Qualcuno certamente ne riderà. Altri sorvoleranno sulla notizia. Altri ancora invece diranno che la pena è troppo esigua.
Un californiano di 26 anni è stato condannato a 16 anni di reclusione per aver seviziato 21 gatti. Di alcuni di loro, dicono i giornali statunitensi, avrebbe abusato anche sessualmente.
Tralasciamo i giudizi medico-clinici sul caso che, indubbiamente, sarebbe interessante dare dopo aver approfondito la personalità di costui.
La pena è pesante: 16 anni. Personalmente non godo, non gioisco mai se una persona viene condannata. Primo, perché vuol dire che ha alle spalle una storia quanto meno incresciosa se non terribile. Secondo, perché spesso, come in questa vicenda, la condanna è ovviamente giusta per il dolore inflitto, per la crudeltà manifestata verso creature assolutamente innocenti, ma si somma ad una condanna già esistente: la manifesta infelicità recondita di un individuo che si spersonalizza tanto da diventare altro dall’essere umano. Diventa un assassino, un torturatore, un seviziatore, in questo caso, di animali.
Penso che la condanna migliore sarebbe stata farlo vivere per sempre circondato dai gatti. Lasciare ai gatti non la vendetta ma, con la loro presenza, un prometeico rodimento interiore, uno scavo nella psiche che logora e che fa ripensare continuamente al dolore immenso provocato.
Il carcere, in ogni caso lo si veda, serve davvero a poco. Anzi, a niente.
(m.s.)
foto tratta da Pixabay