A differenza di altri critici, Daverio non aveva bisogno di urlare per costruire su di sé un personaggio. La pacatezza delle sue riflessioni e il modo con cui spiegava l’arte in televisione facevano benissimo il paio con il sapore di antico di cui si vestiva ma che, allo stesso tempo, era abbagliante per la sua modernità. Perché la vera eccentricità è parte del proprio modo d’essere e non la si può fabbricare. Nemmeno ad arte.
Philippe Daverio se ne va a soli 70 anni, dopo aver divulgato la bellezza, l’armonia, la spigolosità e anche la durezza di tante opere che sono cultura, anche borghese, spesso ossequiosa verso il potere, ma che soprattutto esprimono il più recondito, intimo sentimento dell’artista, del creatore, dell’immagine mentale che diventa concreta e reale e passa nei secoli. Diventa simbolo conosciuto e riconosciuto.
Spiace davvero tanto per la morte di Daverio. Perché accanto a storia e scienza, l’arte è quel tocco di esaltazione visiva delle coscienze che, altrimenti, resterebbero solo prigioniere dell’introspezione, del silenzio o di cronachistici racconti.
(m.s.)
foto di Lelli e Masotti tratta da Wikimedia Commons / Flickr su licenza Creative Commons 2.0