L’anno più lungo: dalle speranze alle lotte

E’ il giorno europeo del vaccino. Tranne che per Ungheria e Repubblica Ceca che hanno anticipato i tempi di un giorno. Un giorno certamente importante, per chi lotta da...

E’ il giorno europeo del vaccino. Tranne che per Ungheria e Repubblica Ceca che hanno anticipato i tempi di un giorno. Un giorno certamente importante, per chi lotta da un anno contro la pandemia, per chi ha visto morire migliaia di malati, di persone già fragili per altre malattie e dimenticate molto incivilmente dai negazionisti che, fuori dagli ospedali, hanno continuato a sbraitare che il Covid-19 è una invenzione, una bufala, un complotto organizzato per decimare la popolazione mondiale: siamo troppi, sostengono riduzionisti e negazionisti.

Quindi qualche grande magnate e qualche altro potente facente parte del “deep state” avrebbero messinscenato una pandemia col segreto scopo di falcidiare una parte dell’umanità per…? Non si sa bene. Non lo si saprà mai, perché i negazionisti sono degli inventori maldestri e non sanno completare una storia. Nemmeno quando hanno tutto il tempo per studiarla bene. Dilettanti allo sbaraglio…

Il Covid-19 esiste e persiste, non molla la presa. Il vaccino arriva dunque provvidenzialmente, ma meglio ancora sarebbe se le notizie da Londra fossero confermate e ci si avviasse ad una sperimentazione di un farmaco per distruggere il virus, come si fa con una aspirina che debella i primi sintomi di una influenza invernale.

Le domande sui vaccini sono tante, si sovrappongono, finiscono per avere quella rilevanza che ha una eco cui non si dà più ascolto perché finisce per ripetere sempre e soltanto la stessa unica litanica parola. Ma ci sono anche altre domande che in questo periodo cominciano a farsi sempre più analisti: domande che riguardano poco gli aspetti medico-scientifici del coronavirus e che invece cercano di guardare oltre il muro pandemico e provare a scorgere quale sarà il futuro, soprattutto a breve termine, che ci attente tutte e tutti al varco.

La domanda che inizia a farsi strada tra i commentatori, giornalisti, politici o sociologi che siano; ed è questa: «Come cambierà il mondo, come sarà dopo la pandemia?». Per alcuni è una vera e propria ossessione, per altri è un semplice interrogativo dettato tanto dall’analisi del qui ed oggi rispetto al domani, quanto dalla mera curiosità tipicamente animale, qui nella sua variante “umana“.

Non sarà solo l’umanità a scoprirsi cambiata, ammesso che lo sia davvero, quando ogni residuo degli effetti della diffusione del Covid-19 sarà letteralmente un ricordo. Il mondo intero sarà mutato in qualche anfratto della sua vasta varietà di interazioni viventi, animate o meno che siano. Dovremmo già da ora pensarci in questo quadro: non un cambiamento relativamente ristretto, che veda solo noi animali umani ad essere protagonisti di una riorganizzazione dei rapporti interpersonali, bensì un cambiamento a tutto spettro, ampio, nessuno vivente escluso, nessun morente messo in disparte.

Non è ancora possibile fare un bilancio degli effetti benefici della tempesta del Covid-19 sulla “vita di quieta disperazione“, poiché sopravviviamo in una generalizzata ansia che si manifesta soggettivamente in forme tanto diverse quanto è differente il nostro singolo approccio alla vita che pensavamo essere comune e che, invece, abbiamo scoperto essere frammentata, particolarizzata e atomizzata al punto da non riconoscere più categorie sociali, divisioni pregiudiziali e anacronistici fronti di ceto contro ceto.

La grande divisione che la pandemia ci fa vedere, perché essa stessa non può sfuggirle, è quella tra le classi: ancora una volta i grandi ricchi, soprattutto i grandi paesi ricchi, potranno permettersi di avere le cure migliori, magari quel plasma che regala una immunità accarezzata con più interesse rispetto ai vaccini, perché garantirebbe una difesa più efficiente e una guarigione più repentina. Ma le incertezze regnano sovrane, si sa ancora troppo poco sul virus, sulle stesse cure per il coronavirus.

Resta il fatto: l’esistenza delle classi sociali era la forma-sostanza tipicamente antisociale del capitalismo dell’ieri e lo sarà del capitalismo di domani. I miserevoli standard di vita, soltanto di un anno fa, saranno imparagonabili a quelli che attendono centinaia di milioni di persone prive di quei fondi cumulati da un ristretto numero di mega possidenti mediante lo sfruttamento dei lavoratori, le speculazioni borsistiche e le evasioni fiscali. Non esisterebbe più il capitalismo se, all’improvviso o comunque in un pur sempre ristretto tempo di evoluzione globale, venissero meno le disuguaglianze sociali secolari, millenarie tra sfruttati e sfruttatori, tra lavoratori e padroni.

Il Covid-19 avrà, alla fine, rimesso un po’ di ordine da un lato e un po’ di disordine dall’altro in un mondo che vedrà ampliarsi enormemente l’intercapedine di separazione tra miliardi di salariati e poche centinaia di capitalisti, banchieri e finanzieri sempre più possidenti, concorrenziali fra loro ma ben saldi al potere perché al sicuro da una capacità delle masse di acquisire una coscienza critica di tale portata da rivoltarsi ovunque e rovesciare il sistema.

Lo scopriremo naturalmente solo vivendo, ma a lungo però, visto che serviranno lustri per avere un quadro chiaro di quanto è avvenuto e sta avvenendo tutt’ora.

La via del dopo-pandemia è lastricata, come quella dell’inferno, di buone, ottime intenzioni: una riqualificazione di ogni settore pubblico volto alla tutela dei cittadini; la rimessa al centro del dibattito politico del pubblico in luogo del privato; la riformulazione del Titolo V della Costituzione per dare maggiore efficienza all’organizzazione dei servizi essenziali, quelli che avrebbero dovuto avere un coordinamento univoco su tutto il territorio nazionale e che, invece, proprio grazie alla sosvrastrutturazione regionalista del Paese, alla sua divisione tra zone ricche e zone depresse, sono stati mortificati senza nessuno scrupolo.

Si parla di riscoperte, di ritrovamenti quasi archeologici di princìpi fondamentali che il liberismo ha sepolto sotto la coltre delle magnifiche sorti e progressive di un regime dello sfruttamento totale e globalizzato mostrato come unica via, strategia necessaria per affrontare e per fuoriuscire dalla crisi pandemica. Ma, a ben vedere, le pandemia che si sono susseguite nel corso della Storia non hanno mai rimodulato la struttura economica così a fondo da produrre mutamenti significativi – per così dire, epocali – da considerare finita un’era, mentre ne iniziava una assolutamente nuova.

La dicitura della speranza secondo cui “tutto non sarà più come prima” somiglia molto allo slogan bene augurale: “Andrà tutto bene“. Più che speranza pare essere un epitaffio alla rassegnazione mista ad un pensiero quasi magico, ad una preghiera laica perché la combinazione casuale di tanti fattori sia tale da permetterci di poter dire che tutto andrà come speriamo. Ma ben poco, alla fine, procede nella direzione immaginata, scritta e disegnata, più o meno spontaneamente, da tanti bambini che hanno sognato bellissimi arcobaleni, fiabesche protezioni in dodici lunghi mesi di costrizioni fisiche, mentali, di separazioni antisociali, di scuola a distanza che non è scuola vera.

Non è andato tutto bene e non sarà, per fortuna, tutto come prima. Le speranze possono a volte realizzarsi nel loro contrario perché non sono niente senza le lotte che alimentano (o che dovrebbero alimentare) e le disperazioni che si lasciano alle spalle.

L’immaginazione soccombe alla realtà dei fatti, ma non va del tutto dispersa; altrimenti sarebbe solo un susseguirsi di sterili processi meccanici privi di coscienze, di desideri e di passioni, di grandi aspirazioni. Il capitalismo vorrebbe che fosse così. Facciamo in modo che sia sempre, in qualche modo, l’esatto opposto.

MARCO SFERINI

27 dicembre 2020

Foto di Marek Studzinski da Pixabay

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