L’asse euro-atlantico alza ancora l’asticella della guerra…

La guerra legittima qualunque comportamento scorretto, qualsiasi sgambetto, ogni sorta di infingarderia e di tradimento possibile. Ma, in particolare, consente che si alzi il livello dello scontro vicendevole a...

La guerra legittima qualunque comportamento scorretto, qualsiasi sgambetto, ogni sorta di infingarderia e di tradimento possibile. Ma, in particolare, consente che si alzi il livello dello scontro vicendevole a suon di parole, platealmente espresse, per creare un finto clima di condivisione pubblica di scelte che invece sono già state prese a tavolino dai governi e non certo nelle conferenze ufficiali dove si mostrano soltanto i muscoli.

Per questo, non c’è da sorprendersi molto, non c’è da stupirsi se i ministri di Boris Johnson si sono lanciati in una serie di dichiarazioni veramente guerresche. Non sono voci dal sen fuggite e nemmeno un dantesco bel tacer mai veramente scritto. Sono intenzioni manifeste, chiare disposizioni date a Kiev per ingaggiare un conflitto ancora più aspro, per penetrare nel territorio russo e attaccarlo.

Il messaggio è chiarissimo: l’Ucraina deve diventare un avamposto della NATO e dell’Occidente nella guerra scatenatale contro da Putin. Non deve più stare sulla difensiva ma offendere, andare alla carica con tutte le armi pesanti che le stanno fornendo i nord-atlantici in quantitativi tali che, fatti i dovuti paragoni proporzionali, lo sbarco in Normandia comincia a sembrare modesto rispetto ai tanti miliardi di dollari, sterline ed euro impegnati nel riarmo globale e, segnatamente, in questa fase nell’ingrassare la macchina bellica da far utilizzare all’esercito di Zelens’kyj e dalle milizie popolari.

Non la TASS, ma fonti di informazione democraticissimamente occidentali ormai non si mostrano nemmeno più tanto timide nell’ammettere che reparti di intelligence, squadre speciali e quant’altro il militarismo produci in questi casi, sono presenti sul suolo ucraino per addestrare l’esercito e la popolazione, per formare nuovi battaglioni, nuove riserve da impiegare nel fronte ormai stabilizzato sulla linea che va da Kharkiv a Kherson.

Alla guerra sul campo, inoltre, si affianca in eguale misura, seppure con effetti molto differenti, lo scontro economico-finanziario che coinvolge in prima battuta tutte le potenze che si contendono il nuovo assetto geopolitico mondiale. Meravigliarsi che Putin chiuda i rubinetti del gas verso Polonia o Bulgaria è soltanto ipocrisia politica e, quindi, propaganda di rimando a quella russa. Il gioco delle parti comincia ad inspessirsi, a farsi davvero duro e non risparmia più alcun ambito, non lascia fuori niente e nessuno.

Non esiste qualcuno più nobile di altri, ma solo due popoli che sono diversamente coinvolti nelle maglie del conflitto: quello ucraino, sacrificato alle mire dell’imperialismo atlantico-statunitense, e quello dell’asse russo-bielorusso, sacrificato ad un altra idea di espansionismo, di allontanamento della sfera di influenza liberista in salsa democratico-liberale.

Il fatto che la guerra possa trasferirsi oltre i confini ucraini e penetrare direttamente nel territorio della Federazione Russa dovrebbe essere motivo di allarme per una inevitabile estensione della stessa oltre ogni immaginabile previsione. Dopo i primi giorni di balbettante incertezza politica e tattica, l’asse euro-atlantico ha affinato i suoi obiettivi: soprattutto Washington e Londra, che non hanno bisogno di riarmarsi come la Germania o come gran parte della UE (per mettere le basi di costruzione del sogno imperialista di un esercito europeo), si sono dedicate allo studio della guerra sul campo e alle contromisure economiche da mettere a segno.

La Russia risponde in questi giorni applicando quanto aveva preannunciato: il gas si paga in rubli o non lo si riceve più. L’ENI è pronta ad aprire un conto corrente prezzo Gazprombank, e questo la dice molto lunga sulle reali, rigidissime e coerentissime intenzioni del governo italiano, appoggiate anche dal Presidente della Repubblica con una risolutezza dichiarata a chiare lettere, di sostenere la cosiddetta “resistenza ucraina” a tutto tondo.

L’acquisto del gas russo è finanziamento della guerra. L’invio di armi all’Ucraina è sostegno direttissimo alla guerra. Laddove molti vedono la difesa di un popolo, noi non possiamo non vedere il disegno calcolato di fare del vecchio territorio della Rus’ di Kiev, e delle tre grandi aree industriali ed economiche consolidatesi nel tempo attorno alla capitale (prima fra tutte quella del Donbass dell’acciaio e delle miniere), il terreno di confronto e scontro di due imperialismi direttamente contrapposti sul piano militare e di un terzo, quello cinese-asiatico, che tergiversa al solo scopo di rafforzarsi nell’attesa che uno dei due si indebolisca appena terminato il conflitto.

«L’Ucraina era un Paese sovrano, che viveva pacificamente all’interno dei suoi confini. E poi un altro Paese ha deciso di violare quei confini e portare 130.000 truppe. L’utilizzo di nostre armi da parte ucraina per colpire il territorio russo è completamente legittimo». “Completamente legittimo” significa che Regno Unito, Stati Uniti d’America e NATO si sono consultati in merito e hanno stabilito che, prima di tutto, i toni non vanno abbassati e che, anzi, l’alzamento dell’asticella bellica è necessario per impedire a Putin di arrivare alla conquista della fascia costiera fino ai confini con la Romania, fino alla réunion con Tiraspol.

Le parole del viceministro britannico alla Difesa James Heappey non devono essere scambiate come mera propaganda politica di guerra: sono grossolanamente espresse, senza alcun tatto diplomatico proprio perché sono parole che vogliono essere intrise di bellicismo e non lasciare adito a nessuna facile interpretazione di altro tipo. La diplomazia, dopo quasi settanta giorni di guerra, è l’ultima preoccupazione delle potenze in campo, un fastidioso accidente cui si accingono – chissà per quanto ancora… – turchi ed israeliani.

Heappey sostiene, nella brevissima premessa ai suoi anatemi bellici, che l’Ucraina prima del conflitto era un paese sovrano, e certamente lo era dal punto di vista politico-istituzionale, che viveva pacificamente tra i suoi confini: è falso. La guerra contro le popolazioni russofone e russofile del Donbass andava avanti da quasi un decennio e l’acquisizione della Crimea da parte di Mosca non è certo stata una passeggiata per il governo di Kiev.

La pax ucraina regnava in quella parte del paese che, storicamente, è sempre stata appannaggio degli imperi europei: dall’unione polacco-lituana fino al dominio degli Asburgo – Lorena e della Prussia, la Galizia e la Rutenia Subcarpatica, la stessa regione di Kiev e l’intero nord dell’attuale Ucraina sono state sottratte per secoli al dominio russo.

La stessa guerra scatenata da Putin due mesi fa, ha puntato, per sussumere il pretesto alle ragioni più complesse e complessive del conflitto, alla liberazione del Donbass dalla guerra civile tra separatisti e governativi. La battaglia di Kiev, mai veramente sostenuta e seguita dalla precipitosa ritirata e dal ridispiegamento delle truppe ad Est, è stata un fallimento per via della reazione anche popolare, ma soprattutto per un invio sempre più esponenziale di armamenti dai paesi della NATO e dai quattro angoli del mondo.

Ciò che forse Putin non si aspettava era questa capacità ritrovata dell’imperialismo occidentale di fare fronte militare, di schierarsi a difesa delle liberistiche ragioni di tutela del governo di Kiev, prendendo utilmente a pretesto la difesa dell’inerme popolazione.

L’ipocrisia della ricerca della pace, da parte delle grandi istituzioni mondiali e nazionali, è pari a quella della volontà di liberazione dell’Ucraina dal nazismo tossicodipendente espressa dal presidente russo nel suo lungo annuncio di intrapresa dell’ “operazione militare speciale“.

L’estrema sincerità di Heappey è il manifesto migliore per rendersene platealmente conto e sapere che solo una collaborazione tra i popoli, una unità di intenti delle grandi masse lavoratrici, ad oggi incoscienti rispetto a tutto questo, intrise di propaganda nazionalista e bellicista, è l’alternativa a questo confronto tripolare tra imperialismi dalle foreste vergini dei Carpazi agli immensi campi di grano dove un tempo l’Armata Rossa spinse per l’offensiva finale contro il Terzo Reich.

Gli scambi di accuse sui crimini di guerra sono parte di questo orrendo gioco al massacro di centinaia di migliaia di civili, decine di migliaia di militari (da ambo le parti) e di distruzione di una economia, di una società in cui la scomparsa della verità oggettiva è contestuale e progressivamente legata all’aumento del conflitto tanto guerreggiato quanto combattuto tramite le borse e i conti correnti che si aprono o si chiudono nella Gazprombank.

Il cinismo è la cifra di questi tempi, ad alti livelli di governo. Accompagnato da un incessante e ripugnante ricorso ad una retorica e ad un moralismo che si scagliano soprattutto contro chi assume un atteggiamento realmente critico nei confronti delle parti in causa. Il cinismo diventa, in questi casi, altezzosità, moralismo, spartizione draconiana delle parti: da un lato solo i buoni occidentali, dall’altro l’impero del male.

Una visione così manicheista è, pure questa, tipica dei grandi conflitti e della divisività che necessariamente una guerra propone. Come una partita di calcio: non si può assistervi senza esserne anche soltanto un poco coinvolti. Rimanere neutrali, pacifisti, proclamando l’imprescindibilità di un cessate il fuoco, di una interposizione delle Nazioni Unite e di una apertura di una grande conferenza internazionale sul problema ucraino – russo è attribuirsi l’etichettatura preventiva di “filo-putinismo“.

E’ il prezzo da pagare alla cretineria isterica diffusa, ad un mettersi la coscienza a posto affermando che la soluzione sta nell’invio delle armi e nel sostenere le “libertà occidentali“, il “modello occidentale“, la sua cultura, la sua storia, il suo portato di valori. Sembra di sentire l’ultima Fallaci quanto tuonava sullo scontro di civiltà ai tempi dell’emergenza jihadista rivoltatasi contro i suoi finanziatori e primi sostenitori: sempre loro, gli Stati Uniti d’America…

MARCO SFERINI

28 aprile 2022

Foto di Pixabay

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