno della metà di chi lo fa emigra all’estero. Segno inequivocabile di una scelta esistenziale che può essere sicuramente dettata dal fatto che all’estero si trovano migliori condizioni di vita, di salario, di lavoro, di scelte che non possono essere fatte.
Insomma, questo è il riflesso strutturale di una realtà più grande: un paese le cui classi dirigenti hanno scelto un modello industriale e sociale basato sulla precarizzazione continua, i bassi salari. Il tutto peggiorato da uno Stato sociale ingiusto, disfunzionale e tra i peggiori in Europa. Una situazione che colpisce, in primo luogo, le donne, sia sul lavoro che nella società.
La Svimez ha inoltre osservato anche un’altra trasformazione, quella della composizione dell’emigrazione delle laureate per regione di provenienza. La quota delle laureate meridionali, sul totale emigrate dall’Italia, è passata dal 20% dei primi anni 2002 all’oltre 30% dell’ultimo triennio. Questa è una prova ulteriore dell’aumento della disoccupazione, e di conseguenza anche della precarietà, del mercato del lavoro elle regioni del Sud.
Ora, queste persone si muovono in primo luogo verso le regioni del Centro-Nord. E i numeri sono in drastico aumento. La Svimez parla di oltre 739.869 donne in vent’anni. In media, ogni anno circa 36.993 donne meridionali si sono trasferite in una regione centro-settentrionale, un flusso rimasto piuttosto costante negli anni.
Di conseguenza, sono aumentate anche le migrazioni da Sud verso l’estero. Parliamo di valori quasi raddoppiati rispetto ai primi anni Duemila. Il fenomeno ha registrato un’intensificazione particolarmente significativa tra il biennio 2015-2016 (+18,7%), fino al picco dl 2019 di 15.476.
La peculiarità del fenomeno registrato dalla Svimez, infatti, consiste in una maggiore selezione dell’emigrazione che, nei fatti, discrimina le donne laureate da quelle che non hanno il titolo di studio «superiore». Tra il 2002 e il 2010, delle migranti italiane (sia nel paese, sia all’estero), 1 donna su 4 era laureata. Si trattava di una quota sensibilmente superiore a quella riferita alla componente maschile, inferiore al 20%.
Il divario di genere si è ampliato dopo il 2013, fino ad arrivare al 42% per le donne nel 2021, +9% rispetto all’analogo dato degli uomini. La «selezione» in questione ha riguardato maggiormente le donne meridionali . Nel 2022 le laureate sul totale emigrate aveva raggiunto il 46% contro il 37% del Centro-Nord ed era maggiore dei laureati uomini che hanno lasciato il Centro-Nord (il 45%).
MARIO PIERRO
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