E se il cristianesimo fosse l’esatto contrario, o tendenzialmente tale, di quello che è stato Gesù Cristo? Se tutto ciò che è stato detto, scritto, o almeno quasi tutto, avesse finito con il negare alla radice ciò che il nazareno ha voluto insegnare agli uomini nel corso della sua brevissima esistenza? Per quale ragione, ci si potrà domandare…
Per il potere, per la sottomissione degli esseri umani ad un codice etico, ad una morale che è diventata lo spettro di sé stessa, violentemente nichilista e quindi nemica prima di quell’antinichilismo che proprio i cristiani contrastano con una apparentemente edificante aderenza piena ad una realtà dei fatti che non può essere contraddetta da un antimoralismo che sembrerebbe “insensato“, privo di qualunque significato perché contraddittorio con i millenni di storia occidentale che abbiamo alle spalle.
Potrebbe sembrare che si voglia mettere in piedi una sorta di critica ateistica, per cercare di svelare come l’invenzione di dio sia uno dei prodotti più inutili dell’umanità per provare a raggiungere una sorta di piano edonistico attraverso la salvazione post-mortem.
Divenendo qui ed ora degli apostoli di una religione, dei cultori di un credo che è legato al sacrificio, all’evitamento del peccato insito nel tradimento del rapporto con i valori anticotestamentari di un mitologismo tutto biblico; oppure con il culto che si fa emblema spirituale dello Stato, che spazza via l’ebraismo e diventa la nuova era della romanità prima e dell’età medievale poi.
Ma non è così. Friedrich Nietzsche ne “L’Anticristo. Maledizione del cristianesimo” (Adelphi, edito anche da Feltrinelli). una delle sue ultime opere che hanno chiuso i conti con religione, religiosità, credenze e devastazione dell’animo umano ad opera del clero, non si propone una critica teologica dell’idea di dio, oppure del suo essere in quanto tale. La riflessione è prettamente filosofica e prescinde da un confronto che provi la confutazione della fede in senso stretto.
Accusato di nichilismo, denigrato per quello che sembrerà essere, a causa soprattutto degli scritti radunati dalla sorella con un intento distorcente il suo pensiero, Nietzsche in piccoli saggi come questo emerge come il pensatore che vuole liberare l’essere umano dalla schiavitù di un tradizionalismo claustrofobico, di una adeguamento incolore delle menti ad una bimillenaria cultura dell’accettazione di una morale che percuote l’istinto, che fa soggiacere la dialettica interiore ad un conformismo oscurantista.
E’ una ribellione tanto ai costrutti politici di un cristianesimo che, con Paolo di Tarso, diventa qualcosa di differente dal Cristo stesso: si struttura, si consolida, assurge a religione vera e propria con sacerdoti e divisioni di compiti e, per questo, di livelli di morale teologica che, come è noto, arriveranno a toccare i vertici dell’immoralità nel dogmatismo pontificio, nell’intangibilità delle questioni risolte con le verità assolute, incontestabili perché pronunciate “ex cathedra“.
Nietzsche ammira tutto ciò che prescinde da questo consolidamento marmoreo di una morale che tarpa le ali del dubbio, che pone tutti i suoi limiti al servizio della verità rivelata, così come lo è dio: nella vita concepita ecclesiasticamente l’essere umano è una appendice di un dio di cui si cerca continuamente il significato, in cui si ripone la fiducia a cui viene chiesto di pagare il prezzo della cecità fideistica.
L’angoscia per una esistenza incomprensibile, fatta di Stati, di poteri, di vessazioni e ingiustizie, di allontanamento quotidiano dell’uomo da sé stesso, dalle sue più naturali istintività, è la base su cui erigere il nichilismo del cristianesimo. Perché il cristianesimo nega la vera vita agli esseri umani, li priva di tutti quegli slanci di desiderio, di voglia di oltrepassare i confini di ogni morale che intenda stabilire il giusto comportamento, la correttezza delle azioni, la condivisione di pensieri, sentimenti ed anche sofferenze.
La “maledizione” scagliata da Nietzsche contro il cristianesimo non è una bestemmia contro dio, ma è, molto prima di essere tale, una noncuranza nei confronti dell’ipotesi stessa dell’esistenza di dio. Senza processi ontologici, senza riferimenti alla filosofia stessa che si è suicidata sull’altare della comprensione del fenomeno religioso e che ne ha fatto una imprescindibile connotazione dell’esistenza di ciascuno e di tutti: prescindendo dalla fede stessa.
L’indagine del pensiero si è spinta aprioristicamente sul piano dell’accettazione di un dato di fatto, senza ritenerlo più controvertibile, ma provando solamente a spostarne il baricentro dagli eccessi che ha provocato nel corso della storia. Magari pure accostando fede e ragione, spirito e materia, morale e divenire delle cose, staticità dogmatica e dialettica esprimente quell’esperienza da cui proprio chiesa, preti, religione e idea di dio ci allontanano inevitabilmente.
L'”idiozia” del messaggio di Cristo è, invece, quello che va salvaguardato, ma non del cristianesimo, che ne è anzitutto la negazione, quanto semmai della storicità del personaggio, della grande dissolutezza delle sue idee sovversive, della sua volontà che diventa maestria, insegnamento e quasi pedagogia sociale, pur non volendo essere imposizione, ma soltanto una interazione critica, una apertura delle menti ad una nuova soggettività collettiva, ad un nuovo modo di pensarsi per poter essere poi tali in un mondo completamente rovesciato.
Nietzsche rifiuta categoricamente qualunque ideologia, qualunque verità che voglia avere la presunzione di essere pratica e qualunque teoria che pretenda di mettersi al servizio dell’azione.
Non esiste, secondo il filosofo tedesco, un prontuario, un manuale, una guida, un libro che possa indicarci la via dell’esistenza migliore, ma solo un duro, aspro confronto tra noi stessi e ciò che ci circonda. Dobbiamo, in sostanza, sbattere la faccia contro la cialtronismo delle religioni rivelate, contro il loro essersi fatte potere ben oltre il potere stesso degli Stati, ed essere diventate quella oppressione moralistica che è il vero nichilismo.
Non quello di cui è stato per troppo tempo accusato lui. Zarathustra è il modello di scetticismo cui si richiama: la vita un po’ ascetica, rivolta con lo sguardo verso l’alto della volta celeste e non sulla bassezza della terra dove esistono i confini materiali e quelli dell’anima, dove si cingono di assedio le menti e le coscienze con pregiudizi, costernazioni, battimenti di petti ed espiazioni di peccati mai esistiti.
Il tema dell'”eterno ritorno” non è innestato su una sorta di archetipo profetismo, di ancestrale propensione alla credenza di un universo spiegabile in questo modo, come una specie di corto-circuito inestricabile e incomprensibile all’ennesima potenza. Semmai è, proprio nella critica e nella “maledizione” del cristianesimo, che si invera – così come in “Ecce homo” – il pensiero di un tempo in cui si rivivono sempre le stesse azioni, le stesse emozioni, le stesse progettualità, gli stessi costrutti, perché ci si adatta al momento preciso del presente in cui si è e non si tenta il salto oltre l’ostacolo del possibile.
L’essere nel possibile è il limite peggiore, perché impedisce, come percezione alterata e, per questo, tremendamente reale nella nostra mente, di guardare a ciò che veramente noi siamo: l’eccentricità che reprimiamo, i desideri che costringiamo a stare tra le quattro mura della morale cristiana (od anche di altre morali, di altre ideologie) sono la morte dell’uomo, dell’essere umano in quanto tale, la morte della filosofia stessa come processo evolutivo del desiderio insopprimibile della domanda costante, del dubbio assillante, dello spasmo della conoscenza continua.
Il “superomismo” nietzschiano, così tanto alterato dal nazismo, pervertito per scopi politici e volontà di potere (non “di potenza“), è proprio l’andare “oltre l’uomo” che accetta le convenzioni, le religioni, le credenze, gli dei e le chiese, i dettami dei preti ed anche quelle idee progressiste, come il socialismo, che per Nietzsche sono niente altro se non la prosecuzione laica del cristianesimo da lui maledetto.
In un certo senso il filosofo tedesco ha ragione: perché vede nell’ideologia la propensione inevitabile alla cristallizzazione anche di nobili e giusti pensieri critici volti alla trasformazione sociale, dove l’edonismo sia la pervasività generale di una nuova umanità, di una nuova esistenza globale. Di qui la sua simpatia per quel buddismo che gli pare estraneo alla galera della morale, dell’etica sovrastante i desideri e la naturalezza della semplicità. Che non è astrazione dal mondo, estraneità dai fatti e dai contesti. Ma vivibilità piena di ogni caratteristica nostra, di ogni particolarità.
Il super-uomo di Nietzsche è anti-identitario, non cerca etichettature, classificazioni ma, proprio per questo, è attentissimo alla straordinarietà della singolarità, di quello che dovremmo diventare un po’ tutte e tutti: dei capolavori unici. Come ripeteva spesso un altro presente-assente nell’antimetafisica rigettata dai più: Carmelo Bene. La pazzia di Nietzsche è l’ultimo rifugio che il filosofo trova, inconsapevolmente forse, per scostarsi da un mondo di cui sente di non fare parte.
Il suo antesignanesimo è il suo rammarico maggiore, ma è pure la prova del nove di una estraneazione anticivile e, per dirla sempre con CB, «tutt’altro che incivile».
L’ANTICRISTO. MALEDIZIONE DEL CRISTIANESIMO
FRIEDRICH NIETZSCHE
ADELPHI / FELTRINELLI /MURSIA / NEWTON COMPTON
€ 8,00 (ed. Adelphi)
MARCO SFERINI
1° febbraio 2023
foto tratta da Wikipedia