La notizia è questa, nota già da alcuni giorni:
Sabato 11 febbraio l’ultradestra si riunirà a Genova con due ospiti “d’onore”: il tedesco Udo Voigt, parlamentare europeo con simpatie neonaziste, e il francese Yvan Benedetti, leader di un movimento estremista sciolto dal Governo nel 2013 dopo l’uccisione di un diciannovenne antifascista da parte di un gruppo di naziskin. Ci sarà anche l’italiano Roberto Fiore, presidente di Forza Nuova e riferimento per l’ultranazionalismo nostrano. L’estrema destra punta di nuovo gli occhi su Genova.
L’estrema destra punto dunque di nuovo gli occhi su Genova come fece il MSI (Movimento Sociale Italiano – Destra nazionale) nei drammatici giorni del Luglio ’60, quando convocò proprio a Genova il proprio congresso annunciando che l’assise sarebbe stata presieduta dal repubblichino Basile, già prefetto della città durante l’occupazione nazista.
In quel momento il governo era retto dal democristiano Tambroni, appoggiato proprio dai neofascisti del Movimento Sociale.
E’ il caso di ricordare, proprio nell’occasione di questo passaggio d’attualità, quella che fu la reazione dei genovesi a quel tempo.
L’antifascismo, vecchio e nuovo, disse di no. Comparvero sulle piazze i giovani dalle magliette a strisce, i portuali, i partigiani. La Resistenza riuscì a sconfiggere il rigurgito fascista.
Ma si trattò di una vittoria amara, a Reggio Emilia e in altre città la polizia sparò sulla folla causando numerose vittime.
Questi i fatti, accaduti in quell’intenso e drammatico inizio d’estate di oltre cinquant’anni anni fa.
Non si trattò semplicemente di un moto di piazza, di opposizione alla scelta provocatoria di una forza politica come quella compiuta dall’MSI di convocare il proprio congresso a Genova e di annunciare anche come quell’assise sarebbe stata presieduta da Basile, soltanto quindici anni prima, protagonista nella stessa Città di torture e massacri verso i partigiani e la popolazione.
Si trattò, invece, di un punto di vero e proprio snodo della storia sociale e politica d’Italia.
Erano ancora vivi e attivi quasi tutti i protagonisti della vicenda che era parsa chiudersi nel 1945, ed è sempre necessario considerare come quei fatti si inserissero dentro una crisi gravissima degli equilibri politici una crisi inserita anche in un mutamento profondo dello scenario internazionale, nel quale si muovevano i primi passi del processo di distensione ed era in atto il fenomeno della “decolonizzazione”, in particolare, in Africa, con la nascita del movimento dei “non allineati”.
Prima ancora, però, dovrebbe essere valutato un elemento, a nostro avviso, di fondamentale importanza: abbiamo già accennato all’entrata in scena di quella che fu definita la generazione “dalle magliette a strisce”, i giovani che per motivi d’età non avevano fatto la Resistenza, ma ne avevano respirato l’aria entrando in fabbrica o studiando all’Università accanto ai fratelli maggiori; giovani che avevano vissuto il passaggio dall’Italia arretrata degli anni’40-’50 all’Italia del boom, della modernizzazione, del consumismo, delle migrazioni bibliche dal Sud al Nord, di una difficile integrazione sociale e culturale.
Allora i moti del Luglio’60 non possono essere considerati semplicemente un punto di saldatura tra le generazioni, anzi rappresentavano un momento di conflitto, di richiesta di cambiamento profondo, non limitato agli equilibri politici portato avanti dall’insieme del popolo, senza barriere di condizione, di età, di collocazione politica.
Un momento fondamentale per la crescita democratica del Paese.
Non un ricordo ma un esempio per un antifascismo unito capace di respingere, ancora una volta, i provocatori fascisti.
FRANCO ASTENGO
foto tratta da Wikipedia